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Il Foglio sportivo

Che spettacolo l’Esercito contro la Marina (sul campo da football)

 Roberto Gotta

A West Point c’è  Army vs Navy. Storia di una sfida che un tempo decideva i titoli nazionali e oggi resta una tradizione imprescindibile anche in tempo di Covid 

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Teniamocela stretta, Army-Navy, per impedire che la violenza intollerante dei cancellatori della storia cerchi di obliterare anche una delle grandi tradizioni, una delle grandi rivalità dello sport americano. Ovvero, Esercito contro Marina, sfida che sul campo di football va in scena il secondo sabato di dicembre, quindi oggi, addirittura dal 1890. Quell’anno, Navy invitò Army ad una sfida a casa di quest’ultima, la famosa accademia di West Point nello stato di New York, e dominò 24-0. Per forza: in Marina si giocava a football dal 1879, mentre l’Esercito era alla prima partita della sua storia, e alcuni giocatori nemmeno sapevano le regole: tanto che a un certo punto uno di loro bloccò un avversario che portava la palla ma, sentendo il brusio del pubblico, pensò che si trattasse di un’azione fallosa e lo lasciò andare in touchdown.

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Teniamocela stretta, Army-Navy, per impedire che la violenza intollerante dei cancellatori della storia cerchi di obliterare anche una delle grandi tradizioni, una delle grandi rivalità dello sport americano. Ovvero, Esercito contro Marina, sfida che sul campo di football va in scena il secondo sabato di dicembre, quindi oggi, addirittura dal 1890. Quell’anno, Navy invitò Army ad una sfida a casa di quest’ultima, la famosa accademia di West Point nello stato di New York, e dominò 24-0. Per forza: in Marina si giocava a football dal 1879, mentre l’Esercito era alla prima partita della sua storia, e alcuni giocatori nemmeno sapevano le regole: tanto che a un certo punto uno di loro bloccò un avversario che portava la palla ma, sentendo il brusio del pubblico, pensò che si trattasse di un’azione fallosa e lo lasciò andare in touchdown.

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Ma perché Esercito e Marina giocano a football? Perché agli effetti sportivi le accademie militari sono equiparate a università, e dunque autorizzate a concedere quattro anni di pratica sportiva ai propri cadetti, che però al contrario degli altri studenti una volta completato il quadriennio devono affrontare un periodo di ferma.

 

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E se già una qualsiasi squadra universitaria di football costituisce un’enclave, un circolo chiuso con i suoi riti e i suoi codici, figuriamoci una, anzi due, anzi tre (c’è pure l’Aeronautica, Air Force) team costituiti da soldati: con tutto il corredo di metafore militari, lanciato per primo da uno dei più famosi reggenti di Army, il generale Douglas MacArthur, quello che il 2 settembre 1945 accettò la resa incondizionata del Giappone che decretò la fine della Seconda Guerra mondiale. Secondo MacArthur, la sfida “amichevole” sul campo da football era propedeutica a quella che, “in altri campi e altri anni” sarebbe stata giocata con la vita in palio. E non sorprende che un suo allievo, Earl ‘Red’ Blaik, sia stato l’allenatore più famoso nella storia di Army, da lui portata addirittura alla vittoria del titolo nazionale.

 

Perché una volta accadeva che Army-Navy potesse decidere il titolo, mentre ora è rimasta solo la tradizione, fortissima, emozionante: il football si è evoluto ed è quasi impossibile che chi rientra nei parametri fisici stabiliti dalle accademie per l’arruolamento (altezza massima di 2.02, ad esempio) competere con l’atletismo e la stazza dei giocatori delle università maggiori. È famoso, anche se parliamo di basket, il caso di David Robinson, per tantissimi anni centro dei San Antonio Spurs, che si arruolò in Marina quando era 1.91 per poi crescere fino a 2.13: a un certo punto del suo periodo di ferma venne dispensato dallo svolgere normali attività di marinaio, a causa proprio della sua altezza. Ma Robinson fu un caso anomalo: la regola ora vede, da decenni, squadra di peso e stazza ridotte rispetto alle avversarie, senza dunque possibilità che Army, Navy o Air Force possano aspirare al titolo o produrre giocatori da NFL (anche se c’è il caso recente di Alejandro Villanueva, oggi protagonista con i Pittsburgh Steelers). Resta tutto quanto fa tradizione:  la rivalità accesissima, quella che nelle parole di un generale di qualche anno fa fa sì che “le nostre accademie siano naturalmente alleate per 364 giorni e mezzo, perché nel pomeriggio della partita l’odio sportivo è invece fortissimo”. È tradizione che, una volta giocata la penultima partita della stagione, qualsiasi saluto, messaggio, email, telefonata tra membri di ciascuna accademia si concluda con la frase Beat Army! o Beat Navy! (Battete Army! Battete Navy!), una specie di tormentone che aiuta ancora di più a caricare l’attesa. Una volta, prima che la pratica venisse messa fuori legge per un minimo di rispetto, era facile che infiltrati di Army nel campus di Navy (ad Annapolis, Maryland, poca distanza da Baltimore) cercassero di rapire la capra mascotte dei Midshipmen (soprannome dei giocatori, corrispondente a guardiamarina, il grado più basso) e che invece commando di Navy andassero oltre le linee “nemiche” per portare via ed esibire come trofei gli altrettanto celebri muli di Army. Sparite queste pratiche, restano scherzi, a volte pesanti a volte leggeri: come quando, venuti a sapere che i tifosi/cadetti della Marina avevano preparato tubi da mortaio per sparare palline da tennis allo stadio, quelli dell’Esercito si presentarono con decine di… racchette per rispedirle al mittente. 

 

Si presentarono dove? Nel corso degli anni Army-Navy si è giocata in vari stadi, ma perlopiù a Philadelphia, equidistante dalle due accademie. Si giocò lì, con 102.000 spettatori, anche il 7 dicembre del 1963, pochi giorni dopo l’assassinio del Presidente John Kennedy: Kennedy era appassionato di football, avendolo giocato con i fratelli anche al liceo e all’università, e fu la vedova Jacqueline a troncare gli indugi di Army e Navy, incerte se giocare per motivi di opportunità. 
Quest’anno, però, tutti a West Point, per motivi legati al Covid-19: la città di Philadelphia e lo stato della Pennsylvania non erano propensi a ospitare decine di migliaia di persone per la partita o anche solo per il prepartita, fatto anche di marce e sfoggi di disciplina, per cui si gioca ad Army, che dipende dal governo federale e non da uno stato. L’ultima volta che si era giocato lì era nel 1943, in piena Seconda Guerra mondiale, per via del razionamento di carburante e riduzione degli spostamenti: l’anno prima invece si era giocato a casa di Navy, sempre per volontà del Presidente Franklin Delano Roosevelt, tifoso della Marina che mai aveva preso seriamente in considerazione l’idea di cancellare la partita per motivi legati al conflitto. Erano gli anni d’oro, per motivi non molto onorevoli: Navy e soprattutto Army infatti garantivano ai loro studenti/cadetti quattro anni di gioco, e questo li preservava da obblighi di combattimento cui erano invece obbligati atleti di università normali, in caso di chiamata alle armi. Addirittura, per deroga, alle accademia veniva concesso di dare una borsa di studio anche a giocatori che avessero già completato il quadriennio altrove, e allora non sorprende né che Army abbia vinto i suoi titoli nel 1944, 1945 e 1946 e che, una volta terminato il conflitto, alcuni dei migliori giocatori siano stati visti come disertori o quasi.

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Mancherà, per un anno, l’immagine splendida di uno stadio, quello di Philadelphia, diviso in due, con il grigio delle divise dell’Esercito da una parte e il nero di quelle della Marina dall’altra, ma resterà tutto quanto fa rivalità e assieme fratellanza: l’inno nazionale eseguito sempre da una banda, mai da artisti mercenari, e alla fine gli inni delle due università, seguiti solennemente dai giocatori di entrambe le squadre, gli uni accanto agli altri. Dimenticando le tension, quelle che nel 1893 portarono il Presidente Grover Alexander a cancellare la sfida, avendo assistito alla scena di due altissimi ufficiali delle due accademie che si erano messi a litigare, arrivando a sfidarsi a duello.

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