Cosa resta dell'Italia di Paolo Rossi
Nel 1982 il nostro era un paese in fiducia, animato da un nuovo individualismo. Oggi di entrambe le cose non sembra restare traccia. È quello che nel calcio e nello sport si definirebbe ciò che fa la differenza
La morte di Paolo Rossi, amabile goleador della Nazionale campione del mondo, addolora in sé e come scansione del tempo. Si tira dietro la riproposizione in prima dell’Italia degli anni Ottanta al suo esordio. Quando chi dirige, sviluppa, cambia e irrobustisce questo giornale appena nasceva, e coloro che lo hanno fondato un quarto di secolo fa avevano trent’anni già compiuti, bene o male, più male che bene (ovvio). Riecco Pertini, lo scopone, i governi Spadolini II, Fanfani V, l’imminente svolta dell’esecutivo Craxi in folla con i Bearzot, gli Zoff, i Tardelli e Freddie Mercury, tanto per cantare. Con il telefono a gettone, i sindacati, gli operai, i turni, il Pci che celebra i cent’anni l’anno prossimo a tanto tempo dalla dipartita, gli ineleganti calzoncini corti dei calciatori in un mondo bianco dove non si vedeva ancora il geniale, talentuoso ma ingombrante testone di un Lukaku. Niente virus prostranti, al massimo passate batteriche di colera. Non furono male quegli anni, sebbene non proprio formidabili, bisogna vantarsi solo del futuro, che almeno non c’è e la vanteria ci lascia passabilmente sobri.
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- Giuliano Ferrara Fondatore
"Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.