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Il Foglio sportivo

Il ciclocross dimezzato

Filippo Cauz

Prati, boschi, sabbia. Le biciclette non si fermano davanti a niente. Neppure davanti al virus.  Attorno ai corridori però  il vuoto ha sostituito il chiasso e la festa, l’anima vera  di questo sport

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Le vacanze di Wout van Aert sono finite sabato scorso, quaranta giorni dopo il Giro delle Fiandre, in un parco a un chilometro dalla stazione di Kortrijk. Dopo aver dominato la stagione del ciclismo su strada, il fenomeno belga si è riposato qualche giorno, poi ha cambiato scarpette e ha ricominciato a prepararsi per il suo abituale ritorno a casa. Lo Urbancross di Kortrijk ha segnato infatti l'esordio della stagione di van Aert nel ciclocross, la disciplina che lo ha cresciuto, incoronato per tre volte campione del mondo, formato e fatto diventare l'uomo che è.

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Le vacanze di Wout van Aert sono finite sabato scorso, quaranta giorni dopo il Giro delle Fiandre, in un parco a un chilometro dalla stazione di Kortrijk. Dopo aver dominato la stagione del ciclismo su strada, il fenomeno belga si è riposato qualche giorno, poi ha cambiato scarpette e ha ricominciato a prepararsi per il suo abituale ritorno a casa. Lo Urbancross di Kortrijk ha segnato infatti l'esordio della stagione di van Aert nel ciclocross, la disciplina che lo ha cresciuto, incoronato per tre volte campione del mondo, formato e fatto diventare l'uomo che è.

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Si è trattato di un esordio tardivo, a oltre 40 giorni dall'inizio della stagione fuoristrada, ma pur sempre più rapido di quello del suo rivale, Mathieu van der Poel, che rientrerà il prossimo 12 dicembre, allo Scheldecross di Anversa. Van Aert e van der Poel, van Aert contro van der Poel, un dualismo che nel ciclocross va avanti da quasi un decennio, quando i due erano appena adolescenti e si sfidavano nelle categorie giovanili, ma che nelle ultime stagioni è cresciuto su più terreni, sino a diventare lo scontro più atteso anche nelle corse su strada più amate. Van der Poel e van Aert, separati da pochi centimetri nello sprint conclusivo del Giro delle Fiandre, avevano segnato il termine della stagione delle classiche straordinariamente autunnali. Van der Poel e van Aert, in una lunga sfida a puntate (almeno 5 scontri diretti previsti), saranno l'elemento di attrazione della stagione invernale, che in tempo di pandemia non ha cambiato più di tanto le sue date, ma ha stravolto la sua faccia.

 

 

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La sorte ha voluto così che l'esordio dei due campioni più attesi coincida con due corse quasi uniche. Kortrijk e Anversa sono infatti rari appuntamenti cittadini in un calendario internazionale concentrato quasi interamente nelle pianure di Belgio e Paesi Bassi, con circuiti dispersi tra piccoli centri e aperta campagna. Non che l'isolamento sia un ostacolo alla partecipazione pubblica, non c'è gara di ciclocross in terra fiamminga che non faccia registrare il pienone, ma le prove cittadine aggiungono ancora più volti e grida alla competizione: il pubblico si affolla anche se è una gara minore, anche se il vincitore lo si sa già alla vigilia, tanto lo spettacolo non è certo dato dal risultato, bensì da ogni singolo partecipante a questa festa di paese ciclistica. Eppure non c'era quasi nessuno ad applaudire il rientro di van Aert, e lo stesso si ripeterà con il suo rivale. Perché nel 2020 dell'isolamento sociale anche il ciclocross corre nel silenzio, nel paradosso di una festa popolare a porte chiuse. E non è un problema esclusivamente di senso, ma ancor più di portafoglio.

 

L'economia del ciclismo è sempre traballante, soprattutto su strada, dove alle corse si assiste gratuitamente e le produzioni televisive hanno costi spesso più alti dei ricavi dei possibili diritti, ma nei territori dove il ciclocross è ben radicato gli organizzatori hanno da tempo trovato un modo per far quadrare i bilanci, incentrato sì su sponsor e dirette tv, ma soprattutto sulla presenza fisica e numerosa del pubblico. Alle gare di ciclocross gli spettatori pagano un biglietto, seppur contenuto, ma soprattutto all'interno vivono in un clima da sagra che li trattiene per la giornata intera, svuotando i loro portafogli in cibo e fiumi di birra.
Tra Belgio e Paesi Bassi il ciclismo riesce a esprimere ai massimi livelli la sua capacità di diventare una festa di popolo che abbraccia un pubblico senza distinzioni di età o estrazione sociale. Sotto il tendone del bar i pomeriggi delle Fiandre sembrano tornare a un ricco medioevo, quello che descriveva lo storico Fernand Braudel ripercorrendo il passato fiammingo: "La fiera è baraonda, fracasso, musica popolare, festa, il mondo alla rovescia, disordine, talvolta tumulto". E la fiera del ciclismo si celebra ogni fine settimana di inverno, in musica e birra. Ogni piccola regione aspetta la sua corsa, l'appuntamento in cui tramutare in festa quel semplice esercizio che è pedalare in bicicletta tra campi, sentieri, boschi, spiagge e parchi.

 

Eppure d'un tratto, sul finire della scorsa estate, tutto ciò è svanito. Come ogni attività umana, anche il ciclocross ha dovuto adattarsi alle esigenze sanitarie, e lo ha fatto a suon di tagli. Il calendario della stagione è pieno di righe rosse, ciascuna cancella una corsa inizialmente programmata e poi annullata. La Coppa del Mondo, che in questa stagione avrebbe dovuto esordire con un calendario nuovo e più ricco, ha visto scomparire ben sei delle undici prove in programma. Saltano del tutto le competizioni in mano a piccoli organizzatori (tanto nel nord Europa quanto in Italia), mentre resistono quelle dei colossi, animati più che altro dalla volontà.

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“È il calendario della speranza”, come l'ha definito Christophe Impens di Golazo, uno dei due mega-organizzatori fiamminghi, all'inizio di una stagione il cui completamento è tutt'altro che certo. I grandi organizzatori non sanno nemmeno se riusciranno a ripagarsi le spese, ma hanno deciso di provare ugualmente, seguendo il richiamo alla responsabilità etica del ciclocross citata dal ministro dello Sport fiammingo Ben Weyts: portare ugualmente gioia e divertimento, almeno un po' di intrattenimento. Per riuscirci hanno dovuto sopprimere quasi tutte le categorie giovanili e tagliare ingaggi e premi; il Superprestige, il torneo più antico del Belgio, ha addirittura vincolato i premi finali alla disputa di almeno un terzo delle prove. Sacrifici per andare avanti, per una gioia che continua a sfuggire.

 

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Dopo aver conquistato il titolo europeo under23, Ryan Kamp ha dichiarato che la felicità per il suo successo era stata “mitigata dal silenzio”. E anche a guardare in televisione, tra immagini di droni sempre più suggestive, la prima percezione è proprio quella: il silenzio. È come se mancasse un pezzo. Le gare si corrono, i ciclisti e le cicliste si danno battaglia e si abbandonano a un innato spirito competitivo che è più forte di ogni costrizione ambientale, ma tutto appare come se fosse un set cinematografico, come quelle facciate in legno degli spaghetti western dietro alle quali non c'era nessun edificio. Intorno alla corsa non c'è più un popolo, ci sono soltanto transenne. Se le transenne potessero applaudire, se potessero bere birre o mangiare patatine, se potessero ballare, se potessero gioire, forse non si noterebbe nulla. Ma le transenne non hanno un cuore, sono solo freddo metallo, e guardarle come uniche compagne dei corridori suscita nuovamente il dubbio sul senso di tutto ciò.

 

Certo, c'è lo sport, c'è il risultato, ci sono corridori che si allenano tutto l'anno per correre e competizioni che aspettano di avere un vincitore. E c'è l'inverno da riempire, stagione infinitamente lunga per chi ama il ciclismo. Fu proprio l'inverno a dare vita al ciclocross, nato agli inizi del Novecento come disciplina per mantenere allenati i corridori, ma era una vita fa. Da decenni ormai il ciclocross si è affermato come circuito a sé, con i suoi protagonisti, i suoi suiveur, le sue corse divenute ormai il più coinvolgente spettacolo che il ciclismo tutto riesca a offrire. E ora che i protagonisti tornano a essere i medesimi della classiche su strada, ma seguendo un percorso inverso, il ciclocross si ritrova a interrogarsi sul suo stesso senso, che non può limitarsi al solo spettacolo televisivo. Chissà che non tornino a essere i campioni del ciclismo su strada a riempire di significato questa stagione del silenzio. Van Aert e van der Poel (ma non sono i soli) potrebbero scegliere un inverno più facile, andare in ritiro alle Canarie o chissà dove altro, invece vanno avanti a battersi, a prendere freddo, a darci dentro a tutta dal primo all'ultimo minuto di gara. Perché? Perché si divertono, perché il ciclocross non è solo ciò che li ha cresciuti ma ciò che più amano nel ciclismo. “Il ciclocross è la cosa più bella che c'è”, disse van Aert rientrando alle gare l'inverno passato, dopo un infortunio al Tour de France che lo aveva appiedato per sei mesi. 

 

Non sarà un anno di silenzio a fargli cambiare idea.

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