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Grosjean e quei 28 secondi d'inferno

Umberto Zapelloni

L'incidente, le fiamme, le difficoltà a uscire dall'abitacolo della sua Formula 1. Il racconto del pilota francese

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All’inferno e ritorno in 28 secondi che gli sono sembrati infiniti. Romain Grosjean non ha la faccia del super eroe anche se i suoi tre bambini lo vedono così dopo che è scappato dal fuoco con un salto degno di un oro olimpico. Con le mani ancora fasciate, un po’ doloranti per le ustioni, torna in pista a Bahrain per abbracciare colleghi, amici, avversari. E per raccontare. Lo fa ai microfoni di Sky e il suo racconto mette i brividi. “Per me non sono trascorsi solo 28 secondi, mi sembrava fosse passato più di un minuto e mezzo. Quando la macchina si è fermata, ho aperto gli occhi e mi sono subito slacciato la cintura di sicurezza”.

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All’inferno e ritorno in 28 secondi che gli sono sembrati infiniti. Romain Grosjean non ha la faccia del super eroe anche se i suoi tre bambini lo vedono così dopo che è scappato dal fuoco con un salto degno di un oro olimpico. Con le mani ancora fasciate, un po’ doloranti per le ustioni, torna in pista a Bahrain per abbracciare colleghi, amici, avversari. E per raccontare. Lo fa ai microfoni di Sky e il suo racconto mette i brividi. “Per me non sono trascorsi solo 28 secondi, mi sembrava fosse passato più di un minuto e mezzo. Quando la macchina si è fermata, ho aperto gli occhi e mi sono subito slacciato la cintura di sicurezza”.

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“Non avevo più il volante e solo nei giorni successivi la squadra mi ha spiegato che lo sterzo era entrato tra le gambe, che tutto si era rotto ed è andato giù. Non ho dovuto preoccuparmi di tirarlo via così ho provato a saltare fuori. Ma sentivo che qualcosa mi toccava la testa, così mi sono seduto di nuovo in macchina e il mio primo pensiero è stato: ‘Aspetterò’. Sono a testa in giù contro il muro, quindi aspetto che arrivi qualcuno ad aiutarmi".

 

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“Poi mi sono guardato attorno è ho visto tutto arancione. Ma ho pensato, quello non è il tramonto… è il fuoco… La visiera del casco ha cominciato a sciogliersi… Mi è venuto in mente Lauda che era il mio pilota preferito. Mi sono detto qui mi devo sbrigare, non ho proprio il tempo di aspettare. Ho cercato di salire un po' di più a destra, ma non riuscivo ad uscire. Vado di nuovo a sinistra, e non funziona. Mi siedo di nuovo e ripenso a Niki, al suo incidente, e penso, sì, non può finire così. Non poteva essere la mia ultima gara. Non poteva finire così. Non può essere. Così ci provo di nuovo. E sono bloccato".

 

“Riuscirò ad uscire? Soffrirò?”.  

 

"Mi risiedo, e il mio corpo inizia a rilassarsi. E’ stato il momento meno piacevole, mi sentivo in pace con me stesso e ho pensato che stavo per morire. Mi sono chiesto: ‘Brucerà la mia scarpa, il mio piede o la mia mano? Sarà doloroso? Da dove inizierà il dolore? Ho visto davvero la morte in faccia, era lì di fronte a me, l'ho chiamata Benoit, non chiedetemi perché.. Poi ho pensato ai miei figli. Non possono perdere il loro papà oggi. Quindi, non so perché, ma ho girato il casco a sinistra, sono salito e ho provato a girare la spalla. Ha funzionato”.

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E’ quasi il racconto di un miracolo in diretta. Perché è vero che la cellula di sopravvivenza, l’Hans , l’Halo, la tuta ignifuga hanno fatto il loro dovere, ma senza un po’ di fortuna, senza una buona dose di miracolo, non sarebbe finita con Grosjean supereroe.

   

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"A quel punto mi sono reso conto che il mio piede sinistro era rimasto incastrato nell'abitacolo. Così mi sono seduto di nuovo. Tiro più forte che posso sulla gamba sinistra. La scarpa è rimasta dov'era il mio piede, ma il mio piede è uscito dalla scarpa. Rifaccio di nuovo la stessa manovra, la spalla passa attraverso la fessura e, nel momento in cui la spalla è passata oltre l’Halo, realizzo che posso saltar fuori”.

  

 "I miei guanti sono normalmente rossi. Ma vedo, soprattutto quello sinistro, cambiare colore, iniziare a sciogliersi e diventare completamente nero. Sento il dolore delle mie mani che sono sul fuoco, ma sento anche il sollievo di essere fuori dalla macchina. Poi salto fuori, salgo sulla barriera e sento Ian Roberts tirare la mia tuta. Finalmente realizzo che non sono più da solo e c'è qualcuno con me".

  

“Quando atterro e poi mi toccano sulla schiena, mi dico: 'Oh merda, sono come una palla di fuoco in corsa'. Avevo in mente l'immagine che abbiamo visto in un video della FIA quando hanno fatto un test. Avevano messo qualcuno tra le fiamme e lui correva, il tutto per mostrare che la tuta era forte. Mi stringo la mano perché sono molto caldo e dolorante. Mi tolgo subito i guanti perché ho anche l'impressione che la pelle si stia sciogliendo, e che si attaccherà ai guanti. Quindi voglio togliermi subito entrambi i guanti, in modo che la pelle non si attacchi”.

  

"Successivamente Ian viene a trovarmi, mi parla e mi dice: Siediti! Gli ho risposto male, e gli ho detto: Parlami normalmente, per favore. Credo che abbia capito che stavo bene, che ero normale. E poi ci siamo seduti, ma siamo troppo vicini al fuoco e sento i ragazzi dell'estintore che dicono 'la batteria è in fiamme, porta qualche altro estintore! Porta qualche altro estintore'. Ci sediamo nell’auto medica. Mi mettono un impacco freddo sulla mano. Dico che ho le mani bruciate e che il piede è rotto. Ma poi il dolore comincia a farsi sentire forte davvero, soprattutto sul piede sinistro. Le mani erano a posto, il piede sinistro inizia a essere molto doloroso".

   

"Ian mi spiega che l'ambulanza sta arrivando e che verranno con la barella e che io starò bene. Continuiamo a parlare in quel momento, e io dico: ‘No, no, no, no, andiamo a piedi verso l'ambulanza". Loro dicono: ‘No, no, no, no, la barella sta arrivando’. Io dico ancora: 'No, no, no, no, la barella no'. E loro: ‘Va bene, ti aiuteremo noi a camminare’. Credo che dal punto di vista medico non sia stata la decisione ideale, ma hanno capito che per me è stato fondamentale nel momento in cui c'erano delle riprese in tv far vedere alla mia famiglia e a tutti che camminavo verso l'ambulanza, anche se ero uscito dall'incendio. Avevo bisogno di mandare un altro messaggio forte, che comunicasse che stavo bene e che stavo andando a piedi verso l'ambulanza. Dopo di che, ogni volta che incontravo qualcuno, dicevo: ‘Ho due mani bruciate e un piede rotto’. Questo è tutto quello che potevo dire a tutti quelli che incontravo. Ero ovviamente spaventato dalla mia condizione e volevo che tutti quelli che venivano a curarmi sapessero quali erano i sintomi”.

  

“Questa è la storia completa dei 28 secondi. Come potete immaginare, sembravano più di 28 secondi con tutti i pensieri che avevo, quindi, devono essere stati mille secondi". Non è da tutti esser usciti dall’inferno e poterlo raccontare.

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