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Maradona e gli altri. Quando il divino si fa sport

Marco Pastonesi

La mistica nel calcio e non solo nel calcio. Tra accostamenti azzardati e credo spiccio, dal ciclismo al rugby, dal tennis all'alpinismo, l'ultraterreno ha trovato terreno fertile nel mondo sportivo

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Città del Messico, Stadio Azteca, Mondiali di calcio 1986, quarti di finale, Argentina-Inghilterra. Sesto minuto del secondo tempo. Hodge, centrocampista inglese, alza un pallone nella propria area, Maradona precede il portiere Shilton nel colpirlo e segna. L’azione è sospetta. L’arbitro tunisino convalida. La partita finisce 2-1 per l’Argentina, che poi avrebbe vinto il Mondiale. Ai giornalisti che pretendono la verità, Maradona precisa: “Un po’ con la testa di Maradona, un po’ con la mano di Dio“.

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Città del Messico, Stadio Azteca, Mondiali di calcio 1986, quarti di finale, Argentina-Inghilterra. Sesto minuto del secondo tempo. Hodge, centrocampista inglese, alza un pallone nella propria area, Maradona precede il portiere Shilton nel colpirlo e segna. L’azione è sospetta. L’arbitro tunisino convalida. La partita finisce 2-1 per l’Argentina, che poi avrebbe vinto il Mondiale. Ai giornalisti che pretendono la verità, Maradona precisa: “Un po’ con la testa di Maradona, un po’ con la mano di Dio“.

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Dio entra in campo, scende in pista, si tuffa in piscina. Dio c’è: almeno nello sport. Dio si rivela: e non solo nello storico gol di Diego Armando, visto e rivisto, celebrato e condannato, osannato e dissacrato, esaltato e maledetto in questi giorni commemorativi. E forse c’era anche il 13 maggio 1939 a Milano, Stadio San Siro, Italia-Inghilterra: ma Silvio Piola, numero 9, autore della trasgressiva prodezza al 64’, non costretto a confessare, evitò di coinvolgere il Numero 1. Era un’amichevole, e finì amichevolmente 2-2.

   

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Onnipotente e onnisciente, Dio non è onnipresente. Quando marca visita, a volte manda un sostituto. Renzo De Vecchi era “il Figlio di Dio”. Fu un tifoso a riconoscere in lui la divina parentela e a divulgarla. Da mezzala a terzino, “il Figlio di Dio” esordì in Nazionale a 16 anni, passò dal Milan al Genoa perché anche un Signore aveva bisogno del vile denaro (un impiego in banca). Al Milan fu sostituito da Carlo De Vecchi, soltanto omonimo, soprannominato “il Nipote di Dio” con affetto e – per l’evidente differenza tecnica - un po’ di ironia.

   

Per fare – appunto – la differenza, è indispensabile almeno un dettaglio. Se non l’arte, almeno un arto. John McEnroe era “il Braccio sinistro di Dio”: giocava d’attacco, serve-and-volley, anticipava i colpi, cercava gli angoli, talvolta richiamava in campo, con una certa durezza, il Titolare di quello che a volte era pennello, a volte fionda, fucile, piuma. Ma “il Braccio sinistro di Dio” era anche Franco Porzio, napoletano, che nella pallanuoto è stato olimpionico, mondiale, europeo e pluriscudettato, grazie a bordate e palombelle, legnate e beduine. “Il Piede di Dio” è quello battezzato dalla “Gazzetta dello Sport”, il 2 novembre 2020, per sublimare la rovesciata con cui Zlatan Ibrahimovic ha trascinato il Milan alla vittoria con l’Udinese. “Il Tacco di Dio” apparteneva invece a Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira, più semplicemente e filosoficamente Socrates. Passaggi e gol, smarcamenti e depistamenti, il colpo di tacco era la sua specialità, il suo marchio di fabbrica, il suo diritto d’autore. Per un giorno, “il Tacco di Dio” è stato anche Rabah Madjer, algerino, che con quel gesto istintivo, improvvisato e artistico aiutò il Valencia a superare il Bayern di Monaco nella conquista della Coppa dei campioni 1987.

   

Pur sopra le parti, Dio tifa. Franco Scoglio, il Professore, sospettava che, se non Dio, almeno Gesù Cristo fosse genoano. Forse pensava più alla passione e al sacrificio, che gemellavano il Calvario e la Gradinata Nord, due luoghi fatali. O forse si riferiva a certi aspetti religiosi – preghiere, fede, miracoli, ma anche peccati e conseguenti espiazioni e persecuzioni – che sembrano poter legare la Famiglia celeste a quella rossoblù.

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A volte Dio appare per mimesi o metamorfosi, seppur temporanee. Per Diego Abatantuono è successo con Gianni Rivera. Il racconto è quasi una parabola: “Un giorno a mio nonno cadde il portafoglio e scivolarono fuori una foto di Gianni Rivera e un santino di Padre Pio. Gli chiesi chi fossero. Mi rispose: ‘Uno fa miracoli. L’altro è un popolare frate pugliese’. Il mio milanismo è nato lì”. E non è tutto: "Rivera era il mio dio. E quando ho scoperto che abitavamo nella stessa casa, mi è sembrato di essere in paradiso. Piazza Velasquez 7. Io al secondo piano, lui al settimo. Un giorno prendiamo insieme l’ascensore. Io faccio finta di niente, con la faccia di chi si chiede: ‘Ma chi è questo qui? Dov’è che l’ho già visto?’. Sul fatto che abitassimo nella stessa casa, ho testimoni: la portinaia. Che mi faceva anche le punture”.

   

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Dio preferisce però il pallone ovale. Così sostengono i rugbisti. Tant’è che a Cardiff, quando hanno costruito il Millennium, lo hanno dotato di una cupola mobile proprio per permettere a Dio di vedere il Galles vincere. Tant’è che tutti gli abitanti di Ovalia giurano che il rugby sia lo sport giocato in paradiso. Tant’è che, il giorno in cui il Galles superò la Scozia a Murrayfield – era il Cinque Nazioni del 1971 – grazie a un calcio lontano e angolato, effettuato a poco dalla fine, si proclamò che quella era stata “la più grande conversione dai tempi di San Paolo”. Tant’è vero che, si tramanda, i piloni (i giocatori di sinistra e destra nella prima linea della mischia) hanno accesso automatico e diretto in paradiso senza passare attraverso il Giudizio Universale.

  

Ma Dio ama anche la bicicletta. Lo dimostra, e si mostra, sotto altre spoglie. “Il Dio di Roserio”, il titolo di un’opera di Giovanni Testori, era un corridore. Gilbert Marley, pioniere angloitaliano, era “il Castigo di Dio”. La legge divina si manifesta nel primo incontro fra Fausto Coppi, futura maglia rosa, gialla, tricolore e iridata, e Luigi Malabrocca, futura maglia nera. Nel 1938, a Bassignana, tra Valenza e Alessandria, alla partenza di una corsa per dilettanti. Pronti, via, dopo pochi chilometri, quando il gruppo era ancora compatto, forò Domenico Massa, un genovese che andava forte. La legge, non scritta ma applicata, recitava “ognuno per sé, Dio per tutti”. Malabrocca si stupì nello scoprire che Coppi si era fermato accanto a Massa e gli aveva dato la sua bicicletta. Ma il regolamento non prevedeva cambi di biciclette, e il direttore di corsa – ateo? - li squalificò tutti e due.

  

Quel Coppi. Donato Zampini mi confidò: “Per noi – con tutto il rispetto per Gesù Cristo – Fausto era un dio, o almeno un superuomo, un uomo fuori dal normale. Giro di Lombardia 1952, il mio capitano era Fiorenzo Magni, ma io trasgredii i miei compiti e aiutai Coppi. Mi incitava: ‘Vai, tira’. E io tiravo”. La più grande soddisfazione di Zampini fu una tappa al Giro di Svizzera 1954: “Primo io, da solo, dopo essere stato in fuga tutto il giorno, secondo Coppi”.

  

E se Dio sta nell’alto dei Cieli, sta anche nell’alto della Terra. L’11 agosto 1962 il trentino Armando Aste, un mistico, soprannominato “Il cercatore dell’infinito”, realizzò la prima ascensione italiana sulla Nord dell’Eiger con Pierlorenzo Acquistapace, Gildo Airoldi, Andrea Mellano, Romano Perego e Franco Solina. In parete aveva convinto i compagni a recitare il rosario. Poi sul libro-vetta scrisse: “Gloria a Te, Signore”. Sia chiaro: non si riferiva alla bicicletta Gloria, con cui Angelo Varetto vinse una Milano-Sanremo.

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