PUBBLICITÁ

Talento sì, moralismo no

Maradona come vaccino anti puritani

Se ci si pensa bene in fondo la storia di Maradona questo ci dice: le virtù degli artisti restano virtù anche se dietro quelle virtù si nascondono i vizi

Claudio Cerasa

La storia di Maradona ci insegna anche questo: di fronte alla poesia di un'artista è possibile pensare a ciò che si vede nella pellicola piuttosto che pensare alla vita del regista

PUBBLICITÁ

Si faceva di cocaina. E’ stato violento con alcune donne. E’ stato accusato di essere un molestatore. Si è rifiutato a lungo di riconoscere i figli avuti fuori dal matrimonio. Si è fatto riprendere mentre sparava ai giornalisti dalla finestra di casa con proiettili ad aria compressa. Non ha mai rinnegato la sua amicizia con alcuni camorristi. Non ha mai nascosto la sua vicinanza ai dittatori. Non ha mai negato di amare chi chiedeva di radere al suolo Israele. Eppure, da mercoledì sera, dall’istante immediatamente successivo alla notizia della sua morte, le uniche immagini che contano della vita di Maradona sono, per tutti, quelle che hanno a che fare non con i fotogrammi della sua dannazione ma con le istantanee della sua poesia. Maradona è questo ed è stato questo. Non la coca, non le donne, non le molestie, non Fidel, non Ahmadinejad ma la rovesciata contro il Pescara nel 1984, il gol dal calcio d’angolo contro la Lazio ancora nel 1984, la punizione contro la Juve nel 1985, il pallonetto contro il Verona nel 1985, la serpentina contro l’Inghilterra nel 1986, i palleggi con i mandarini, gli scudetti vinti, la Coppa del mondo al cielo. Conta questo di Maradona ed è giusto che sia così. Conta il suo talento. Conta il suo genio. Conta la sua classe. Conta la sua arte. Il resto conta, sì, ma conta un po’ meno. Non ce ne siamo accorti forse fino in fondo, ma in ciascuna delle celebrazioni del mito di Maradona è contenuta una verità universale capace di prendere forma solo quando il soggetto in questione si trova immerso nella magia dello sport.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Si faceva di cocaina. E’ stato violento con alcune donne. E’ stato accusato di essere un molestatore. Si è rifiutato a lungo di riconoscere i figli avuti fuori dal matrimonio. Si è fatto riprendere mentre sparava ai giornalisti dalla finestra di casa con proiettili ad aria compressa. Non ha mai rinnegato la sua amicizia con alcuni camorristi. Non ha mai nascosto la sua vicinanza ai dittatori. Non ha mai negato di amare chi chiedeva di radere al suolo Israele. Eppure, da mercoledì sera, dall’istante immediatamente successivo alla notizia della sua morte, le uniche immagini che contano della vita di Maradona sono, per tutti, quelle che hanno a che fare non con i fotogrammi della sua dannazione ma con le istantanee della sua poesia. Maradona è questo ed è stato questo. Non la coca, non le donne, non le molestie, non Fidel, non Ahmadinejad ma la rovesciata contro il Pescara nel 1984, il gol dal calcio d’angolo contro la Lazio ancora nel 1984, la punizione contro la Juve nel 1985, il pallonetto contro il Verona nel 1985, la serpentina contro l’Inghilterra nel 1986, i palleggi con i mandarini, gli scudetti vinti, la Coppa del mondo al cielo. Conta questo di Maradona ed è giusto che sia così. Conta il suo talento. Conta il suo genio. Conta la sua classe. Conta la sua arte. Il resto conta, sì, ma conta un po’ meno. Non ce ne siamo accorti forse fino in fondo, ma in ciascuna delle celebrazioni del mito di Maradona è contenuta una verità universale capace di prendere forma solo quando il soggetto in questione si trova immerso nella magia dello sport.

PUBBLICITÁ

 

A Maradona si perdona qualsiasi cosa non solo perché è stato come un’opera d’arte collettiva, un racconto con dentro le periferie del sud del mondo, il populismo latinoamericano, Buenos Aires, Napoli, Cuba, Che Guevara, Chávez, il Papa, la coca, la vita sfrenata, ma anche perché lo sport è forse l’ultima frontiera del mondo all’interno della quale il moralismo veicolato dal politicamente corretto non ha impedito di fare quello che in altri mondi è invece proibito anche solo pensare: giudicare il talento a prescindere dalla storia di chi esprime quel talento.

 

PUBBLICITÁ

A Maradona si perdona quello che non si riesce a perdonare a Woody Allen, a Kevin Spacey, a Roman Polanski, a Michael Jackson, a Placido Domingo, a Louis C.K., persino a Charlie Chaplin, per non parlare di Cristoforo Colombo e di Cecil Rhodes, e lo si fa forti di una consapevolezza rotonda.

 

Nella vita esiste una delimitazione precisa tra ciò che si è e ciò che si fa. E quando ciò che si fa è lì che brilla infinitamente di più rispetto a ciò che si è non c’è santificazione che possa conoscere ostacoli. Perché il talento viene prima del vizio. Perché la virtù viene prima del peccato. Perché l’essere bravi viene prima dell’essere colpevoli. Nello sport, o forse ancora più nello specifico nel calcio, o se vogliamo anche nella boxe, pensiamo per esempio al mito folle e maledetto di Mike Tyson che sta alla boxe più o meno come Maradona sta al calcio, esiste un codice non scritto che il regime del politicamente corretto non permette di applicare a ogni altra forma di genio artistico. Un codice che permette alla cultura puritana e al moralismo spicciolo di arretrare di fronte a Maradona e che permette a tutti noi di fare quello che forse occorrerebbe fare anche in ambiti diversi: concentrarsi magicamente su ciò che si fa rispetto a ciò che si è, pensare più a ciò che si vede in una pellicola piuttosto che alla vita del regista, ascoltare la voce di un tenore senza pensare a cosa combina quella voce quando non si trova sul palco.

 

Maradona ce lo teniamo così. Con la coca, le foto coi camorristi, gli endorsement per Ahmadinejad, le botte alla fidanzata. E se ci si pensa bene in fondo la storia di Maradona questo ci dice: le virtù degli artisti restano virtù anche se dietro quelle virtù si nascondono i vizi. Talento sì, moralismo no. Viva Maradona.

PUBBLICITÁ
Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ