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Maradona non era un evasore, il Fisco italiano è più sregolato di lui

Luciano Capone

Condannato a pagare 40 milioni di euro, braccato dai finanzieri che gli sequestravano orologi e orecchini, offeso da media e politici. Ma in quella storia il Pibe era innocente. O meglio, era colpevole di non essere stato in grado di difendersi come i suoi amici Careca e Alemao dalla macchina infernale dell'Erario italiano

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La vita sregolata, la cocaina, l’alcol, le frequentazioni con i camorristi del clan Giuliano, l’amicizia con dittatori e autocrati come Fidel Castro e Hugo Chávez passando per Mahmoud Ahmadinejad, ma non l’evasione fiscale. Di tutte le storie sui vizi e gli errori della leggenda del calcio appena scomparsa, ce n’è una che è davvero una leggenda: Diego Armando Maradona era un evasore fiscale.

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La vita sregolata, la cocaina, l’alcol, le frequentazioni con i camorristi del clan Giuliano, l’amicizia con dittatori e autocrati come Fidel Castro e Hugo Chávez passando per Mahmoud Ahmadinejad, ma non l’evasione fiscale. Di tutte le storie sui vizi e gli errori della leggenda del calcio appena scomparsa, ce n’è una che è davvero una leggenda: Diego Armando Maradona era un evasore fiscale.

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Tutti ricordano i blitz all’aeroporto con sequestro di Rolex e orecchini, i finanzieri alle calcagna pronti a consegnare avvisi di mora ogni volta che metteva piede in Italia, così come il gesto dell’ombrello di Maradona rivolto a Equitalia in diretta tv da Fabio Fazio mostrando che quella volta si era presentato senza orologi né gioielli. E pure l’indignazione dei politici di destra e sinistra, da Stefano Fassina che lo definiva “miserabile” a Matteo Salvini che lo accusava di “prendere in giro gli italiani”. Ma sebbene diverse sentenze tributarie arrivate in Cassazione abbiano stabilito che avesse un debito con l’erario di circa 40 milioni di euro (molti di più di quanti ne abbia guadagnati nei sette anni in Italia), la realtà è che Maradona era innocente. O meglio, era colpevole di non essere stato in grado di difendersi. Come invece hanno fatto i compagni di squadra vittime di identiche contestazioni: Alemao, Careca e la Società sportiva calcio Napoli, che hanno ottenuto l’annullamento delle pretese dell’Erario.

 

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La vicenda, lunga e intricata, è raccontata e documentata in dettaglio nel libro “L’oro del Pibe” scritto dal commercialista che ha tentato di difenderlo quando ormai era troppo tardi, Giuseppe Pedersoli, e dal giornalista Luca Maurelli. Tutto parte da due sindacalisti della Cgil che nel 1989 presentano in procura un esposto demagogico contro lo stipendio miliardario di Maradona che “è un insulto alle condizioni di vita dei lavoratori”, chiedendo una verifica fiscale. La denuncia porta a un’indagine penale sui compensi, ulteriori allo stipendio, pagati dal Napoli ai tre calciatori sudamericani per lo sfruttamento dei diritti d’immagine attraverso società con sede all’estero (in Liechtenstein per Maradona): l’ipotesi era che queste operazioni fossero un’“interposizione fittizia di persona” per non pagare le tasse (i contributi la società e l’Irpef il calciatore).

 

I giudici penali hanno escluso per tutti i calciatori – Maradona incluso – che quei corrispettivi fossero retribuzioni mascherate, ma in parallelo era partito un procedimento tributario che ha seguìto la sua strada. Che però non ha mai incrociato quella di Maradona. Il campione infatti fuggì da Napoli il 1 aprile 1991, giorno di Pasquetta, dopo essere risultato positivo all’antidoping. L’accertamento tributario arrivò alla sua casa in via Scipione Capece mesi dopo, il 29 ottobre, ma Maradona – si legge nella notifica – risultava “sloggiato e sconosciuto”. Non essendone a conoscenza non ha potuto impugnare l’accertamento. Né, dopo le “assoluzioni” di Careca, Alemao e del Napoli di Corrado Ferlaino, per lui è stato possibile fare ricorso perché i termini erano scaduti. Così il giudizio è diventato definitivo, insieme al marchio infame di “evasore”, che lo ha perseguitato per anni tenendolo lontano dall’Italia. L’evasione fiscale di Maradona è una storia che non parla dell’eticità e della sregolatezza del Pibe de oro, ma di quella del Fisco italiano.

 

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