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La Revolución Maradoniana in panchina. L'ultimo Maradona allenatore

Federico Giustini

Dopo il fallimento alla guida della Nazionale argentina ci vollero dieci anni al Pibe per ritornare ad allenare nel suo paese. L'esperienza in Messico ai Dorados de Sinaloa e il ritorno a casa al Gimnasia La Plata

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I più giovani giocatori dei Dorados de Sinaloa non avevano ben chiaro chi fosse e cosa rappresentasse per il calcio il loro nuovo allenatore. Allora Mario García Covalles, tecnico in seconda e unico messicano nello staff di Maradona, mostrò loro dei video, compreso quello del riscaldamento nel parcheggio dello stadio comunale di Acerra, prima di un’amichevole benefica su un campo di pozzolana nel gennaio 1985. I sette argentini presenti in rosa fecero il resto, sostenendo l’opera di divulgazione già iniziata dal vice allenatore.

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I più giovani giocatori dei Dorados de Sinaloa non avevano ben chiaro chi fosse e cosa rappresentasse per il calcio il loro nuovo allenatore. Allora Mario García Covalles, tecnico in seconda e unico messicano nello staff di Maradona, mostrò loro dei video, compreso quello del riscaldamento nel parcheggio dello stadio comunale di Acerra, prima di un’amichevole benefica su un campo di pozzolana nel gennaio 1985. I sette argentini presenti in rosa fecero il resto, sostenendo l’opera di divulgazione già iniziata dal vice allenatore.

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Maradona arrivò nel settembre 2018 a Sinaloa - città conosciuta per il famigerato Cartello al cui vertice per anni c’è stato El Chapo Guzmán - per allenare nella serie B messicana una squadra in quel momento ultima in classifica, con soli tre punti guadagnati in sette partite. Serviva uno shock e, senza far mancare un pizzico di retorica, Maradona qualche giorno prima di sbarcare disse in videochiamata al presidente Antonio Núñez: “Presi, ora comincia la Revolución Maradoniana”. Per l’ambiente e per le casse della società fu subito così: in molti si scoprirono appassionati di calcio in città, sottraendo un po’ di importanza ai Tomateros de Culiacán, squadra di baseball più volte campione del Pacifico e principale realtà sportiva locale. Il numero di abbonati crebbe del 30 per cento e dalla vendita dei biglietti il club incassò circa un milione e mezzo di euro.

   

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Nel 2008, quando Maradona divenne ct della nazionale Argentina, Jorge Valdano definì la scelta “rischiosa” per la mancanza di esperienza in altre squadre. Probabilmente aveva ragione e, dopo il Mondiale del 2010, al curriculum del Maradona allenatore si aggiunsero solo le panchine di Al Wasl e Fujairah, prima e seconda divisione degli Emirati Arabi. Da quell’esperienza però portò con sé una tecnica poco ortodossa, ma efficace, di ottenere benevolenza e impegno da parte del gruppo: regalare orologi ai calciatori che si fossero distinti per le loro prestazioni. Loro riconobbero il valore dei premi - soprattutto Vinicio Angulo che ottenne un Hublot dopo una tripletta - ma soprattutto furono travolti dal carisma e dall’entusiasmo di Maradona per quella avventura in cui si stava rimettendo in gioco.

   

I Dorados si tolsero subito dalle posizioni scomode e raggiunsero i playoff sia nel torneo di Apertura che in quello di Clausura. Ma senza lieto fine: in entrambi i casi furono sconfitti in finale. Dell’anno trascorso da Maradona in Messico resta una serie tv-documentario su Netflix e i numerosi video di festeggiamento delle vittorie negli spogliatoi, come quello in cui Diego balla con la squadra sulle note de “La cumbia de los trapos”.

  

Alcuni problemi di salute costrinsero Maradona a lasciare Sinaloa a giugno dello scorso anno, ma quell’avventura lo riconsegnò agli occhi del calcio argentino come un allenatore spendibile per la Primera División. Tra il 1994 e il 1995, quando ancora non aveva smesso di giocare, aveva diretto per una manciata di partite prima il Deportivo Mandiyú e poi il Racing de Avellaneda senza lasciare il segno. Aveva voglia di tornare in Argentina e a fine agosto dell’anno scorso si è fatto avanti il Gimnasia La Plata: dopo qualche giorno di intense trattative ecco la firma. L’8 settembre del 2019 Maradona viene presentato ai tifosi, 25mila persone in estasi allo stadio Del Bosque. El Pibe de Oro scoppia subito in un pianto per la commozione ed è come se si fosse chiuso un cerchio: “Appena entrato in campo mi è apparsa mia madre” spiegherà, aggiungendo che era Doña Tota a invitarlo a non prendersela per l’ostracismo della Federcalcio argentina nei suoi confronti dopo Usa ’94.

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In una sola settimana il club registrò l’iscrizione di 5mila soci e nei mesi successivi Maradona verrà omaggiato in tutti i campi in cui il Gimnasia andò a giocare. Dopo tre sconfitte di fila all’inizio, il rendimento della squadra migliorò: il club viaggiava poco sopra la zona retrocessione, prima della lunga sosta e la conseguente fine anticipata del campionato a causa della pandemia. Quella di La Plata è stata comunque una Revolución Maradoniana, la seconda in due anni, l’ultima. Il giorno della presentazione lui ne aveva esposto il manifesto: “Nessun mitragliatore e nessuna pistola. Si mette la palla al centro per il compagno che la butta dentro e poi si festeggia tutti insieme”.

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