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Il Foglio sportivo

Due anni al fischio d’inizio. Che Mondiale sarà

Giorgio Coluccia e Federico Giustini

Stadi nel deserto, lavoratori sfruttati, accuse di corruzione (ma una  Nazionale più forte). Indagine su Qatar 2022 

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Mancano ancora due anni, ma l’Al Bayt Stadium di Al Khor è già pronto. Il 21 novembre 2022, un lunedì, alle ore undici italiane – le tredici locali – qui verrà dato il fischio d’inizio al Mondiale di calcio in Qatar. Le prove di rito sono state espletate, il presidente della Fifa, Gianni Infantino, ha perfino disputato una partita celebrativa organizzata dalle autorità locali per tenere a battesimo l’impianto da 60mila posti e tetto retrattile. Progettato a forma di tenda beduina, è rivestito anche all’interno da un motivo arabeggiante e psichedelico, a tinte rosse e nere, così intrecciate da farlo apparire di stoffa. Il Qatar sta facendo sorgere dal nulla sei nuovi impianti, altri due erano già disponibili e tutti saranno compresi tra cinque città in un raggio di settanta chilometri, un fazzoletto se paragonato alle lande sconfinate di Brasile e Russia, nazioni che hanno ospitato le ultime due edizioni.

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Mancano ancora due anni, ma l’Al Bayt Stadium di Al Khor è già pronto. Il 21 novembre 2022, un lunedì, alle ore undici italiane – le tredici locali – qui verrà dato il fischio d’inizio al Mondiale di calcio in Qatar. Le prove di rito sono state espletate, il presidente della Fifa, Gianni Infantino, ha perfino disputato una partita celebrativa organizzata dalle autorità locali per tenere a battesimo l’impianto da 60mila posti e tetto retrattile. Progettato a forma di tenda beduina, è rivestito anche all’interno da un motivo arabeggiante e psichedelico, a tinte rosse e nere, così intrecciate da farlo apparire di stoffa. Il Qatar sta facendo sorgere dal nulla sei nuovi impianti, altri due erano già disponibili e tutti saranno compresi tra cinque città in un raggio di settanta chilometri, un fazzoletto se paragonato alle lande sconfinate di Brasile e Russia, nazioni che hanno ospitato le ultime due edizioni.

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La partita inaugurale vedrà di scena la Nazionale qatariota che al centro dell’attacco schiererà Almoez Ali, il giocatore più rappresentativo. È stato il protagonista della Coppa d’Asia 2019, vinta dal Qatar in finale contro il Giappone grazie anche a un suo gol in rovesciata. La storia di questo calciatore ventiquattrenne, nato in Sudan e trasferitosi in Qatar a sette anni per raggiungere il padre emigrato lì, racchiude l’idea di sviluppo del progetto calcistico qatariota: prima si è diplomato all’Aspire, accademia voluta e creata dalla famiglia reale nel 2004 per far crescere a Doha i giovani talenti; poi ha fatto esperienza in Europa, nei club riconducibili al network Aspire (Eupen in Belgio, Cultural Leonesa in Spagna e Lask Linz in Austria), infine è tornato in patria, nell’Al Dulhail.

  

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Il passaggio di Almoez Ali per le rappresentative giovanili è coinciso con quello del suo allenatore Félix Sánchez Bas, scelto come c.t. della prima squadra nel luglio 2017, al termine di un percorso iniziato dieci anni prima alla guida dell’under 16. Il merito principale di Sánchez, che si affida a una collaudata difesa a cinque, è aver inserito tra i grandi molti dei ragazzi protagonisti con la sua under 19, che nel 2014 vinse la Coppa d’Asia di categoria. Il suo predecessore, l’uruguaiano Jorge Fossati, la pensava diversamente e, nel novembre 2016, di fronte alla richiesta della Federazione di schierare sempre meno calciatori naturalizzati si disse pronto a dimettersi. Qualche giorno prima, in una gara contro la Cina, Fossati ne aveva messi in campo dieci, cambi inclusi. Ora, con Sánchez, sono soltanto tre i giocatori nati e cresciuti calcisticamente lontano dal Qatar tra i quasi certi di un posto in rosa per il primo Mondiale della storia dei Maroons. Il primo in medio oriente.

 

Quella che verrà sarà anche la prima Coppa del mondo che non si disputerà in estate. Il Qatar si aggiudicò l’organizzazione del torneo il 2 dicembre 2010, dopo aver avuto la meglio sulla candidatura americana. Ma soltanto nel 2017, quando fu reso pubblico il Rapporto Garcia, un documento investigativo redatto dai vertici del Comitato Etico della Fifa tra il 2012 e il 2014 per fare luce sulle controverse assegnazioni dei Mondiali 2018 e 2022, si seppe che mai prima del voto di Zurigo il Comitato Esecutivo della Fifa aveva discusso della necessità di spostare la competizione a mesi meno caldi. Da quelle pagine emerge un sistema basato su regali, scarsa trasparenza, richieste e scambi di favore. L’ex procuratore generale svizzero Michael Lauber, ora sotto indagine per alcuni incontri segreti con Infantino del 2016 e 2017, non trovò il Rapporto di particolare aiuto. In Svizzera sono aperti più di quindici procedimenti penali relativi allo scandalo Fifa, molti dei quali viaggiano verso la prescrizione.

 

Negli Stati Uniti e in Francia le indagini proseguono. Ad aprile il Dipartimento di giustizia americano ha messo nero su bianco le accuse di corruzione per tre membri del Comitato esecutivo di allora, basandosi soprattutto sulla testimonianza di Alejandro Burzaco, argentino ex amministratore delegato di una società di marketing e diritti tv, già dichiaratosi colpevole di aver versato tangenti a funzionari sportivi: “Gli imputati Teixeira, Leoz e Grondona hanno ricevuto soldi in cambio dei loro voti a favore della candidatura di Qatar 2022”. Le indagini delle autorità francesi invece prendono le mosse da un incontro all’Eliseo del novembre 2010 tra l’allora presidente Sarkozy, l’ex numero uno dell’Uefa Platini e l’attuale emiro del Qatar Al Thani.

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Oltre che per l’assegnazione, questo Mondiale è finito sotto la lente d’ingrandimento anche per le violazioni dei diritti umani e le pessime condizioni dei lavoratori impegnati nella costruzione degli stadi, assoldati da società subappaltatrici dopo essere arrivati da Filippine, Nepal, India, Bangladesh, Ghana e Kenya. Le sollevazioni internazionali degli ultimi anni hanno portato all’abolizione della kafala, ossia il completo assoggettamento degli operai al datore di lavoro, che poteva perfino gestire i permessi di soggiorno e impedire un cambio di impiego. “Si è passati dall’assenso necessario alla non obiezione del datore – spiega Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia – ma è un sistema che non prevede né i sindacati, né l’accesso alla giustizia per denunciare soprusi e stipendi non pagati. Noi abbiamo acceso un faro dal 2013 e da quell’anno in Qatar tra i lavoratori migranti sono morte 2.700 persone, quasi tutte per stress termico, un decesso improvviso nel sonno dopo aver lavorato per ore e ore a 45 gradi”. Molte organizzazioni internazionali hanno denunciato turni di 12 ore consecutive, senza un giorno di riposo anche per tre settimane di fila. Sotto accusa sono finiti anche gli alloggi degli operai, costretti a stare in camere da quattro in strutture in legno di tre piani. Tutte sorte attorno a una lingua d’asfalto per dargli la parvenza di un villaggio spuntato in mezzo al nulla. Intanto allo stadio di Al Khor hanno appena inaugurato due murales giganteschi, una sorta di scacchiera con i volti di tutti gli operai impegnati nei lavori. Spontanea volontà o vero pentimento?

  
L’inchiesta sui Mondiali 2022 continua sul numero del Foglio sportivo in edicola sabato prossimo, 28 novembre

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