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Il Foglio sportivo

“Lo sport unisce” non è retorica a Belfast

Emmanuele Michela

A cent'anni dal Bloody Sunday nel quartiere lealista c’è un nuovo club di sport gaelici dove cattolici e protestanti giocano insieme

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Quando David McGreevy e il suo amico Richard Maguire s’annoiavano durante il lockdown, mai avrebbero pensato che una loro idea sportiva sarebbe finita dopo qualche mese sui giornali, né che un’intuizione covata unicamente come passatempo avrebbe avuto la forza di smuovere un’intera comunità verso qualcosa di “storico”, nel suo piccolo. Ma a Belfast è raro trovare qualcosa che non cada nelle tradizionali casacche di cattolici e protestanti, o meglio sarebbe dire, ormai, repubblicani e unionisti, definizioni politiche ben più adatte in una stagione in cui i credi religiosi vanno facilmente raffreddandosi. Qui tutto è diviso: quartieri, strade, scuole, pub… Tutto può essere terribilmente “esclusivo”, assorbire le paure degli uni e gli orgogli degli altri, in una città che ancora ha quartieri tagliati da muri. Pure lo sport può esserlo, ancor di più gli sport gaelici, quell’insieme di discipline che solo in Irlanda accendono i cuori di migliaia di appassionati, un unicum di non professionismo e stadi pieni, tradizione e popolarità in tutta l’isola in barba ai confini tra Gran Bretagna e Eire, che nella capitale dell’Ulster, però, sono stati tradizionalmente associati più alla comunità cattolica/repubblicana. Ma da maggio a East Belfast, quartiere lealista per eccellenza, esiste un nuovo club di GAA, quello pensato da David e Richard: una squadra che vuole essere per tutti.

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Quando David McGreevy e il suo amico Richard Maguire s’annoiavano durante il lockdown, mai avrebbero pensato che una loro idea sportiva sarebbe finita dopo qualche mese sui giornali, né che un’intuizione covata unicamente come passatempo avrebbe avuto la forza di smuovere un’intera comunità verso qualcosa di “storico”, nel suo piccolo. Ma a Belfast è raro trovare qualcosa che non cada nelle tradizionali casacche di cattolici e protestanti, o meglio sarebbe dire, ormai, repubblicani e unionisti, definizioni politiche ben più adatte in una stagione in cui i credi religiosi vanno facilmente raffreddandosi. Qui tutto è diviso: quartieri, strade, scuole, pub… Tutto può essere terribilmente “esclusivo”, assorbire le paure degli uni e gli orgogli degli altri, in una città che ancora ha quartieri tagliati da muri. Pure lo sport può esserlo, ancor di più gli sport gaelici, quell’insieme di discipline che solo in Irlanda accendono i cuori di migliaia di appassionati, un unicum di non professionismo e stadi pieni, tradizione e popolarità in tutta l’isola in barba ai confini tra Gran Bretagna e Eire, che nella capitale dell’Ulster, però, sono stati tradizionalmente associati più alla comunità cattolica/repubblicana. Ma da maggio a East Belfast, quartiere lealista per eccellenza, esiste un nuovo club di GAA, quello pensato da David e Richard: una squadra che vuole essere per tutti.

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David racconta la genesi in maniera semplice al Foglio Sportivo: “Richard è sposato con una donna di East Belfast, io lo farò il prossimo anno, quindi le nostre vite si costruiranno in questa zona della città. Essendo io un tipo proattivo, speravo di avere un club di sport gaelici attivo prima che i miei figli diventassero grandi. Sono cresciuto giocando a calcio gaelico, e, al di là dei benefici fisici, ho visto di persona l’impatto di questo sport sullo sviluppo mentale ed emotivo dei bambini”. Il progetto iniziale, quindi, era di creare una squadra U12 e partire con calma, ma da un tweet generico, una mattina, si è scatenato un tam tam inatteso: “Ho inviato il messaggio alle 9.15, all’ora di pranzo avevamo già abbastanza nomi per una squadra di calcio gaelico maschile e di camogie (versione femminile dell’hurling, nda), e le email non hanno mai smesso di arrivare”. Hanno dovuto così rivedere i loro piani: “In questo momento abbiamo solo squadre di adulti e più di 400 membri, quindi probabilmente siamo la società di sport gaelici più grande della nostra contea. Molti genitori e molte scuole si sono messi in contatto con noi, penso che all’inizio della prossima stagione arriveremo a 1.000 iscritti”.

 

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Il calcio gaelico, a East Belfast, mancava dagli anni Settanta. All’epoca giocava le sue ultime stagioni il St. Colmcille GAA, ma i Troubles erano una minaccia sempre più asfissiante sulla città: 5 anni fa la Bbc ha tentato di ricostruire perché quel club scomparve, scoprendo che il numero di iscritti calava perché i calciatori temevano intimidazioni e violenze da parte della comunità protestante, anche dopo la morte del padre di un iscritto, ucciso da una pipe bomb. Certo la città da allora è cambiata: il clima è tutto sommato pacifico, il suo centro è fiorito di palazzi nuovi, vetrine e centri commerciali. Nei quartieri più duri, di giorno, si possono avventurare anche i turisti, a bordo dei tradizionali black cab taxi, con cui vedere di persona peace lines e murals, godere delle storie raccontate dai tassisti che quelle tragedie le hanno viste e accorgersi di quanta discrezione serva per giudicare, e di quanto piccoli ci si senta di fronte a un conflitto tanto interminabile, sanguinoso, impazzito.

 

Eppure East Belfast, e con lei tanti altri quartieri più periferici, resta sempre una zona complessa della capitale nordirlandese, anche segnata da disoccupazione e problemi sociali. Pensare che nello stemma del club neonato trova spazio proprio uno dei simboli di questa area, ovvero “Samson” e “Goliath”, i carriponte della Harland and Wolff, uno tra i cantieri navali più celebri al mondo, che ha dato vita, tra gli altri, a un gioiello come il Titanic. Sopra di loro ci sono un trifoglio, un cardo e la “red hand”, simboli diversi di comunità diverse, e sotto la scritta “Together” riportata in inglese, gaelico e dialetto scozzese dell’Ulster. Il tutto colorato di nero e giallo, colori che non c’entrano con le tradizionali tinte unioniste e repubblicane.

 

McGeevy è cosciente fino in fondo di ciò che stanno facendo e di quale potenziale di dialogo possa avere lo sport in una città come Belfast: “Cattolici e protestanti, in Nord Irlanda, mantengono ancora sistemi educativi separati, per questo è possibile anche crescere senza avere un amico di tradizione diversa dalla tua. Società in tutto il mondo cercano metodi nuovi e innovativi per portare persone assieme, noi lo stiamo offrendo attraverso gli sport gaelici, imparando di giorno in giorno cosa funziona e cosa no. Il principio che ci guida è l’inclusività, ci occupiamo di sport e di avvicinare persone. Di solito gli sport gaelici sono tradizionalmente associati alla popolazione cattolica e nazionalista, ma in realtà sono aperti a tutti. Valori storici, culturali e istituzionali hanno tirato su barriere che noi stiamo tentando di abbattere”.

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Certo, tutto ciò non sta passando inosservato in città: le iscrizioni crescono, ma pure gli sguardi maligni. Ad agosto, alcuni membri del club dovevano abbandonare il loro campo d’allenamento in seguito a un allarme bomba (che poi si è scoperto falso), catalogato  dalla polizia come crimine d’odio settario. Le condanne politiche non sono mancate, e la cosa è finita lì, ma non è qualcosa di nuovo in questa città, che vive costantemente un leggero stato di tensione, brace sotto la cenere che ancora sfrigola, pronta a concedere talvolta qualche vampata e a rianimare di proteste e violenza i quartieri, strizzando l’occhio non di rado ai giovani,  afflitti da una crisi più sociale che politica.

 

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McGeevy cerca di guardare il presente e il futuro con positività, si gode il successo del suo club che spiega andando indietro al 1998: “Le basi di tutto ciò sono state messe dagli accordi del Venerdì Santo che hanno segnato un nuovo inizio per una società molto divisa. Per questo la mia generazione è quella del processo di pace. C’era chiaramente sete di maggiori interazioni tra le comunità, ma scarse opportunità per crearne. Per questo poter stringere relazioni d’amicizia con persone che non avresti mai incontrato prima, e così essere parte di una nuova comunità, ha catturato l’immaginazione delle persone”. E aggiunge: “La mia generazione non vuole essere etichettata con cose che non riflettono realmente la nostra vita quotidiana. Vogliamo esprimere la nostra identità, ma farlo in modo equilibrato. La squadra unisce persone provenienti da diversi background. Abbiamo capito che avevamo tanto in comune. Non avevamo avuto però l’opportunità di incontrarci”.

 

Ecco perché, quindi, si è arrivati agli sport gaelici, un mondo che a East Belfast mancava da anni. Uno sport poco conosciuto al di fuori dell’Irlanda, ma che nell’Isola Verde appassiona ancora più di ogni altra disciplina. E questo nonostante non esista professionismo per la GAA (la Gaelic Athletic Association), né “mercato”. I tornei locali, durante il corso dell’anno, lasciano spazio alle sfide tra contee, con la promessa di un posto in palio per la finale di settembre, al Croke Park di Dublino, un tempio da 80mila spettatori – rigorosamente pieno per le gare di cartello – che per altro nel 1920 fu testimone di un terribile fatto di sangue: membri dell’esercito britannico aprirono il fuoco sulla folla presente nell’impianto riunita per assistere alla sfida tra Dublino e Tipperary, uccidendo 14 persone. Sport e storia, palloni e politica che si intrecciano, lo avete capito, qui sono abituali. E sebbene calcio e rugby abbiano avuto un’ottima diffusione da entrambi i lati del confine, a lungo – nel corso del Novecento, soprattutto nella Repubblica – hanno mantenuto la nomea di garrison games, giochi degli occupanti, a differenza delle discipline gaeliche, strumento identitario proprio degli irlandesi.

  

 

“Gli sport gaelici sono gli sport con la maggiore partecipazione e con più spettatori in Irlanda, seguiti da rugby e calcio”, conclude David. “Un club GAA è il cuore pulsante di ogni comunità. Non contano quali risultati si ottengono ogni settimana, significa appartenere a qualcosa. È tutto completamente amatoriale, nessuno viene pagato, per questo c’entra con la comunità e col fare ciò che è meglio per ognuno in quella comunità. Non ricordo un momento nella mia vita in cui non giocassi a calcio gaelico, sebbene seguissimo il calcio italiano in tv e il Milan fosse il mio club preferito. Era rosso e nero, gli stessi colori della squadra di calcio gaelico che tifavo. Volevo diventare un difensore perché Paolo Maldini era il mio calciatore preferito del Milan. Non sono sicuro di come se la possa cavare Maldini su un campo di calcio gaelico, ma il nostro club a East Belfast è aperto proprio a tutti”.

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