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Il Foglio sportivo

Luigi Mantegna, il pugile che non vince mai

Alberto Facchinetti

Il superwelter è un collaudatore, sale sul ring, resta in piedi, perde. In 85 incontri non è mai stato messo al tappeto dall’avversario

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Non vince mai, eppure rimane sempre in piedi. Può sembrare una metafora sulla boxe per descrivere la vita, invece è il record del superwelter Luigi Mantegna. In 85 incontri disputati ha vinto soltanto due volte e perso 81, senza però essere mai messo al tappeto dall’avversario. Nel suo curriculum Mantegna ha cinque sconfitte per ko tecnico, ma non ha sentito nemmeno una volta l’arbitro contare fino a 10. È un pugile cosiddetto collaudatore. In gergo si chiamano così i mestieranti che salgono sul ring per far crescere i giovani sia in termini di esperienza che nel loro record personale. Perché dai collaudatori ci si aspetta questo. Che perdano e siano ottimi incassatori, rimanendo in piedi per più round possibili.

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Non vince mai, eppure rimane sempre in piedi. Può sembrare una metafora sulla boxe per descrivere la vita, invece è il record del superwelter Luigi Mantegna. In 85 incontri disputati ha vinto soltanto due volte e perso 81, senza però essere mai messo al tappeto dall’avversario. Nel suo curriculum Mantegna ha cinque sconfitte per ko tecnico, ma non ha sentito nemmeno una volta l’arbitro contare fino a 10. È un pugile cosiddetto collaudatore. In gergo si chiamano così i mestieranti che salgono sul ring per far crescere i giovani sia in termini di esperienza che nel loro record personale. Perché dai collaudatori ci si aspetta questo. Che perdano e siano ottimi incassatori, rimanendo in piedi per più round possibili.

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Jim Braddock, il Cinderella Man interpretato da Russell Crowe nel film di Ron Howard, per un periodo della sua carriera è stato considerato anche lui un journeyman, cioè un mestierante da battere. Poi è diventato campione del mondo ed uno dei migliori pugili di tutti i tempi. Mantegna recita perfettamente il suo ruolo con una costanza e una passione per la boxe che commuovono. Il 24 ottobre scorso ha combattuto contro il debuttante Matteo Antonioli a Massa. Alla mattina è partito dalla provincia di Frosinone con il suo maestro Nando Barrale. Pranzo al ristorante, peso e alla sera l’incontro. Dopo la sconfitta, notte in albergo e ritorno a casa di domenica. Al giovedì rientro in palestra per l’allenamento.

 

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“Luigi, venerdì 13 novembre abbiamo un match a Mantova”. Mantegna si fida di quello che è il suo maestro da più di vent’anni. Non gli chiede nemmeno il nome dell’avversario. Gli interessa poco sapere l’età e il suo record. Dà sempre l’ok. In carriera non ha mai rinunciato alla proposta per un incontro. Se c’è da combattere, prepara la borsa e va. Anche quando la telefonata dall’organizzazione arriva soltanto il giorno prima del match. Può capitare infatti che un collaudatore venga chiamato a tappare un buco lasciato da qualche collega indisponibile. A Mantova gli tocca il fiorentino Yassin Hermi. Da poco maggiorenne, ha tre vittorie su tre e pronostici ovviamente dalla sua parte. 

 

Il primo incontro di Mantegna tra i professionisti avviene nel 2006. Affronta a Terni Marco Sardelitti, debuttante come lui. E perde. Anche Bruno Arcari nel 1964 è stato sconfitto all’esordio con Franco Colella per poi chiudere una carriera magnifica, che lo ha portato a diventare campione del mondo e a incappare in un’altra sconfitta soltanto. Non è così che andrà per Mantegna, che già allora non era un illuso. “Avevo già capito tutto da dilettante, 67 incontri senza essere mai andato ko. Purtroppo il mio problema è quello dei soldi – racconta al Foglio Sportivo – ho sempre dovuto lavorare, provando a conciliare gli impegni del pugilato con quelli familiari. Continua a non essere facile trovare il tempo per allenarsi come si deve”. 

 

Mantegna è di cemento armato, nessun colpo (almeno per il momento) può buttarlo giù. Ma quando va sul ring sa già che perderà l’incontro? “No, io salgo sul ring e faccio il mio dovere, buttando fuori tutto quello che ho dentro di me. Nella boxe tutto può succedere. Magari uno ti dà 50 mila cazzotti e poi tu gliene dai uno e lo stendi”. È capitato. Una volta. Nel 2009 a Giuliano di Roma con Mario Pisanti. “Un mancino molto bravo, forte anche da dilettante. Sono arrivato al match poco allenato e infatti mi stava distruggendo. Aspetta, aspetta, aspetta… mi diceva il mio maestro all’angolo e così gli ho messo un destro decisivo sulla mascella. All’americana, da giù a su. Boom! È andato ko”.

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Nella palestra dove si allena nei pressi di Frosinone ha incorniciato una foto con Marcello Matano. “Sono arrivato a Santa Maria Maddalena – dice il superwelter – e non sapevo chi fosse. Ma dai poster e dai ritagli di giornale attaccati alle pareti scopro che è stato campione di questo e campione di quello. Arrivava da un incontro negli Stati Uniti. Sul ring lui era tiratissimo, io con la pancia perché avevo appena mangiato, forse troppo. Caricava alla grande, ma anche quella volta non sono andato giù. Matano ha vinto ma alla fine dell’incontro molto sportivamente mi ha alzato il braccio”.

 

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A un collaudatore può capitare anche l’occasione della vita. Di giocarsi un titolo nazionale. A Mantegna è successo due volte, senza riuscire nell’impresa di trionfare. Il suo sogno di pugile continua a essere quello di indossare un giorno una cintura. “Con Boschiero l’arbitro mi ha fermato all’ottava ripresa. Ho perso per ko tecnico senza capire bene il motivo. Devis è poi venuto a farmi i complimenti in spogliatoio”. Poco dopo, siamo sempre nel 2011, ha affrontato per il titolo vacante dei superwelter Benoit Manno. Sconfitta di Mantegna, ovviamente senza andare a terra.

  

Un mestierante del genere deve essere sorretto da un fisico bestiale. “L’unico infortunio serio – spiega Mantegna – l’ho subito a Firenze con Jovan Giorgetti un paio di anni fa. Mi è arrivato un montante che mi ha rotto a metà la mandibola. Me ne sono accorto solo a fine match. Mi hanno operato, ora sono bionico”. Mantegna vuole continuare a combattere finché ne ha. Non si è messo una data di scadenza. “A 100 incontri ci arrivo, mi sento un pischello. Poi vorrei fare l’allenatore, ma il corso costa e bisogna andare nei weekend a Roma. In questo momento non ce la faccio proprio. Non sono un figlio di papà che lavora nella fabbrichetta di famiglia”.

    

Alla mattina Luigi si sveglia presto e aiuta la mamma che gestisce un banco al mercato. Alla sera fa tardi perché è anche un disc jockey di musica caraibica. Lavora sia in feste private nelle quali può esibirsi come animatore o spogliarellista, sia in alcuni programmi radiofonici. Se lo cercate sul web sotto questa veste, lo troverete con il nome d’arte: Dj Louis. “Con la boxe guadagno poco – conclude – con un incontro posso pagarmi al massimo l’assicurazione dell’auto. Ma la palestra, il ring, l’allenamento con i compagni sono la mia passione. Io di smettere proprio non ne ho voglia”. 

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