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Il Foglio sportivo

Dizionario del Giro d’Italia 2020

Gino Cervi

Da Garibaldi a borraccia, da magnesio a Quartiertappa da, un viaggio a parole tra le strade, le bici e i protagonisti della corsa rosa

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Un Giro d’Italia si scompone in tappe e, per tradizione, sono 21. Noi si è provato a scomporlo in parole, 21, come le lettere dell’alfabeto italiano. Ne è uscito questo “Dizionario del Giro d’Italia”, scritto da Gino Cervi. Queste le prime sette, senza andare in ordine alfabetico.

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Un Giro d’Italia si scompone in tappe e, per tradizione, sono 21. Noi si è provato a scomporlo in parole, 21, come le lettere dell’alfabeto italiano. Ne è uscito questo “Dizionario del Giro d’Italia”, scritto da Gino Cervi. Queste le prime sette, senza andare in ordine alfabetico.

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Garibaldi Fatta l’Italia, toccava fare gli italiani. E bisogna riconoscere che il Giro, in 103 anni di onorato servizio, ha fatto il suo illustrando e raccontando l’Italia agli italiani, prima attraverso le sue cronache giornalistiche, poi l’amplificazione dalla radiofonia (“un uomo solo al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto Coppi”, copyright Mario Ferretti, tappa Cuneo-Pinerolo 1949 è un capolavoro di comunicazione marketing che sopravvive da oltre settant’anni) e quindi con la spettacolarizzazione delle immagini televisive che oggi riescono a far sembrare Patrimonio Unesco anche una zona artigianale dell’hinterland. Non è quindi un caso che il vademecum che viene consegnato a tutti i partecipanti all’avventura rosa sia chiamato, amichevolmente, il Garibaldi. Li dentro ci trovi tutto che devi sapere per aggirarti nel mondo itinerante del Giro: dove e quando si parte, come e quando di parte, dove e quando si arriva, cronotabelle dei passaggi, cartografie della logistica di arrivi e partenze, planimetrie, altimetrie…  Senza il Garibaldi, non si parte. O se si parte, ci si perde.
  

Pass Invece non si parte e basta se non hai il pass. Parola magica, oggetto alchemico che trasforma il “vorrei” in “sono”. Senza il pass sei un paria. Appenderselo al collo col nastrino di raso rosa – non a caso è anagramma, il coso – ti consente, semplicemente, di essere. Se non ce l’hai, sei invisibile. Attenzione, però: ci sono pass e pass. Mica sono tutti uguali. A fare la differenza sono i pittogrammi: quadratini colorati con al centro una lettera o una sigla. Più ce ne sono stampigliati sul retro del pass, e più sei libero di andare avanti e indietro quasi dappertutto, sentendoti a casa tua in sala stampa, nell’area delle premiazioni, nella mixed zone dell’arrivo, in quella di bus delle squadre alla partenza, nelle varie esclusive aree hospitality che tra partenze e arrivi hanno tutte nomi di grandi artisti della nostra cultura patria (Michelangelo, Leonardo, Raffaello, Caravaggio: e Giotto? e Piero della Francesca? e Tiziano?), più uno scrittore (Dante; ma perché non Manzoni?) e un musicista (Puccini, sì ma: Verdi? Rossini?). L’asso piglia tutto è il pittogramma col simbolo dell’infinito: con quello, è come se Urbano Cairo ti avesse dato le chiavi di casa sua. 

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Quartiertappa È un refugium peccatorum. Lì ci trovi il think tank del Giro (o almeno si spera): direzione, segreteria, giuria, sala stampa. Palazzetti dello sport, scuole, hall di alberghi, centri diurni per anziani sfrattati “nel nome della Rosea”. La parte del leone la fa la sala stampa: file di banchi, di prese multiple, di bottigliette d’acqua, di pile di gazzette e corrieri. Un occhio al maxischermo dove viene trasmessa la corsa (che, diciamocelo, la si vede solo così, mica correndoci dietro o davanti) e uno alla tastiera dal computer. Quest’anno il quartier tappa è un luogo molto più sobrio: le disposizioni sanitarie anti-Covid hanno sconsigliato di allestire quelle distese di catering che venivano, a orari regolari, presi d’assalto come diligenze gastronomiche. Amen. Dieta.

 

Magnesio Nella cronometro individuale che ha aperto il Giro, da Monreale a Palermo, quasi tutta in discesa, neanche fosse una “libera” del Mondiale di sci, abbiamo visto Filippo Ganna rinunciare ai guantini e impugnare a mani nude il manubrio della sua Pinarello Dogma version ITT. Per avere maggiore sensibilità di guida, per portare la bicicletta dosando al millimetro le traiettorie, il manubrio deve essere impugnato a mani nude, senza la solita protezione dei guantini. Così, il Ganna ha pensato bene di fare come il Chechi: e prima di abbrancare le corna del manubrio con le mani se le è cosparse di polvere di magnesio, la stessa che il “signore degli anelli” si faceva passare sui palmi delle mani, battendole poi una contro l’altra sollevando una nuvoletta di fumo bianco, prima di afferrare gli anelli e cominciare a volteggiare.

 

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Fame Le conferenze stampa di Ganna, ancora lui, sono divertenti: Filippo è disinvolto come un veterano nel parlare, nel rispondere alle domande. Entrambe le sue vittorie, a dire il vero, sono state “festeggiate” con irresistibili sgranocchiamenti di barrette da sotto la mascherina. Se Filippo è altrettanto affamato di successo, possiamo star certi che la sua carriera gli darà presto grandi, e golose, soddisfazioni.

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Borraccia Improvvisamente, le borracce sono diventate l’origine del male. È per colpa di una borraccia saltata via dalla bicicletta di un altro corridore del gruppo, se Geraint Thomas, uno dei favoriti alla partenza di questo Giro, è finito dolorante per terra, con il bacino incrinato. Giro finito alla terza tappa. Da strumento di salvezza e di rigenerazione, nei momenti più difficili della corsa, a demonizzazione del più semplice e umile accessorio di una bici da corsa. Ma non basterebbe ingegnarsi a fare dei portaborracce meno da design e più da utensile?

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Enigmistica La terza tappa, la Enna-Etna, ha scatenato le fantasie dei calembouristi da Giro. Trovare esempi di altre tappe – ovviamente praticabili per chilometraggio – che siano correlate da un cambio consonantico. Ma per rimanere nei nomi proposti quest’anno come sede di arrivo o partenza di tappa, una Alba-Arba (provincia di Pordenone, 511 km), una Matera-Latera (provincia di Viterbo, 573 km) sarebbero anche improponibili anche per i “forzati del pedale” dell’età pionieristica del ciclismo, quando le partenze venivano date di notte e gli arrivi al tramonto dello stesso giorno. Ma i giochi sono aperti anche ad altre evoluzioni semantiche. Vedremo nelle prossime puntate.

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