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il foglio sportivo

Il romanzo popolare della D

Enrico Veronese

Inizia il campionato di Serie D. Viaggio nel pallone non già professionistico ma non più amatoriale, tra colori lisergici e salsicce, eterni capitani carismatici e plaid in panchina   

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Al ristoro dello stadio di Carlino, bassa friulana, i colori sono arancio e blu. Abbinamento tra complementari, lisergico come lo scudetto prismatico dell’Ospitaletto negli album di figurine, quando c’era Corioni: al muro della club house la maglia nominale della gloria locale con una presenza in Serie A, i veterani nelle foto in vetrina saranno ormai pensionati, le griglie esterne destinate a sfrigolare di salsicce per saziare spettatori che se ne sbattono della pay tv e dei terzi anelli. 

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Al ristoro dello stadio di Carlino, bassa friulana, i colori sono arancio e blu. Abbinamento tra complementari, lisergico come lo scudetto prismatico dell’Ospitaletto negli album di figurine, quando c’era Corioni: al muro della club house la maglia nominale della gloria locale con una presenza in Serie A, i veterani nelle foto in vetrina saranno ormai pensionati, le griglie esterne destinate a sfrigolare di salsicce per saziare spettatori che se ne sbattono della pay tv e dei terzi anelli. 

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Benvenuti nella Serie D, non già professionistica ma non più amatoriale: torneo di talenti corteggiati dalle grandi o condizionati da precoci infortuni, che hanno preferito la terra e perso l’ultimo treno. Di reduci alle ultime battaglie come Paolo Sammarco – ex Doria, Chievo e Frosinone, ora all’ambizioso Arzignano Valchiampo – e ragazzi nati a cavallo del secolo, inviati per sei mesi dai settori giovanili con l’obbligo regolamentare di farli giocare; manco il tempo di determinare.  Gli affezionati, quelli sì, sono in servizio permanente effettivo. In tribuna si conoscono tutti, più o meno brizzolati: sempre lo stesso seggio, l’abbonamento è sottinteso perché si tratta di un rito più che di scaramanzia, ci si va col pilota automatico. Lucchetto alle capanne in spiaggia, i bimbi vanno a scuola e pure in tribuna ci si ritrova a settembre, senza essersi più visti da metà febbraio quando scese il lockdown: alcune partite sì, altre no, classifica livellata e parificata, addirittura il quoziente punti per promuovere o retrocedere. E qui hanno deciso di non terminare a porte chiuse.  Stadi vetusti o spropositate cattedrali nel deserto, gradinate senza copertura o tribune posticce di tubi leggeri, domenica riapriranno i battenti sciogliendo catene arrugginite da cancelli scrostati: pronti i termoscanner e le autocertificazioni, occhio alla distanza e si raccomanda la mascherina. Fuori dalle poche sale stampa degne di questo nome, qualche cartellone di sponsor riferiti tutti al presidente di turno, imprenditore nel ramo ponteggi che siede papale al centro assieme al direttore sportivo. Più sparsi i giocatori infortunati, addosso rigorosamente la giacca a vento del club. Quest’anno, nelle maglie di Serie D, ci saranno anche i nomi: e c’è chi imbastisce in quattro e quattr’otto un vezzoso merchandising artigianale di sciarpe e cuscinetti sociali.  

 

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Cominciano mesi di viaggio nella provincia cronica, barchesse avite da riattare a bordo strada nella foschia verso Porto Tolle, costeggiando le mura di Montagnana, il panorama che cambia verso lo stadio Trento circondato dai monti, dal museo della scienza, dal treno che corre veloce lungo il perimetro di una curva. A dicembre in tribuna le mani gelano a leggere la distinta o il calendarietto pagato dal gommista: più si sale di altitudine, più servono quei guanti con le dita tagliate in uso ai vongolari, e al tepore dei panchinari ci pensa il plaid.  Si affacciano timide adolescenti belline all’inizio delle loro relazioni con i calciatori, li aspettano dopo la doccia sperando in una minima carriera da wag, che non si fermi alle storie su Instagram da una discoteca notturna, a sfondo trap o neomelodico. Accorrono genitori che seguono i figli da centinaia di chilometri (“il mister non lo mette sulla fascia col 3–5–2, è là che si esprimerebbe appieno. Ma non lo scriva per favore, ci pensa il procuratore”) e altri che si accontentano di leggere il loro nome nella diretta online, sperando in un goal di cui vantarsi. Dove ci sono, i commandi ultrà: mito del diffidato, sconfinata identità cittadina e bomberista, colossi anfibi e tatuaggi di pitone, bandiere da bucanieri. I ragazzini sognano d’essere come loro.

 

Dal campo si sente tutto, a maggior ragione con pochi spettatori come sarà (si spera per poco): le bestemmie dei giocatori, eterni capitani carismatici fino a oltre quarant’anni che strigliano i nuovi. L’arbitro spesso giovanissimo, spesso arrivato da lontano – non pochi di origine rumena – chiamato “signore” o “direttore”, l’impatto dei falli sulle caviglie. I suggerimenti a chi sta per subentrare, dati da allenatori ultime icone di massa: Alejnikov, Renica, Vignola, Maurizio Rossi sono passati da queste parti. Brasiliani sorridenti che insegnano a calciare le punizioni con le tre dita esterne, a dare l’effetto che carambola tra portieri increduli. 

 
 Se a Chioggia la palla viene spazzata dall’area nell’acqua della laguna, a recuperarla in barca ci pensano magazzinieri in organico dalla notte dei tempi, il mitico Berto passato in trent’anni da massaggiatore a bigliettaio: ruoli intercambiabili in società, come sul campo. 

 

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Ricordano la Serie C cui ambiscono ogni anno, o quando scese il Parma perché fallito, con l’intera gradinata appaltata agli ospiti. Conoscono a menadito i nuovi e i vecchi delle rivali, ci potrebbero giocare a Fantacalcio: il loro highlight sarà per anni il goal di Andrea Delcarro contro la Calvi Noale che ha dato la salvezza di un anno tormentato, una rovesciata all’88esimo pochi giorni dopo quella iconica e assai simile di Ronaldo a Torino con la maglia del Real. 

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Allo stadio del Cjarlins Muzane, domenica dopo il match contro l’Union Clodiense – già clou alla prima giornata – sarà pronta per tutti la pasta (a Belluno il pastìn). Tifosi e giocatori in tavolata discutono la partita appena vista e giocata, magari in cerchio davanti alle immagini delle telecamere per vedere se fosse davvero rigore, prima di ripartire in corriera: e le distanze non saranno mai più accorciate di così.

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Le foto sono tratte dalla pagina Facebook dell’Union Clodiense Chioggia Sottomarina 1971

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