PUBBLICITÁ

il foglio sportivo

Carlos França, il bomber di Dio che a 41 anni è ancora idolo dei campi di provincia

Emmanuele Michela

A potenza volevano farlo cittadino onorario, adesso è al Seregno. Intervista tra fede e calcio

PUBBLICITÁ

Non c’è azione di Carlos França, pensiero o esperienza che non abbia dentro quella parola: “Dio”. E neanche quando parla di ciò che è solo materia e carne –  quel fisico perfetto che si porta dietro, con due gambe che galoppano verso i 41 anni ma hanno ancora  voglia di giocare a calcio e vincere – si può escludere che tutto abbia una dimensione trascendentale, e il suo stesso corpo non sia un dono ricevuto dal cielo. È la sua stessa storia a testimoniarlo. 

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Non c’è azione di Carlos França, pensiero o esperienza che non abbia dentro quella parola: “Dio”. E neanche quando parla di ciò che è solo materia e carne –  quel fisico perfetto che si porta dietro, con due gambe che galoppano verso i 41 anni ma hanno ancora  voglia di giocare a calcio e vincere – si può escludere che tutto abbia una dimensione trascendentale, e il suo stesso corpo non sia un dono ricevuto dal cielo. È la sua stessa storia a testimoniarlo. 

PUBBLICITÁ

 
Il brasiliano è appena passato al Seregno, Serie D, dopo tre stagioni al Potenza (di cui due in Lega Pro, concluse ai play-off) in cui aveva letteralmente fatto impazzire la piazza lucana: c’era chi gli aveva intitolato un gelato e chi un hamburger,  il sindaco della città calabrese voleva perfino nominarlo cittadino onorario. “Sono stati anni bellissimi, con un pubblico molto affamato di calcio. Ora arrivo a Seregno, e sono entusiasta di questo nuovo obiettivo: avere una sfida davanti per ogni giocatore è fondamentale. E il mio fisico sta bene”. 

 
Forse a chi segue il calcio dei grandi campionati il nome di França dice ben poco. Ma per chi si sgola (Covid permettendo) ogni domenica per guardare la propria squadra in campi di Serie D – quel popolo che sembra aver stretto un patto di resistenza fino alla morte contro il calcio moderno – França è il bomber per eccellenza, quello che le squadre chiamano per arrivare alla promozione. Ci è riuscito con Potenza, Triestina e Cuneo, e alle spalle ha una carriera che, in Italia, gli ha regalato più di 200 reti tra Serie D e C. Ovunque va, segna tanto quanto gioca: reti facili sottoporta e azioni palla al piede, rigori e rovesciate. Non ha un colpo che non gli riesca, non ha città che non ha fatto esaltare. E non ha tifoso che non abbia conosciuto quella sua fede in Dio, mostrata sulle maglie o nei gesti rivolti al cielo dopo i gol. 

 
Che Carlos França sia fatto di una pasta diversa dagli altri si coglie subito: all’appuntamento con il Foglio Sportivo arriva  a bordo di una monovolume –  certo non la più costosa del mercato – con lui la moglie e i due figli di 6 e 9 anni: “Ragazzi, voi state un po’ qui a giocare e fate i bravi!”. Si accomoda al tavolo assieme a Camila, anche lei prende parte alla chiacchierata, svelando quanto stretto sia il legame tra i due. “Avere lei di fianco in questa vita da calciatore è la fortuna più grande che possa avere. Lei e i bambini, non saprei cosa fare se non ci fossero. Arrivare a casa alla sera e trovare loro ad aspettarmi è una gioia. Quando un giocatore si sposa diventa una forza, e condividere la vita coi miei compagni mi preme. In tante squadre dove ho giocato, capitava di invitare a cena tanti compagni, magari con mogli e fidanzate: erano momenti di condivisione, di crescita e di aiuto”. 

PUBBLICITÁ

 
La fede, Carlos França, non se l’è ritrovata addosso come un vestito volatogli in testa chissà da dove. È il frutto, semmai, di un percorso dettato anche da fatiche e paure, che coinvolge direttamente il suo fisico. Nel 2006, all’età di 26 anni, dovette interrompere momentaneamente la propria carriera da calciatore, mentre giocava in Spagna, in un club di terza serie: “Era un momento in cui ero in grande forma, già a dicembre avevo fatto 6 gol da terzino sinistro e il mio cammino era tracciato per salire di categoria. Ma avevo dei grandi dolori alla schiena”. In Spagna gli fu diagnosticata una frattura da stress, ma dopo qualche mese, in Brasile, si accorsero che nella colonna vertebrale c’era invece un tumore benigno, un osteoma osteiode: “È raro trovarlo lì, di solito si manifesta su ossa più lunghe. Ma la parte sinistra del mio corpo iniziava a perdere di sensibilità e i medici decisero di intervenire. Nessuno sapeva quale potesse essere l’esito di una simile operazione: mi fu tolto un pezzo di vertebra senza di fatto metterci nulla. Erano molto scettici sul fatto che potessi tornare a giocare a calcio. Invece, quando Gesù entra nella nostra vita può fare miracoli: io sono guarito senza alcuna conseguenza, e sono riuscito anche a tornare al calcio”.

 
Fu in quei mesi così sofferti che Carlos abbracciò la fede. Decisiva fu Camila, all’epoca sua fidanzata: “Lei era molto credente, io però non le davo ascolto: credevo in Dio a mio modo e pensavo di non averne bisogno, pensavo fosse qualcosa da deboli. Ma in realtà è proprio nella nostra debolezza che si manifesta Dio, come dice San Paolo agli Efesini: Io posso ogni cosa in Colui che mi fortifica”. Nella fragilità di quei mesi una luce si accese: “Capì che da solo non ce l’avrei fatta: mi sono arreso e ho accettato Gesù nel mio cuore. È entrato qualcosa, un filo di speranza che mi ha permesso di guardare avanti”. 

 
Quanto accadde dopo fu ancora più rocambolesco. França rimase due anni lontano dal calcio, finché non ricevette una chiamata dal cognato che giocava nell’Entella: all’epoca i liguri erano ancora in Eccellenza, all’inizio dell’ascesa che li avrebbe portati fino alla B. “Andai in Italia, feci qualche allenamento con loro ma non mi vollero confermare. Così passai alla Caperanese, altra squadra di Chiavari, sempre in Eccellenza: mi fecero fare 6 partite da esterno alto e segnai 3 reti”. França volò quindi negli Usa, per due stagioni: prima coi Chicago Fire e poi con i Chicago Storm, calcio indoor. “Nel 2009, quindi, mi richiamarono dalla Caperanese: io e mia moglie abbiamo pregato e Dio ci ha guidato per tornare”. Ad attenderlo c’era un allenatore che avrebbe segnato incisivamente la carriera del brasiliano, l’ex calciatore del Napoli Costanzo Celestini. “Fu lui che volle farmi giocare come punta”. Risultato? “28 gol in 28 partite, fummo promossi in Dilettanti, ma non era neanche l’obiettivo della squadra”. 

 
Cominciò un’altra vita. Dopo Chiavari ci fu Rapallobogliasco, Legnago Salus, Lavagnese, Cuneo, Lecco, Triestina e, infine, Potenza: solo qui ha giocato le prime gare da professionista. Piazze diverse, un’unica costante: il gol. “È stato Dio che ha permesso tutto questo, anche la malattia. La gioia non sta nel conquistare il mondo, ma nel vivere un rapporto col Signore”. Ma come si vive la fede nel mondo del calcio, in un settore sempre più segnato dalla costruzione del successo su schemi, muscoli e individui? “Non credo che le nostre forze bastino, mai: se non crediamo in Altro, anche nello sport, sarebbe difficile superare i propri limiti”. 

 
Non ha avuto una carriera in grandi club, ma non ne fa un problema. França non riesce a guardare alla sua storia con rimorsi, e anche la malattia che ha sofferto non è stato il bivio di una strada calcistica che poteva arrivare chissà dove e invece ha dovuto subire un altro percorso. Lui è grato per quanto vissuto fin qui, e con lui la sua famiglia: “Non è semplice, nella pratica, passare da una città all’altra ogni anno”, interviene la moglie. “Pensa sopratutto ai bambini: la scuola, gli amici, il medico, la residenza… Quando raccontiamo la vita che facciamo, in tanti ci dicono che siamo coraggiosi. Io, invece, non dico che abbiamo coraggio ma fede: siamo nelle mani di Dio, che ci guida”. 

PUBBLICITÁ


Con Camila il talento brasiliano sta cercando di costruire anche quella che potrebbe essere la sua strada professionale dopo il calcio. Si chiama CF9Sports, marchio con cui organizzano già da qualche stagione, nelle città dove Carlos ha giocato, dei leadership camps, ovvero dei campi estivi calcistici di ispirazione americana e rivolti ai ragazzi dagli 8 ai 13 anni. “Lavoriamo con loro introducendo il concetto di leadership, per focalizzarci sulla crescita personale. Il calcio è uno strumento perfetto per fare un viaggio in se stessi e scoprire chi siamo. Tanti pensano che i leader siano solo coloro che comandano, mentre invece ognuno è leader di sé, ha solo bisogno di capire i propri talenti e le proprie capacità, insomma il proprio modo di spiccare”. Insomma, proprio quello che è successo a Carlos dopo quel tumore.

PUBBLICITÁ
Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ