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il foglio sportivo

Non è solo un gioco. La filosofia del fantallenatore

Moris Gasparri

Il Fantacalcio è tribale, metafisico, socialista, leva strategica dello sport business. Guida alle ragioni antropologiche ed economiche per cui questo gioco inventato in America è così amato dagli italiani

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In quel “ritorno del paganesimo” rappresentato dallo sport contemporaneo ogni ricominciamento rituale contiene una sua magia solenne. Tra quelli in calendario in data odierna non c’è però soltanto la ripartenza della Serie A, ma anche quella di un gioco a essa collegato che ogni anno vede assiduamente impegnati circa 6 milioni di italiani: stiamo parlando del Fantacalcio.

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In quel “ritorno del paganesimo” rappresentato dallo sport contemporaneo ogni ricominciamento rituale contiene una sua magia solenne. Tra quelli in calendario in data odierna non c’è però soltanto la ripartenza della Serie A, ma anche quella di un gioco a essa collegato che ogni anno vede assiduamente impegnati circa 6 milioni di italiani: stiamo parlando del Fantacalcio.

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È noto che ogni ragionare e discorrere di argomenti calcistici impone quasi sempre di cercare la profondità nella superficie; ci sono però esperienze che vengono considerate così tanto superficiali da essere costrette a pensarsi solo nelle categorie del frivolo o del macchiettistico, e fra queste rientra sicuramente questo passatempo di massa.  Ma se le cose non stessero proprio così? Se anche del Fantacalcio fosse possibile ragionare in maniera più profonda, indagando la sua storia, il suo ruolo nella nostra cultura sportiva, il suo significato antropologico ed economico? È quanto proveremo a fare, tra il serio e il divertito, in questo decalogo con i dieci motivi per vederlo sotto altre prospettive. Il primo è legato a una curiosità storica. Contrariamente a ogni facile immaginazione, ciascun fantallenatore italiano dovrebbe ringraziare… il golf! Nel gioco tanto amato da milioni di italiani c’è infatti un’origine poco o nulla conosciuta, quella che sul finire degli anni Cinquanta del secolo scorso vide un giovane imprenditore californiano, Bill Winkenbach, utilizzare i risultati dei protagonisti delle gare golfistiche del circuito Pga per creare una realtà parallela sì collegata e animata dalla prima, ma vivente di vita propria, un gioco di ruolo a sfondo sportivo in cui attribuire dei punteggi alle azioni dei protagonisti in carne e ossa creando a partire da questi delle sfide virtuali. 

 

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Winkenbach non poteva prevedere che dal golf la sua invenzione sarebbe passata prima al baseball e poi al football americano – dove avrebbe compiuto il suo salto esplosivo di popolarità – prima di sbarcare in Italia sul finire degli anni Ottanta, a Milano, grazie all’intuizione di Riccardo Albini, e legarsi anche al calcio e alla nostra Serie A.

 

Il secondo motivo è che quest’origine ci permette di apprezzare non solo un legame poco noto fra la nostra cultura calcistica e la cultura sportiva americana, ma anche una delle sue caratteristiche principali: la metafisica del dato statistico. La dimensione costitutiva del Fantacalcio, come degli altri fantasy game similari, è proprio quella di fissare in numeri la contesa agonistica, attribuendo valori numerici a ogni sua parte, nella pretesa di poter separare il singolo dal suo insieme (anche un giocatore sconfitto sul campo può far vincere il proprio fantallenatore). Settimanali lotte per un centimetro con il fatidico mezzo punto in più o in meno capace di decidere tra la vittoria e la sconfitta – e quindi tra la gioia e l’imprecazione – sono decise da algoritmi, come accade nel caso del sistema leader in campo italiano, Fantacalcio.it, una delle tante e interessanti realtà napoletane del mondo dell’informazione digitale che negli ultimi anni ha rivoluzionato il sistema di attribuzione dei voti e di schieramento delle formazioni, in particolare con la versione Mantra, il non plus ultra dell’esperienza fantacalcistica (confinante con la “malattia sociale” per il grado di coinvolgimento richiesto e di complessità del gioco).

 

Il terzo motivo, di segno opposto, è la “risciacquatura” in acque mediterranee del razionalismo contabile americano, processo di cui il Fantacalcio italiano è vera avanguardia, perché questo gioco di ruolo a sfondo sportivo nella nostra penisola si è trasformato nel tempo in un vero e proprio rituale antropologico. C’è una diversità italiana che trascende il calcolo matematico applicato allo sport: certo, i numeri ne sono l’elemento costitutivo, ma sono però le passioni che si muovono attorno a questo settimanale far di conto a rendere la versione italiana un elemento unico nella cultura sportiva globale. Il Fantacalcio “made in Italy” è infatti un gioco che più che associarsi all’ingegneria e agli algoritmi si lega all’antropologia, al radunarsi assieme fra persone che condividono una stessa passione e per questo si riconoscono come amici, gesto condensato nel rito fantacalcistico per eccellenza – l’asta – che non a caso spesso si accompagna a cene e simposi, altro grande simbolo antropologico dello stare insieme. La teatralità, gli innumerevoli tipi umani che ogni fantallenatore mette in scena nei vari momenti della stagione, gli sfottò e le maledizioni: il Fantacalcio è una grande “commedia umana” (a tutti questi aspetti il giornalista di Sky Sport Mario Giunta ha da poco dedicato un agile e divertente manuale, Come sopravvivere al Fantacalcio. Guida sentimentale allo sport più amato dagli italiani, Sperling Kupfer, 144 pagine, 15,10 euro). 

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Questa ritualità manifesta anche una certa tribalità, e qui passiamo al quarto motivo, sempre in tema antropologia. In un’epoca in cui dominano i temi della parità di genere, il Fantacalcio ha ancora una sua veste “arcaica”, è un gioco ancora a quasi esclusiva partecipazione maschile, simile in questo al calcetto nel riprodurre l’atmosfera del clan, tema centrale nella storia del pensiero sportivo a cui il filosofo spagnolo José Ortega y Gasset dedicò un breve ma fulminante saggio, L’origine sportiva dello Stato, in cui argomentava la derivazione degli esercizi e delle gare dal cameratismo dei giovani degli stadi primitivi dell’umanità impegnati nella caccia. È come se il Fantacalcio fosse una camera di compensazione del cambiamento del rapporto tra generi: mentre tutto nella società – e di riflesso anche nel mondo dello sport – è rimescolamento di antiche divisioni dei compiti e dei ruoli, il Fantacalcio è un rifugio della conservazione. In attesa della crescita dei Fantacalci misti (trend embrionale ma esistente) e dei Fantawomen (trend embrionale il cui sviluppo è però limitato dai format ridotti dei campionati).

 

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Quinto motivo: il Fantacalcio è un acceleratore tecnologico. La spinta fantacalcistica alla socialità generata dal momento dell’asta è così forte che prima dell’esplosione del loro utilizzo durante la pandemia e la relativa quarantena casalinga, all’utilizzo delle videochat erano già arrivati i fantallenatori costretti per ragioni di studio o lavoro a vivere questo momento rituale lontani dai propri amici, collegati quindi da altre città o addirittura altre nazioni. Il Fantacalcio è una grande forza sociale che lega assieme e cementa le relazioni, un grande inno all’amicizia (anche alla sua distruzione, specie per chi non consegna le formazioni nei momenti topici della stagione). 

 

Il sesto motivo ci fa passare invece dall’antropologia all’economia. La radice anglosassone che rimanda ai dati e all’analisi statistica è ovviamente rimasta centrale, e anche oggi ne vediamo il riverbero nel modo in cui due grandi leghe dello spettacolo sportivo mondiale, la Nfl e la Premier League, la utilizzano nella loro gestione diretta della piattaforma del gioco, perlomeno quella principale. Da semplice passatempo i fantasy games sono  divenuti un’ulteriore leva strategica dello sport business: incorporare questo elemento aggiuntivo nel grande “mercato dell’attenzione” come hanno fatto Nfl e Premier League, è un modo per fidelizzare ulteriormente i propri fan da tutte le parti del mondo. In particolare la Nfl alimenta un mercato delle informazioni statistiche collegate al gioco sempre più articolato e sofisticato. Su questi aspetti la nostra Serie A figura come non pervenuta.

 

Il settimo motivo è collegato al precedente, ed è una conferma del valore egemonico di alcuni sport rispetto ad altri: riuscire ad avere una dimensione virtuale aggiuntiva attraente quanto quella reale dei campi di gioco è prerogativa riservata a pochi.

 

L’ottavo motivo ci porta invece nel campo della politica sportiva. Il Fantacalcio è infatti un grande e inconsapevole agente del socialismo sportivo. In un calcio sempre più spaccato tra grandi e piccoli club, il Fantacalcio ha al contrario una natura democratica e redistributiva dell’attenzione, spalmata su tutte le partite e su tutte le squadre, anche quelle meno blasonate, perché tutte sono potenzialmente utili alla causa della vittoria. È quello che i fantallenatori italiani conoscono come “Ciccio Caputo-effect”, degno erede dei “Vannucchi-effect” e dei “Saudati-effect” del passato che fanno di club come Sassuolo ed Empoli (ma gli esempi potrebbero essere tanti) una patria votiva per tanti vincitori nonché luogo di maledizioni per gli sconfitti, e in senso più generale del calcio di provincia uno degli epicentri della passione fantacalcistica. 

 

Il nono motivo è di natura introspettiva. Se analizzato con attenzione, il Fantacalcio ci mette di fronte a delle verità che intuiamo da tempo, ma che preferiamo rimuovere, costringendoci a una riflessione su come stanno cambiando i modi di vivere la passione calcistica. La nota amara è infatti che la nostra Serie A senza questo “doping settimanale dell’attenzione” (in cui vanno annoverate anche le scommesse), avrebbe una sua forza attrattiva di molto diminuita, processo in atto anche per le sue identità comunitarie legate al tifo. La Serie A degli anni Ottanta e Novanta si lasciava guardare e tifare in automatico, senza questa vita parallela fatta di formazioni da consegnare, scambi e calcoli. Ammettiamolo, i commenti di rito che sui social spuntano da anni sotto ai post dei calciatori –  “mi fai un gol domenica? Mi serve per il Fanta” – facili alla loro trasformazione in critiche e insulti in caso di risultati disattesi, fanno tanta tristezza.

 

Il decimo e ultimo motivo è di carattere medico. In Inghilterra da anni sono in corso delle sperimentazioni per utilizzare le memorie calcistiche come strumento di contrasto alla demenza senile. Da questo punto di vista niente più del Fantacalcio va a sollecitare nei suoi giocatori, soprattutto quelli più stagionati, l’uso attivo della memoria, in un ricordare bomber, flop, scoperte. Insomma, giocate e il vostro cervello resterà in buona salute.

 

L'illustrazione è di Davide "Bart" Savemini (tutti i diritti riservati)

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