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il foglio sportivo

L’inizio poco romano della nuova Roma

Mimmo Ferretti

Nessun annuncio e molto lavoro per i Friedkin, silenziosi e presenti. A che punto sono i giallorossi?

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Si racconta, nel bulimico mondo delle radio pallonare della Capitale, che Dan e Ryan Friedkin, i nuovi proprietari statunitensi della Roma, abbiano detto sì a un caffè in Campidoglio per parlare del nuovo stadio a patto che all’incontro non fossero presenti fotografi, giornalisti e telecamere. Riservandosi di posare per la foto sorrisi e stretta di mano con le autorità comunali soltanto dopo il sì all’impianto di Tor di Valle. Leggenda metropolitana o verità incisa sui sampietrini di via Petroselli che sia, sta di fatto che non si hanno (ancora) notizie di un faccia a faccia con la Raggi. Ma nessuno se la sente di assicurare che, in realtà, l’incontro non ci sia stato. Papà e figlio Friedkin, i successori di James Pallotta, zeru tituli in otto anni di presidenza e un bilancio da controllare ogni mattina sull’estratto conto bancario, hanno avuto un impatto molto soft, quasi diffidente, con una città che vive di esagerazioni. Prima si sono barricati in un hotel di Ladispoli, requisito in maniera esclusiva per un paio di giorni, poi hanno traslocato verso la Città Eterna, trascorrendo però ore e ore sulla Laurentina, località Trigoria, per dedicarsi a una serie di full immersion per studiare, capire e conoscere tutto e tutti del loro nuovo e costoso asset.

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Si racconta, nel bulimico mondo delle radio pallonare della Capitale, che Dan e Ryan Friedkin, i nuovi proprietari statunitensi della Roma, abbiano detto sì a un caffè in Campidoglio per parlare del nuovo stadio a patto che all’incontro non fossero presenti fotografi, giornalisti e telecamere. Riservandosi di posare per la foto sorrisi e stretta di mano con le autorità comunali soltanto dopo il sì all’impianto di Tor di Valle. Leggenda metropolitana o verità incisa sui sampietrini di via Petroselli che sia, sta di fatto che non si hanno (ancora) notizie di un faccia a faccia con la Raggi. Ma nessuno se la sente di assicurare che, in realtà, l’incontro non ci sia stato. Papà e figlio Friedkin, i successori di James Pallotta, zeru tituli in otto anni di presidenza e un bilancio da controllare ogni mattina sull’estratto conto bancario, hanno avuto un impatto molto soft, quasi diffidente, con una città che vive di esagerazioni. Prima si sono barricati in un hotel di Ladispoli, requisito in maniera esclusiva per un paio di giorni, poi hanno traslocato verso la Città Eterna, trascorrendo però ore e ore sulla Laurentina, località Trigoria, per dedicarsi a una serie di full immersion per studiare, capire e conoscere tutto e tutti del loro nuovo e costoso asset.

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Se Pallotta era (è) più un finanziere che un imprenditore, Dan e Ryan sono imprenditori nel senso più totale della parola. E la storia del Friedkin Group lo sta a confermare (auto Toyota, hotel e cinema, tra le altre cose). Ecco perché, fedeli al loro credo, Dan & Ryan, che presto si stabilirà all’ombra del Colosseo per non far mancare sui dipendenti l’occhio del padrone, vogliono stare attenti anche ai centesimi. Da qui, l’urgenza di sapere tutto di tutti. Società, squadra, media center, collaboratori, partner. Tutto. Sempre con la massima riservatezza e senza mai dare punti di riferimenti ai cronisti a caccia di aneddoti. Hanno delegato, per ora, i compiti di gestione della società (squadra compresa) al ceo Guido Fienga, promosso in quel ruolo da Pallotta, ma a fine mese distribuiranno le nuove cariche sociali e sono attese novità.

 

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La Roma (ri)made in Usa ha bisogno di darsi una bella sistemata a livello di conti e come squadra non può permettersi di fallire per la terza volta di fila l’appuntamento, economicamente vitale, con la Champions League. Il mercato finora è stato ricco di colpi di scena, con partenze dolorose e arrivi accompagnati da punti interrogativi ma in tutto questo, ne converrete, gli imprenditori texani c’entrano davvero poco. Il portoghese Paulo Fonseca è stato confermato alla guida della squadra dopo una stagione non positiva, e non per colpe esclusivamente sue: chi sostiene che sia ancora lì perché non c’è stato tempo per trovarne un altro, o perché il club non può permettersi di pagare lo stipendio a due allenatori, dovrebbe chiedersi chi avrebbe potuto (e dovuto) decidere il suo allontanamento, visto che la Roma da giugno non ha un direttore sportivo dopo la cacciata di Gianluca Petrachi. E non c’è un solo club di Serie A, grande o piccolo che sia, che non abbia un Ds. Ma a Roma, si sa, va tutto bene, al punto che è diventato troppo facile spacciare un’opinione per una notizia. E c’è chi – in questo giochino mediatico – ci sguazza sempre più felice. Così il mercato è stato fatto (e viene ancora fatto) dall’unico dirigente che oggi si muove tra Trigoria e gli uffici dell’Eur, il plenipotenziario Fienga, con l’aiuto di agenti, procuratori e intermediari che – ovviamente – fanno prima gli interessi propri e poi quelli della Roma. 

 

Nel primo “colloquio” (scritto) con il mondo Roma, il pilota d’aerei Dan & Young Ryan hanno sfruttato in maniera decisa la tecnica del low profile: nessuna promessa, zero proclami, pochi fronzoli dialettici ma solo l’ossessione di rassicurare i tifosi sulla loro voglia di lavorare, lavorare e lavorare. Hanno sganciato un sacco di soldi per comprare la Roma e tanti altri, probabilmente, saranno costretti a cacciare per rendere il bilancio meno rosso, e anche per questo non hanno voglia di buttare un dollaro. Un finanziere rischia, un imprenditore insegue il guadagno certo. Anche se, con un finanziere o un imprenditore al timone, un club di calcio accumula ricavi solo se la squadra ottiene risultati sportivi. E la bacheca della Roma è vuota da 12 anni. Intanto, D&R hanno dato l’ordine di diminuire i costi, arrivando addirittura a trattare la cessione del capitano Dzeko alla Juventus, un tempo nemica odiatissima e oggi caritatevole amica se c’è da fare un comodo affare. Per lei, ovvio. Il calcio è cambiato al punto che oggi i Friedkin che vanno a Trigoria per lavorare diventano una notizia: ai tempi di Dino Viola, che stava al Fulvio Bernardini dalla mattina alla sera e andava via spegnendo le luci, tutto questo sarebbe apparso normale, giusto. Logico, quasi scontato. Solo che l’ultima volta che Pallotta era stato a Trigoria aveva ancora tutti i capelli neri, era un giovanotto. Nessuno, però, ha cancellato dalla mente l’immagine di Jim che, in pieno inverno, si tuffa vestito nella piscina scoperta del centro sportivo davanti a tutti i dipendenti. Li conosciamo poco, per carità, ma siamo pronti a scommettere che Dan e Ryan Friedkin una sceneggiata del genere non la faranno mai. Forse.

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