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Un record del mondo per pochi intimi

Il prossimo salto, tornare a vedere lo sport dal vivo

La gioia interrotta di Duplantis al Golden Gala dopo il record del mondo con l'asta davanti agli spalti vuoti

Piero Vietti

Il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora,  venerdì ha finalmente annunciato l’apertura parziale al pubblico del Foro Italico, dalle semifinali degli Internazionali di tennis, e a seguire di tutti gli impianti sportivi all’aperto fino a un massimo di 1.000 persone

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C’è la pubblicità sui maxischermi dell’Olimpico, sopra alla Nord e alla Sud vuote, neppure coperte da striscioni e teloni. C’è la pubblicità trasmessa a tutto volume sui maxischermi dell’Olimpico prima e durante le pause del Golden Gala Pietro Mennea, tappa italiana della Wanda Diamond League, giovedì scorso. C’è la pubblicità e viene da chiedersi “per chi?”. Nello stadio vuoto hanno fatto entrare soltanto i giornalisti, ben distanziati tra loro in tribuna stampa, un po’ di dirigenti della Fidal e del Coni, pochissimi membri degli staff di qualche atleta. Il resto è eco e seggiolini blu. In pista è spettacolo, gara, muscoli tesi e sudore, record che cadono e prime volte per tanti. Sugli spalti nessuno a vederli, a incitarli, applaudirli, trattenere il fiato. Chi guarda le ragazze del salto in alto e i ragazzi del peso, chi spera che Tortu, Bogliolo e Crippa facciano un altro record, è lontano, davanti a uno schermo. La curva vuota alle spalle di Gimbo Tamberi mette tristezza.  C’è la televisione, è vero, grazie alle telecamere il quarantesimo Golden Gala è visto in quasi duecento paesi nel mondo, grazie alle telecamere possiamo vedere in diretta tutto quello che succede, anche se il virus ci tiene ancora lontani dagli stadi (ma il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora,  venerdì ha finalmente annunciato l’apertura parziale al pubblico del Foro Italico, dalle semifinali degli Internazionali di tennis, e a seguire di tutti gli impianti sportivi all’aperto fino a un massimo di 1.000 persone).

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C’è la pubblicità sui maxischermi dell’Olimpico, sopra alla Nord e alla Sud vuote, neppure coperte da striscioni e teloni. C’è la pubblicità trasmessa a tutto volume sui maxischermi dell’Olimpico prima e durante le pause del Golden Gala Pietro Mennea, tappa italiana della Wanda Diamond League, giovedì scorso. C’è la pubblicità e viene da chiedersi “per chi?”. Nello stadio vuoto hanno fatto entrare soltanto i giornalisti, ben distanziati tra loro in tribuna stampa, un po’ di dirigenti della Fidal e del Coni, pochissimi membri degli staff di qualche atleta. Il resto è eco e seggiolini blu. In pista è spettacolo, gara, muscoli tesi e sudore, record che cadono e prime volte per tanti. Sugli spalti nessuno a vederli, a incitarli, applaudirli, trattenere il fiato. Chi guarda le ragazze del salto in alto e i ragazzi del peso, chi spera che Tortu, Bogliolo e Crippa facciano un altro record, è lontano, davanti a uno schermo. La curva vuota alle spalle di Gimbo Tamberi mette tristezza.  C’è la televisione, è vero, grazie alle telecamere il quarantesimo Golden Gala è visto in quasi duecento paesi nel mondo, grazie alle telecamere possiamo vedere in diretta tutto quello che succede, anche se il virus ci tiene ancora lontani dagli stadi (ma il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora,  venerdì ha finalmente annunciato l’apertura parziale al pubblico del Foro Italico, dalle semifinali degli Internazionali di tennis, e a seguire di tutti gli impianti sportivi all’aperto fino a un massimo di 1.000 persone).

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Lo avevamo già capito guardando gli scampoli della stagione calcistica in estate, che senza pubblico lo sport non soltanto non sarebbe più stato lo stesso, ma avrebbe avuto vita breve. Ma il calcio è gioco di squadra, c’è meno solitudine in mezzo a dieci compagni che indossano la tua stessa maglia. L’atletica in uno stadio vuoto ci ha fatto indicare il re nudo. Un’atletica italiana mai così in forma negli ultimi anni, tra l’altro, con ragazzi che hanno iniziato a riscrivere record fermi da qualche decennio, a imporsi come possibili protagonisti nelle gare internazionali e a  non   essere soltanto anonimi sparring partner. Gli speaker Nicola Roggero e Federico Bini, che hanno commentato dal vivo dentro allo stadio le oltre tre ore di gare, facevano un effetto strano a noi pochi presenti sugli spalti. Il loro entusiasmo non faceva partire nessun applauso, le loro urla mentre gli atleti tagliavano il traguardo non erano accompagnate dal boato del pubblico. Dopo pochi minuti era chiaro che la loro cronaca era diretta agli atleti, che infatti venivano incitati prima della prova – alè, dai!, facci vedere –  in un dialogo a senso unico. Chissà cosa pensavano gli atleti, anche con tutto quel contorno musicale  rumoroso ma in fondo muto. Che strano cercare  il limite nel vuoto. Si dice sempre che nel momento del salto, dello scatto, del lancio, sei da solo, non è mai stato così vero come quest’anno. Nell’epoca dell’esaltazione della fatica solitaria torna in mente quello che scrisse Dino Buzzati al Giro d’Italia del 1949, commentando una tappa a cronometro: “Vederli mentre se ne vanno così soli, la faccia tesa e congestionata, non si capisce perché i campioni si affannino tanto. Si direbbe quasi insensato tanto sudore a vuoto”. 

Lo sport senza festa del pubblico è un amplificarsi enorme dello sforzo fisico, ma senza la possibilità di sfogarlo guardano negli occhi chi è felice per te che hai appena vinto, o almeno ci hai appena provato. Quando l’astista svedese Armand “Mondo” Duplantis ha chiesto ai giudici di alzare la misura del salto a 6 metri e 15 centimetri, uno in più del record che 27 anni prima aveva fatto registrare Sergej Bubka, tutti ci siamo chiesti per chi lo stesse facendo. Per se stesso, ovviamente, per la storia dell’atletica e dello sport, per la gloria eternamente passeggera di chi incide il proprio nome accanto a quello di altri indimenticabili. Ma non solo. 

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Quando ha provato a saltare, e ha fatto cadere l’asticella toccandola quasi all’ultimo abbiamo capito che ce l’avrebbe fatta. Noi pochi fortunati a vederlo dal vivo. Per fortuna c’è la televisione, abbiamo pensato. Per un assurdo paradosso (facilitato dalla negligenza della regia Rai), la diretta televisiva si è interrotta proprio poco prima del secondo salto di Duplantis. Pubblicità. Quando le telecamere hanno ricominciato a trasmettere le immagini del Golden Gala sugli schermi degli italiani Duplantis aveva appena cancellato Bubka. Ha iniziato a urlare ancora in volo, quel ventenne dalla faccia sorridente. Una volta caduto sul materasso si è rialzato ed è corso verso la Curva Nord deserta. Quando a febbraio aveva battuto il record di salto con l’asta indoor era stato portato in trionfo dagli altri atleti, il pubblico del palazzetto di Torun, in Polonia, si era alzato in piedi ad applaudirlo, e lui aveva festeggiato per un tempo lunghissimo, esultando con la gente sugli spalti in delirio. A Roma la sua gioia è durata meno di una corsa sul rettilineo dei 100 metri. Duplantis ha urlato la sua felicità davanti alle macchine fotografiche, ha abbracciato ma non troppo gli altri atleti accanto a lui, ed è poi stato premiato con mascherine e il dovuto distanziamento. 

Una festa senza amici, ma una festa, questo quarantesimo Golden Gala. A noi neofiti, che non avevamo mai visto o quasi l’atletica dal vivo, abituati al caos compatto del calcio, è sembrato tutto ordinato, perfetto. I ragazzi che mettevano e toglievano gli ostacoli in pista si muovevano non visti come in una coreografia. Lo sguardo correva da una parte all’altra dello stadio, perché con il passare dei minuti le gare si moltiplicavano: sotto la Curva Sud c’era Tamberi, sotto la Nord Duplantis, nel rettilineo davanti alla tribuna si preparavano le ragazze dei 110 metri ostacoli, alla bandierina del calcio d’angolo Leonardo Fabbri provava a vincere la gara di lancio del peso. Era bello vedere gli italiani che se la giocano, esultare per la vittoria di Edoardo Scotti nei 400 metri e ringraziare di non avere nessun collega esperto seduto abbastanza vicino da essere costretti a confessargli di non conoscere questo ragazzo di vent’anni che corre e vince per i Carabinieri. 

Nell’atletica anche i campioni hanno nomi e facce normali, abbiamo pensato, un po’ banalmente, quando usciti dallo stadio Olimpico nella notte romana abbiamo incrociato a piedi proprio Edoardo Scotti, e poco dopo Jaroslava Mahuchikh, argento a Doha nel 2019. 

“Riscendiamo in pista”, aveva detto il ministro Spadafora prendendo la parola all’Olimpico dopo l’inno nazionale, davanti al presidente della World Athletics Sebastian Coe e ai vertici della Fidal e del Coni. E chissà che non sia stato proprio tutto quello spettacolo sprecato davanti ai seggiolini vuoti,  quella gioia trattenuta e regalata solo alle telecamere, ad averlo convinto del tutto a riaprire impianti all’aperto e stadi per 1.000 persone nei prossimi giorni. Ancora poche, ma un inizio necessario di ritorno alla normalità. Non basta l’allenamento, non basta la fatica, non bastano il sudore, i muscoli, il dare tutto, non bastano le lacrime di gioia dopo una vittoria, non basta neppure la solitudine dell’atleta nell’istante dello sforzo supremo. Senza tifosi, senza appassionati, senza le urla dagli spalti e i cuori che battono insieme a quelli di chi è sulla pista, lo sport non esiste. 

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