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il foglio sportivo

Ecco la NFL più anomala di sempre

Roberto Gotta

Stadi quasi tutti chiusi, paura del Covid, proteste BLM (e ancora Brady)

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Cosa succede di solito alla fine di una partita NFL? I giocatori delle due squadre si salutano in mezzo al campo, con lo sfondo, sugli spalti, delle poche migliaia di persone che non siano già in fuga verso il parcheggio. Giovedì sera, per la partita inaugurale, tra i campioni Kansas City Chiefs e gli Houston Texans, questa scena si è invece vista all’inizio: benvenuti nel mondo alla rovescia, benvenuti alla stagione NFL numero 101, la più anomala e controversa che si ricordi. I giocatori del resto non si salutavano ma si apprestavano a schierarsi, a braccia intrecciate l’uno con l’altro, per una manifestazione di unità contro il razzismo sulla scia delle rivendicazioni del movimento Black Lives Matter. E il pubblico? In parte cospicua contestava, con i ‘buuu’ di frustrazione di chi voleva solo vedere una partita e ne ha forse fin sopra i capelli del martellamento di slogan, magliette, promo, #hashtag, nomi e cognomi ripetuti all’infinito e scritti pure sul retro dei caschi, a scelta dei giocatori: le vittime della polizia, naturalmente non tutte (nel 2020, finora, 242 bianchi, 123 afroamericani, 80 ispanici e 201 ‘non specificati’) ma solo quelle utili alla causa. Il poco pubblico era  una conseguenza del Covid: i Chiefs, che di solito ospitano 72.236 spettatori (che qualche anno  fa, con 142 decibel, hanno stabilito il record mondiale di tifo), hanno potuto farne entrare solo 16.000, il 22 per cento.

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Cosa succede di solito alla fine di una partita NFL? I giocatori delle due squadre si salutano in mezzo al campo, con lo sfondo, sugli spalti, delle poche migliaia di persone che non siano già in fuga verso il parcheggio. Giovedì sera, per la partita inaugurale, tra i campioni Kansas City Chiefs e gli Houston Texans, questa scena si è invece vista all’inizio: benvenuti nel mondo alla rovescia, benvenuti alla stagione NFL numero 101, la più anomala e controversa che si ricordi. I giocatori del resto non si salutavano ma si apprestavano a schierarsi, a braccia intrecciate l’uno con l’altro, per una manifestazione di unità contro il razzismo sulla scia delle rivendicazioni del movimento Black Lives Matter. E il pubblico? In parte cospicua contestava, con i ‘buuu’ di frustrazione di chi voleva solo vedere una partita e ne ha forse fin sopra i capelli del martellamento di slogan, magliette, promo, #hashtag, nomi e cognomi ripetuti all’infinito e scritti pure sul retro dei caschi, a scelta dei giocatori: le vittime della polizia, naturalmente non tutte (nel 2020, finora, 242 bianchi, 123 afroamericani, 80 ispanici e 201 ‘non specificati’) ma solo quelle utili alla causa. Il poco pubblico era  una conseguenza del Covid: i Chiefs, che di solito ospitano 72.236 spettatori (che qualche anno  fa, con 142 decibel, hanno stabilito il record mondiale di tifo), hanno potuto farne entrare solo 16.000, il 22 per cento.

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Solo altre tre squadre, sulla base di leggi statali e decisioni autonome, prevedono di ospitare pubblico, sempre in percentuale limitata e con controlli a raffica, mentre altre si riservano di farlo da ottobre in poi. Chi gioca al chiuso e non ha tetti o cupole da aprire deve restare senza spettatori, ed è quel che accade a Los Angeles, nel nuovissimo stadio costruito a Inglewood per Rams e Chargers, accanto a quel Forum che per decenni ha ospitato i Lakers. 

 

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La NFL ha avuto più tempo di tutte le leghe americane per prepararsi, avendo concluso la sua stagione 2019 proprio a inizio febbraio, ma si è temuto a lungo che l’annata naufragasse prima di partire, per i semplici numeri: in un ritiro precampionato sono a volte anche più di 90 i giocatori, gli staff tecnici contano fino a 25 persone e non c’era la possibilità materiale di isolamento in un’unica ‘bolla’, come ha fatto la NBA, anche per la mancanza di campi di dimensioni adeguate, un po’ meno approntabili di semplici palestre. L’esplosione della protesta all’insegna del Black Lives Matter ha poi complicato la situazione, portando alcune squadre a sospendere temporaneamente gli allenamenti dopo il ferimento di Jacob Blake a Kenosha lo scorso 23 agosto: un esponente dei Detroit Lions è arrivato a dire “non escludiamo alcuna mossa”, e intendeva il rifiuto a disputare partite, come accaduto nella NBA in quei giorni. Alla fine, col pentimento (perlomeno pubblico) dei vertici della NFL e l’ondata di riflusso promozionale, la stagione è partita giovedì e vedrà tra ieri e oggi la disputa delle altre gare. Primi sospiri di sollievo di una multinazionale, quale la NFL ormai è da tempo, che ha introiti annuali vicini agli otto miliardi di dollari, derivanti per oltre il 50 per cento da contratti televisivi, ed era terrorizzata all’idea di perderli, anche alla luce del cambiamento di status fiscale del 2015, quando cessò di essere un’organizzazione senza fini di lucro, e dunque non soggetta a tasse, per diventare una sorta di consorzio delle 32 squadre.

 

La miscela tra stadi vuoti o semivuoti, l’allungamento dei protocolli per inserire iniziative come, per questo primo weekend, l’inno nazionale ‘afroamericano’ (già…) Lift every voice and sing, il pericolo di contagi specialmente in stati ancora non usciti dal pieno della pandemia hanno sparso fumo sui temi sportivi della stagione, tantissimi come sempre: i Chiefs – a proposito, frigge ormai da un po’ anche questo nome, che nasce dall’appellativo di un sindaco della città ma richiama i capi indiani – hanno già confermato di essere perlomeno forti come lo scorso anno, mentre la curiosità più grande è quella di verificare se l’arrivo a Tampa del 43enne Tom Brady, dopo 20 anni a New England, sia sufficiente a portare la squadra addirittura al Super Bowl che si giocherà il 7 febbraio proprio nello stadio della città e per il cosiddetto TB12 sarebbe il decimo.

 

Per il momento, come dice al Foglio Sportivo Cameron Brate, ruolo tight end nei Buccaneers, ovvero destinatario di molti  lanci di Brady, “l’arrivo del giocatore che è ai vertici da prima che alcuni di noi nascessero ci ha dato un incredibile fiducia in noi stessi. Sappiamo che se arriveremo ai finali di partita con il punteggio in bilico avremo una possibilità di vincere grazie a lui, il miglior quarterback della storia”. Tanto per non stabilire un altro record, il confronto inaugurale tra Tampa Bay e New Orleans ha visto al via, oltre a Brady, il collega avversario Drew Brees, che di anni ne ha 41 (non era mai successo, nella storia della NFL, che si sfidassero due titolari ultraquarantenni). Una squadra che quasi certamente al Super Bowl non arriverà è quella di Washington, che dopo aver abbandonato il soprannome di Redskins, aborrito da una minoranza rumorosa, si chiama ora Squadra di Washington, in (poca) arte Washington Football Team. Deboluccia era e deboluccia sarà, anche se la NFL, al contrario della NBA, ha la capacità costante di produrre sorprese: con l’allargamento dei playoff a 14 squadre, da 12 che erano, è ancora più facile che vi si qualifichi una squadra che nell’edizione precedente aveva chiuso all’ultimo posto nella propria division, come accaduto in 15 delle ultime 17 stagioni. E due di esse, New Orleans nel 2009 e Philadelphia tre anni fa, il Super Bowl lo hanno poi addirittura vinto. E allora Brady, Pat Mahomes eccezionale quarterback dei Chiefs col nuovo contratto da 142 milioni garantiti, potenziali proteste, altrettanto potenziale fastidio del pubblico, il virus sempre dietro l’angolo. Mescolare ed agitare, possibilmente non troppo, perché non si sa mai. E incrociare le dita, perché al di là della retorica e delle simpatie il football NFL è lo sport più amato dagli americani e portare fino in fondo il campionato potrebbe davvero voler dire tanto, potrebbe essere un piccolo elemento di normalità in una situazione che di normale non ha più quasi nulla.

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