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il foglio sportivo

Sandro prima di Tonali

Gino Cervi

L’oratorio, il derby in casa, il tifo rossonero e la diversità dei “barasini” dai lodigiani. I luoghi che hanno visto crescere il nuovo numero 8 del Milan

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Per molte giovani generazioni di una volta l’album, o l’almanacco delle Figurine Panini, con le pagine fitte di tabellini dei calciatori, sono stati indiretti ma efficacissimi testi per imparare la geografia, quanto meno quella italiana. Dopo aver preso visione dei dati sulle presenze e reti, stagione per stagione, squadra per squadra, dopo aver buttato un occhio su altezza e peso – così, tanto per prendere le misure di come dovevano essere fatti i calciatori che volevamo diventare –, si finiva per fare caso, oltre che al giorno mese e anno – metti che qualcuno compiva gli anni lo stesso tuo giorno: per esempio, io, modestamente, sono nato lo stesso giorno di Edinho, difensore dell’Udinese, e Guardalben, secondo portiere del Parma – anche al luogo di nascita. Era così che, ad esempio, scoprivi, seguendo Tarcisio Burgnich, che Ruda era in Friuli; o che “Gigirriva”, che credevi sardo fino al midollo, era invece nato a Leggiuno, sulla sponda lombarda (e magra) del lago Maggiore. Poi arrivò la generazione di quelli che non nascevano più in casa, ma in ospedale; venendo in seguito sempre meno la densità dei servizi ospedalieri sul territorio, causa famigerati tagli alla spesa pubblica, capita che uno nasca nell’ospedale di una città che non è il luogo dove vive la famiglia.

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Per molte giovani generazioni di una volta l’album, o l’almanacco delle Figurine Panini, con le pagine fitte di tabellini dei calciatori, sono stati indiretti ma efficacissimi testi per imparare la geografia, quanto meno quella italiana. Dopo aver preso visione dei dati sulle presenze e reti, stagione per stagione, squadra per squadra, dopo aver buttato un occhio su altezza e peso – così, tanto per prendere le misure di come dovevano essere fatti i calciatori che volevamo diventare –, si finiva per fare caso, oltre che al giorno mese e anno – metti che qualcuno compiva gli anni lo stesso tuo giorno: per esempio, io, modestamente, sono nato lo stesso giorno di Edinho, difensore dell’Udinese, e Guardalben, secondo portiere del Parma – anche al luogo di nascita. Era così che, ad esempio, scoprivi, seguendo Tarcisio Burgnich, che Ruda era in Friuli; o che “Gigirriva”, che credevi sardo fino al midollo, era invece nato a Leggiuno, sulla sponda lombarda (e magra) del lago Maggiore. Poi arrivò la generazione di quelli che non nascevano più in casa, ma in ospedale; venendo in seguito sempre meno la densità dei servizi ospedalieri sul territorio, causa famigerati tagli alla spesa pubblica, capita che uno nasca nell’ospedale di una città che non è il luogo dove vive la famiglia.

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Tutto questa retardatio nominis per dire che a Sant’Angelo Lodigiano non sono per niente contenti che la loro recente gloria sportiva locale, Sandro Tonali, astro nascente del calcio nazionale, venga sbrigativamente rubricato come “il giovane campione lodigiano”. Perché anche se quello che si legge sui dati anagrafici di albi e siti web è la vera verità – e cioè che Sandro Tonali è nato a Lodi l’8 maggio 2000, ma solo perché in quel periodo il reparto di ostetricia dell’ospedale di Sant’Angelo era stato temporaneamente chiuso, per un santangiolino, anzi per un “barasino”, sentirsi dare del lodigiano è una insopportabile beffa. 

 

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Ci ridono sopra – ma fino a un certo punto – i dirigenti dell’ASD San Rocco 80, la squadra di calcio in cui Sandrino tirò i primi calci “ufficiali”, nella stagione 2006-07, nella minuscola categoria “Piccoli amici”. Roberto Rustioni, vicepresidente, e Roberto Palladini, responsabile dell’area tecnica ci tengono a precisare che “per carità, niente a che fare coi lodigiani. Noi siamo di Sant’Angelo, siamo barasini!”. Lo conferma, e lo spiega con dovizia di particolari storici anche don Angelo Manfredi, parroco dell’oratorio di San Rocco e presidente dell’ASD: “Sant’Angelo da sempre, nelle vicende di questo territorio, fa storia a sé. È una terra di mezzo, tra Milano, Pavia e, appunto, Lodi da cui dista una dozzina di chilometri in linea d’aria, ma centinaia di migliaia per carattere e mentalità”. Già, perché in un contesto storico ed economico come quello del Sud Milano, tradizionalmente legato all’agricoltura e all’allevamento – e solo recentemente votato ad altri settori, come la logistica – Sant’Angelo era l’eccezione. “I barasini sono diversi – continua don Angelo – Da sempre dediti al commercio e, fino a qualche decennio fa, soprattutto a quello ambulante. Erano mercanti e giravano le piazze del territorio coi loro banchi di merci varie: alimentari, abbigliamento, utensili… Non facendo un lavoro stanziale, nel mondo rurale di un tempo erano guardati con un certo sospetto. Erano quelli bravi a combinare affari, anche non sempre leciti, o perlomeno al margine della legalità. Insomma, gente con la quale bisognava minimo minimo stare all’erta”. Come spesso capita nelle comunità che si distinguono dall’intorno, a Sant’Angelo si parla anche un dialetto particolare: “E da buoni venditori di piazza, hanno lingua pronta e tagliente, facile alla battuta, al motto scherzoso o alla beffa!”, spiega il parroco. I lodigiani che, per contrasto passano per gente un po’ sprovveduta, sono da sempre il loro bersaglio preferito. Soprattutto in campo di rivalità calcistica. Tra Fanfulla e Sant’Angelo è sempre derby, anche se per colpa di tormentate vicissitudini societarie, capita ormai di rado che si incrocino sul campo.

Sant’Angelo si trova alla confluenza del Lambro con il Lambro Meridionale, o Lambro Morto, canale artificiale che arriva dalla periferia Sud di Milano. Il quartiere della parrocchia di San Rocco è separato dal centro storico della cittadina – poco più di 13.000 abitanti – raccolto intorno all’imponente castello trecentesco, di origine viscontea. Sui cartelli stradali all’ingresso cittadino si legge “Benvenuti in Terra Barasina”, tanto per ribadire identità e differenza. “Alcuni storici locali – racconta ancora don Angelo – sostengono che derivi da Barasa, o Baraza, il nome di una famiglia, forse spagnola, che si era opposta con coraggio vigore ai signori del luogo, i Bolognini, feudatari  degli Sforza. I Barasa avevano il loro palazzo proprio su questa sponda del fiume, dove siamo noi del Borgo di San Rocco, il Bosaroche: quindi, campanilismo per campanilismo – scherza don Angelo – noi  di San Rocco siamo “più barasini” degli altri”. L’oratorio, sede dell’ASD San Rocco 80, è una bella e spaziosa struttura che sorge alla Pilota, periferia moderna della città. “Siamo un quartiere di frontiera da sempre. Qui costruirono le case popolari in cui vennero a vivere gli abitanti delle case diroccate del centro, negli anni Cinquanta; poi arrivò l’emigrazione meridionale e ora, da circa vent’anni, quella extracomunitaria. Ma di quell’anima popolare, seppure in mezzo ai tanti problemi economici e di integrazione, è rimasto lo spirito, soprattutto nelle vecchie generazioni. Ci sono “nonne barasine” che danno una mano ai vicini africani, o sudamericani, dando un occhio ai loro figli piccoli”. A leggere oggi le distinte delle formazioni delle varie squadre del San Rocco, dai piccoli amici alla terza categoria, oltre il 60 per cento ha cognomi stranieri.

 

Sandro Tonali non è di questo quartiere, ma qui è arrivato a giocare insieme al fratello Enrico, più grande di tre anni. La mamma Mariarosa, infermiera proprio in quell’ospedale di Sant’Angelo dove “non” è nato Sandro, si faceva carico di accompagnarli agli allenamenti. E lo fece negli anni a seguire, quando, dopo una sola stagione al San Rocco, Sandro passò alla Lombardia Uno, società satellite del Milan, e poi, dopo una breve parentesi al Piacenza, nelle giovanili del Brescia. A dire il vero, la determinazione della signora Mariarosa, aveva fatto sì che Sandrino, a soli 7 anni, tentasse il provino sia all’Inter che al Milan, ma con poco successo: troppo gracile, dissero. 

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A quanto pare, anche in famiglia Tonali è derby: il padre e lo zio milanisti, ma la nonna materna, la signora Biagia, a cui il nipote è tuttora legatissimo, è una sincera tifosa interista. Così, quando nei mesi scorsi pareva che la giovane promessa del Brescia dovesse finire ai nerazzurri, si diceva in giro che l’unica a essere contenta fosse proprio la nonna. Perché Sant’Angelo Lodigiano è storicamente un feudo rossonero, come ci conferma il presidente del Milan Club locale, Fabio Senna, per il quale i colori rossoneri sono una questione di famiglia: “Siamo uno dei Milan Club più “antichi”: lo fondò mio padre nel 1963, l’anno della prima Coppa dei Campioni; e io gli sono succeduto nel 2003. In alcuni anni siamo arrivati ad avere oltre 1.100 soci, ma ancora adesso, che siamo molti di meno, abbiamo una media di 150 abbonati allo stadio, dove il nostro striscione per anni e anni ha campeggiato in bella vista a centrocampo”.

 

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Del resto, rossoneri sono i colori sociali del Sant’Angelo, fondato nel 1907, epoca d’oro a metà anni Settanta quando, in serie C, contava tra le sue fila figli d’arte come Ferruccio Mazzola, figlio di Valentino e fratello di Sandro, ed Evert Skoglund, figlio del biondo Nacka. Memorabile nel 1974 un “derby” contro il Monza ospitato nientemeno che a San Siro con notevole presenza di pubblico.

 

Al San Rocco hanno tutti un bel ricordo di Sandro, che spesso torna in oratorio per assistere ai tornei estivi in cui giocano gli amici d’infanzia. C’è chi sostiene che fin da piccolo, era sorprendentemente dotato di quella “calma dei forti” che lo fa sembrare, in campo e fuori, nella vita di tutti i giorni, un veterano. E magari un capitano. Che – ho controllato sull’almanacco Panini – per uno nato lo stesso giorno di Franco Baresi, 40 anni dopo, ci pare proprio un bell’augurio.

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