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C’è ancora vita sul pianeta calcio femminile (che ricomincia a girare)

Moris Gasparri

Il lockdown ce lo aveva quasi fatto dimenticare, ora riparte con la Serie A più mediatica di sempre. E l’Europa diventa un modello per la crescita del movimento (sì, più degli Usa)

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Che vita c’è sul pianeta calcio femminile? Cosa resta dopo un 2019 celebrato come il grande anno della sua piena affermazione, tanto globale quanto per la prima volta anche italiana? Intanto, c’è vita. Non è una risposta scontata se pensiamo al fatto che in pieno lockdown prima, con l’industria dello spettacolo calcistico ferma, e nella sua ripresa successiva, che ha visto l’interruzione in tutta Europa (con l’eccezione tedesca) dei principali campionati femminili, diffusi erano i timori sul fatto che la pianticella più giovane del sistema-calcio potesse davvero reggere senza troppe ripercussioni a un’interruzione così lunga, una vacanza mediatica altrettanto lunga e a investimenti ancora giovani e quindi revocabili nella scala realistica delle priorità di spesa dei club professionistici. In Italia questi timori erano accresciuti da una storia di sviluppo molto recente, giunta con almeno due decenni di ritardo rispetto all’evoluzione internazionale di questo sport. Il calendario rivoluzionato dalla pandemia regala invece un inatteso mese in cui il calcio femminile sarà il grande protagonista dei palinsesti televisivi, a cominciare dalla ripartenza odierna della Serie A con la sua nuova stagione e dalla Final Eight della Women’s Champions League, in corso tra Bilbao e San Sebastian fino a domenica 30 agosto, giorno della finale.

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Che vita c’è sul pianeta calcio femminile? Cosa resta dopo un 2019 celebrato come il grande anno della sua piena affermazione, tanto globale quanto per la prima volta anche italiana? Intanto, c’è vita. Non è una risposta scontata se pensiamo al fatto che in pieno lockdown prima, con l’industria dello spettacolo calcistico ferma, e nella sua ripresa successiva, che ha visto l’interruzione in tutta Europa (con l’eccezione tedesca) dei principali campionati femminili, diffusi erano i timori sul fatto che la pianticella più giovane del sistema-calcio potesse davvero reggere senza troppe ripercussioni a un’interruzione così lunga, una vacanza mediatica altrettanto lunga e a investimenti ancora giovani e quindi revocabili nella scala realistica delle priorità di spesa dei club professionistici. In Italia questi timori erano accresciuti da una storia di sviluppo molto recente, giunta con almeno due decenni di ritardo rispetto all’evoluzione internazionale di questo sport. Il calendario rivoluzionato dalla pandemia regala invece un inatteso mese in cui il calcio femminile sarà il grande protagonista dei palinsesti televisivi, a cominciare dalla ripartenza odierna della Serie A con la sua nuova stagione e dalla Final Eight della Women’s Champions League, in corso tra Bilbao e San Sebastian fino a domenica 30 agosto, giorno della finale.

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Il calcio femminile a livello mondiale sta vivendo un passaggio di fase storico, ancora poco compreso e poco dibattuto, dominato da una grande contraddizione “geopolitica”.

  

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Il professionismo delle calciatrici è storicamente un’invenzione americana, legato ai ripetuti successi della Nazionale e alle rivendicazioni, sempre con toni combattivi e conflittuali, che tutte le generazioni che ne hanno fatto parte dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso a oggi hanno avanzato nei confronti della federazione, di cui sono nel tempo divenute atlete stipendiate. Da un punto di vista economico e organizzativo il modello americano sta però cedendo il passo: il principale campionato, la National Women’s Soccer League, che aveva già una durata molto breve di nemmeno un semestre, è stato ridotto dalla pandemia a torneo di un mese. La battaglia per l’equal pay avanzata dalle calciatrici della Nazionale, che ha trovato il suo punto di fuoco maggiore nella causa intentata alla federazione per presunte violazioni alla parità di genere salariale rispetto al trattamento economico ricevuto dai colleghi maschi, ha subìto una battuta d’arresto dopo che lo scorso maggio la Corte federale della California ha dato ragione a quest’ultima (primo momento di una battaglia giudiziaria ancora in corso). A livello d’immagine la stessa federazione non è però uscita vincente dalla vicenda, poiché alcuni elementi della strategia difensiva utilizzata, che hanno fatto leva sull’inferiorità atletica e spettacolare delle calciatrici, sono state un vero harakiri rispetto al fatto che il calcio a stelle e strisce ha un posto di riguardo nella mappa calcistica mondiale proprio grazie ai successi femminili. Gli appuntamenti della Nazionale sono infine troppo diradati nel tempo, e non sorprende che in questo panorama di estrema rarefazione agonistica per la nuova stagione tante big si stiano trasferendo in massa in Europa, soprattutto in Inghilterra, vedi il recente passaggio di Rose Lavelle, la grande mattatrice degli scorsi Mondiali francesi, al Manchester City.

 

Al contrario la vecchia Europa in cui a lungo la tradizione “ingombrante” del calcio maschile ha rappresentato un ostacolo per lo sviluppo del movimento femminile, soprattutto nelle sue nazioni principali, ha ormai preso in mano la testa del movimento mondiale, con un modello economico e organizzativo molto diverso da quello americano, di tipo mutualistico. Quel modello di redistribuzione interna che da decenni i college americani, grazie al successo televisivo delle grandi competizioni di football e basket, utilizzano per sostenere economicamente tantissime altre discipline, anche quelle di nicchia, o ancora grandi polisportive come il Barcellona per finanziare con gli ingenti ricavi generati dalla squadra maschile di calcio tante altre squadre in vari sport, è diventato da qualche anno la modalità principale con cui i club professionistici europei finanziano la propria sezione femminile, rendendo possibile un percorso da professioniste per le proprie calciatrici e liberando le rispettive federazioni da rivendicazioni conflittuali. Dentro questa dimensione del mutualismo combinato al professionismo si sta finalmente inserendo anche il movimento italiano, con un obiettivo che ora ha una definizione temporale precisa, la stagione 2022-2023. Ovviamente stiamo parlando di un mutualismo “a tempo”, praticato nella logica dell’investimento, in cui però gli orizzonti del ritorno economico duro e puro, dati alla mano ancora assente, si mescolano per ora alla pressione “politicamente corretta” del rispetto della diversità. A ogni modo, proprio per questa solidarietà redistributiva, quello europeo è uno scenario polarmente opposto rispetto alla “guerra dei sessi” che domina invece lo scenario americano.

 

Sul piano mediatico però gli Stati Uniti continuano con le proprie calciatrici-icone a esercitare un ruolo egemonico: il femminismo combattivo – oltre alle vittorie mondiali, ovviamente – rende infatti le Megan Rapinoe o le Alex Morgan comunicativamente e simbolicamente molto più forti rispetto alle colleghe europee, creando una dinamica per certi versi simile a quella delle icone afroamericane del basket, e d’altra parte la genesi storica e socio-politica dei due movimenti sportivi è per alcuni aspetti la stessa, incardinata nella “storia degli effetti” del Civil Rights Act, così come medesima è la differenza tra percezione americana di queste icone – divisiva e conflittuale – e percezione globale, sempre positiva e spesso celebrativa. Il mutualismo europeo che vince sul piano organizzativo perde sonoramente in quello dell’appeal, come se senza femminismo combattivo e lasciando spazio alle sole abilità calcistiche non si riuscisse a generare un forte livello di attenzione nel grande pubblico. L’olandese Vivianne Miedema, fortissima attaccante dell’Arsenal, dall’inizio della sua carriera va in rete praticamente a ogni partita, eppure il suo appeal mediatico è un milionesimo di quello di Alex Morgan. Sempre a livello europeo la calciatrice-rivelazione della scorsa stagione è stata la norvegese Guro Reiten del Chelsea, esterno offensivo di grandi qualità tecniche e atletiche (nei suoi livelli più alti, come la partita tra Arsenal e lo stesso Chelsea della scorsa Women’s Super League, il calcio femminile non ha più il problema caro a tanti detrattori della lentezza o della scarsa potenza): in quanti la conoscono fuori dalla ristretta cerchia degli addetti ai lavori? Un’ulteriore zavorra è quella distributiva: il calcio femminile di club dal punto di vista televisivo assomiglia per certi aspetti al calcio maschile pre-avvento della tv a pagamento, è praticamente possibile vedere solamente partite del proprio campionato nazionale. La stessa Women’s Champions League, proprio per questo motivo, è ancora un evento poco riconoscibile, in attesa del grande cambiamento di format che dalla stagione 2021-2022 vedrà per la prima volta l’introduzione della fase a gironi, con uno spazio maggiore riservato ai club dei cinque campionati principali (possiamo chiamarlo “effetto Real Madrid”, da questa stagione ufficialmente in campo anche a livello femminile) e una diversa e molto più forte valorizzazione mediatica e commerciale della competizione.

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E l’Italia? Il nostro principale campionato riparte con una serie di novità organizzative interessanti. Sarà infatti la Serie A più mediatica di sempre, dato che per la prima volta nella storia della competizione tutte le partite verranno trasmesse in diretta televisiva da Sky Sport; per la prima volta saranno poi disponibili statistiche di gioco complete come per la Serie A maschile (le nostre calciatrici più forti sono “senza passato” da questo punto di vista). Sono poi cambiati gli standard qualitativi richiesti ai club per quanto riguarda le competenze professionali dei rispettivi staff tecnici e dirigenziali; tutti passaggi graduali ma importanti verso l’avvento del professionismo prima richiamato. Sul piano tecnico il tema è invece sempre quello della sfida al dominio della Juventus. A differenza dei rapporti di forza della Serie A maschile, si segnala sul fronte femminile un Milan candidato al ruolo di principale rivale, dentro un livello competitivo generale del campionato ulteriormente accresciuto rispetto al passato.

 

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Un’altra curiosità interessante è di tipo geografico: la Serie A ha infatti due grandi città del Mezzogiorno al via, il Napoli femminile (società autonoma dal Napoli maschile) e la Pink Bari: sfondare al sud è un antico pallino del ct Milena Bertolini, che non a caso lo scorso anno ha portato la Nazionale a Palermo e Benevento per due partite del girone di qualificazione agli Europei, la cui fase finale è stata ora spostata al 2022. C’è infine il grande tema del tesseramento; da questo punto di vista il calcio nella sua versione femminile sta pian piano attecchendo nelle grandi città metropolitane, soprattutto del nord, il vero motore propulsivo del superamento delle 30 mila tesserate nella scorsa stagione (il dato più alto di sempre, anche se ancora lontano dai numeri delle grandi nazioni europee). La provincia italiana vede però ancora regnare incontrastato il volley, che a livello della pratica femminile si attesta ancora su numeri circa dieci volte più alti, anche se a livello mediatico le calciatrici sono ormai avviate a un ruolo di protagoniste: la popolarità delle atlete dei vari sport olimpici è oggi – Pellegrini a parte – raggiunta o superata dalle varie Bonansea, Girelli, Giacinti.

 

Sarà infine una Serie A in cui per la prima volta si affaccerà il talento della nuova generazione delle calciatrici italiane nate dopo il 2000: sono loro che nel prossimo decennio avranno “tra i piedi” la responsabilità di provare a vincere qualcosa a livello internazionale.

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