il foglio sportivo

Il PSG prima che fosse il PSG

Andrea Romano

La storia mediocre dei campioni di Francia prima degli emiri (e della finale di Champions League)

Nel calcio c’è solo una cosa più aggregante della vittoria: la sconfitta. Perché niente come perdere in continuazione, come osservare gli altri che alzano al cielo coppe e cannibalizzano campionati riesce a creare una efficace narrazione di se stessi. Si finisce con l’autoproclamarsi popolo eletto, comunità che ama incondizionatamente quegli stessi colori che la fanno soffrire, tribù che vaga nel deserto in attesa di una ricompensa che (forse) non arriverà mai. Anzi, peggio. Si finisce col credere di essere speciali. Una lezione che i tifosi del Paris Saint-Germain hanno imparato sulla loro pelle. Perché prima che i soldi del Qatar comprassero la nobiltà, prima di quella sovrabbondanza di titoli nazionali conquistati grazie a budget pornografici, il PSG era una contraddizione in calzoncini e maglietta. Una capitale degradata fino a diventare periferia calcistica, un club dal nome affascinante che non seduceva praticamente nessuno. Colpa anche di quel peccato originale che si è materializzato al momento della sua nascita. Alla fine degli anni Sessanta i club parigini sono poco più che spettri. Il Red Star si salva fra mille tormenti, il Racing Club è fallito e si è inabissato nelle serie amatoriali.

 


Foto LaPresse


 

La Federcalcio francese è preoccupata, vuole formare una squadra capace di lottare per traguardi ambiziosi, che la smetta di trascinarsi stancamente. Così alcuni imprenditori come Jean-Paul Belmondo si riuniscono e tirano fuori dai loro cilindri il Paris FC. Ma è una squadra vuota. Non ha struttura, non ha calciatori, non ha niente. Solo il nome di Parigi in bella mostra. Santiago Bernabeu, il presidente simbolo del Real Madrid, suggerisce alla Federazione transalpina di aprire una campagna di sottoscrizione popolare. Tifosi che possono diventare abbonati e soci, tifosi che possono diventare Parigi. Rispondono in 17 mila. Il club è realtà, ma ancora non ha calciato un pallone in porta. Per non partire dalle serie inferiori serve un po’ di fantasia. E l’idea è piuttosto precisa: fusione. Prima si corteggia il Sedan. Ma senza successo. Poi si strizza l’occhio allo Stade Saint Germain, un piccolo club fondato fuori dalla capitale che gioca in Seconda Divisione. L’agnello sacrificale perfetto da immolare al volere della Federazione. Il Paris Saint-Germain è al suo primo vagito ma nel suo nome, in quel Saint-Germain, è già scritto il suo futuro prossimo. La periferia che fagocita la capitale. Un marchio a fuoco che resterà sempre in bella mostra sulla pelle. Anche il consiglio comunale si lamenta. Quella squadra deve chiamarsi Paris Football Club oppure non avrà più sovvenzioni dal Comune, dice al maggioranza dei consiglieri. Nel 1972 l’accetta della pubblica amministrazione spacca a metà il club. Il Paris FC giocherà ancora in Prima Divisione. Il PSG sprofonderà in terza serie. Senza più giocatori professionisti. Sono anni difficili, stagioni di pane e cipolle, di lotta per la sopravvivenza. Nel 1973 la squadra finisce in mano allo stilista Daniel Hechter. Per prima cosa chiama in panchina Just Fontaine. Poi prende in mano la matita e disegna la nuova maglietta della sua squadra. Ma neanche questa è originale. È una rielaborazione della casacca dell’Ajax. La stagione è più difficile del previsto. Il PSG centra la promozione in Prima Divisione ma nei quarti di finale della Coppa di Francia viene umiliato dallo Stade De Reims, che vince 5-0. Al Parco dei Principi. In città nessuno sembra badarci troppo. “Parigi se ne infischia di noi”, si lamenta Fontaine. Il Paris Saint-Germain come squadra dei parigini, il Paris Saint-Germain come squadra di nessun parigino in particolare. Mentre il Saint Etienne si riempie la pancia di scudetti e mette in bella mostra Platini, il PSG rischia di scomparire di nuovo. Nel 1978 i problemi finanziari possono far saltare di nuovo tutto. Serve ancora la fantasia, serve ancora una fusione. È tutto pronto: Paris FC, Racing e PSG daranno vita al Paris 1. Il nuovo presidente del club, Francis Borelli, riesce a far saltare il progetto. Il PSG è salvo. Può ancora guardare gli altri vincere. Per più di trent’anni. Può assistere ai cicli d’oro di Bordeaux, Olympique Marsiglia (unico club transalpino a vincere la Coppa dei Campioni), Lione. E qualche volta riesce anche a inserirsi. Vince qualche Coppa di Francia (saranno 7 prima dell’avventura qatariota) e qualche Coppa di Lega. Il primo campionato arriva nel 1986. Il periodo felice qualche anno più tardi. Nel 1994, con Weah e Ginola in avanti, il PSG vince la Division 1. Nel 1996 batte il Rapid Vienna in finale (grazie a un gol di N’Gotty) e conquista la Coppa delle Coppe. Sono vittorie importanti ma effimere. Soffioni pronti a disperdersi al primo alito di vento. La squadra di Parigi non riuscirà mai ad aprire un ciclo, a presentarsi come rivale credibile per la vetta della classifica. Resterà periferia pur essendo centro. Un club che ingaggia giocatori iconici (Leonardo, Rai, Ronaldinho), ma che non avrà mai la capacità di trattenerli, di costruire. Un album di grandi figurine che accarezza la memoria ma con poche pagine per il futuro. E i milioni del Qatar hanno plastificato la sua anima, senza mai riuscire a cancellarne quel senso di provincialismo.

Di più su questi argomenti: