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Dagli eroi della cantera alle 8 pere del Bayern. La crisi del Barça è iniziata anni fa

Federico Giustini

Dna blaugrana e identità catalana. Il futuro è Koeman (e Messi?)

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Per provare a comprendere le ragioni della crisi profonda del Barcellona si può partire rileggendo alcune dichiarazioni di Leo Messi: “Da qualche tempo molti giocatori della cantera se ne sono andati e la filosofia del club poggia proprio sul lavoro del settore giovanile. In molti vengono da fuori e adattarsi alla nostra idea di gioco è difficile, richiede tempo”. Era il 2018 e solo un anno prima il sedicenne Eric Garcia, considerato un potenziale erede di Puyol, era passato al Manchester City. Prima di lui avevano abbandonato la Masía Dani Olmo, ora protagonista al Lipsia, e il giapponese Kubo, messo sotto contratto dal Real Madrid. Si aggiungano le cessioni di Thiago Alcantara, Adama Traoré e Jonathan Grimaldo, e le si consideri in rapporto alle cifre spese per tesserare calciatori nello stesso ruolo: più di 150 milioni per André Gomes e Coutinho; 41 per Malcom e 105 per Dembelé; 30 per Junior Firpo. Si otterrà una parziale misura dello sperpero di denaro compiuto dall’attuale dirigenza.

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Per provare a comprendere le ragioni della crisi profonda del Barcellona si può partire rileggendo alcune dichiarazioni di Leo Messi: “Da qualche tempo molti giocatori della cantera se ne sono andati e la filosofia del club poggia proprio sul lavoro del settore giovanile. In molti vengono da fuori e adattarsi alla nostra idea di gioco è difficile, richiede tempo”. Era il 2018 e solo un anno prima il sedicenne Eric Garcia, considerato un potenziale erede di Puyol, era passato al Manchester City. Prima di lui avevano abbandonato la Masía Dani Olmo, ora protagonista al Lipsia, e il giapponese Kubo, messo sotto contratto dal Real Madrid. Si aggiungano le cessioni di Thiago Alcantara, Adama Traoré e Jonathan Grimaldo, e le si consideri in rapporto alle cifre spese per tesserare calciatori nello stesso ruolo: più di 150 milioni per André Gomes e Coutinho; 41 per Malcom e 105 per Dembelé; 30 per Junior Firpo. Si otterrà una parziale misura dello sperpero di denaro compiuto dall’attuale dirigenza.

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Nel mondo del Barcellona l’aspetto identitario tende a essere preminente. Solo lì, in una realtà ai limiti del settarismo, Ibrahimovic può diventare la riserva di Bojan Krkic. L’idea di gioco invocata da Messi è il calcio di posizione: il possesso non è mai fine a se stesso, si cerca sempre la superiorità numerica, si ragiona in modo da facilitare la giocata successiva del compagno, di comandare il gioco nella metà campo degli avversari per riaggredire alto appena si perde palla. Qualcosa di diverso dal tiki-taka, comunemente associato a un possesso palla stucchevole e autoreferenziale. Il gioco di posizione in Catalogna nasce con Cruijff, cresce con Van Gaal, si consolida con Rijkaard e trova il suo apice, estetico e pratico, con Guardiola. L’attuale allenatore del Manchester City, assieme all’allora ds Zubizarreta, nel 2011 volle creare un dipartimento di metodologia dell’allenamento per rendere ancora più robusta la filiera. Per dirigerlo scelsero Joan Vilá, scopritore di Xavi, mentore di Puyol e più di 40 anni spesi a forgiare i talenti della Masía. Nel 2015 Vilá lascia il club per divergenze con Pep Segura, allora general manager del Barça, il quale ha una visione diversa delle linee guida da applicare nelle giovanili: sacrificare i torelli, gli esercizi sulla superiorità numerica e sui controlli orientati; allenare più il gioco in area, i tiri in porta e dare priorità nelle scelte ad attaccanti già forti fisicamente. Quasi un atto di abiura.

 

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Risulta fin troppo semplice parlare di fine ciclo dopo l’8-2 di Lisbona e una stagione senza trofei. Le difficoltà partono da più lontano e soltanto le prodezze dei singoli hanno potuto mascherarle. Prima di Setién, Luis Enrique e Valverde hanno cercato un compromesso con i senatori, li hanno accontentati sul piano tattico, riuscendo così a salvare le ultime stagioni, comunque contrassegnate da delusioni cocenti. Di crisi si era parlato già tre anni fa, quando prima un 4-0 sul campo del Psg e poi l’eliminazione inflitta dalla Juventus misero in seria discussione l’operato di Luis Enrique, ultimo tecnico ad aver conquistato la Champions. Valverde, esonerato a gennaio scorso soprattutto a causa delle rimonte subite in coppa da Roma e Liverpool, era comunque reduce da due trionfi in Liga in due anni. Qualcosa però era già cambiato, il “Dna blaugrana” era stato modificato dall’arrivo di Neymar nel 2013. Cruijff sentenziò in due momenti: “Non l’avrei preso” subito dopo il suo acquisto; “È lui il problema” al termine della sua prima stagione al Barça. Luis Enrique capì di dover sacrificare i principi perché la sua esperienza potesse durare. Ecco il primo spartiacque, da quel momento non si torna indietro. Lo sviluppo del gioco si adegua e si plasma sulle esigenze del tridente dei grandi nomi, la MSN: grazie soprattutto a Messi-Suarez-Neymar, e al loro affiatamento, i blaugrana fanno il triplete. Il secondo momento cruciale riguarda sempre Neymar, ma è la sua cessione, nell’estate del 2017, al Psg per 222 milioni. Quei soldi, e non solo quelli, verranno reinvestiti senza che la rosa riesca a rigenerarsi e rafforzarsi. Il ricambio generazionale graduale non è avvenuto.

 

Ora si proverà a ripartire dai principi tattici, come si pensava di poter fare a gennaio quando Quique Setién, esonerato ieri, aveva promesso almeno il bel gioco. La disfatta contro il Bayern può essere analizzata attraverso alcuni numeri, impietosi per la filosofia del Barça: 99 palloni persi, 17 dei quali nella propria area; solo 3 quelli recuperati nella metà campo avversaria. Il prossimo allenatore sarà Ronald Koeman, olandese, allievo di Cruijff ed ex blaugrana che a gennaio aveva invece detto “no grazie”. Così come fece Xavi, profilo perfetto per una rinascita che passi per il coinvolgimento di giovani come Fati, Puig e Aleñá e per tante cessioni. Ma i rapporti dell’ex centrocampista con l’attuale dirigenza non sono idilliaci, vista la sua vicinanza a Victor Font, candidato alla successione di Bartomeu che invoca da mesi le dimissioni del presidente. Il passo indietro però non è arrivato, al termine del cda è stata comunicato che le elezioni si terranno il 15 marzo, come previsto da statuto.

 

Bartomeu porterà a conclusione il suo mandato ma non potrà ripresentarsi. Nei prossimi mesi proverà a invertire la rotta per poter indicare un candidato continuista e cercare di mantenere la sua influenza. Presidente dal 2014, è sotto attacco da febbraio, quando si scoprì che I3 Ventures, un’azienda di digital marketing a cui il club aveva affidato il monitoraggio del web, usava alcuni suoi profili social per screditare tesserati e icone del Barça. Sei membri del cda si sono dimessi subito dopo; la scorsa estate invece era toccato a Pep Segura, ritenuto responsabile del fallimento sportivo, e al vicepresidente dell’area sportiva Jordi Mestre, solidale a Segura. Sono destinati a lasciare anche il Ceo Òscar Grau e il direttore sportivo Eric Abidal, mal visto dai calciatori dopo che li ha accusati di scarso impegno e di aver propiziato la cacciata di Valverde.

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