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il foglio sportivo

Toto Wolff, l’uomo che non sa perdere mai

Umberto Zapelloni

Fallimenti, successi e manie del manager che voleva essere pilota e ha cambiato la Mercedes

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Toto Wolff è un uomo che non vorrebbe perdere mai, anche perché è certamente la cosa che gli riesce peggio. Quando vince, il team principal della Mercedes sa essere spiritoso, simpatico, morbido come un maglioncino di cachemire. Quando perde gli escono gli aculei e il maglioncino si trasforma in carta vetrata. Va detto che in pista gli è capitato piuttosto raramente negli ultimi anni, con la Mercedes che ha conquistato 93 dei 126 Gran premi dell’èra ibrida corsi fin qui. “La sconfitta è una sofferenza che non vogliamo vivere”, ripete spesso il manager nato a Vienna nel gennaio 1972 da madre polacca (un’anestesista) e padre mezzo austriaco e mezzo romeno, morto di cancro al cervello quando lui aveva solo 8 anni. Gli sono andate peggio le sue campagne politiche: voleva diventare il grande boss della Formula 1, la Ferrari lo ha sgambettato; voleva guadagnare di più dal rinnovato Patto della Concordia, la Ferrari lo ha messo a sedere. Sconfitte fastidiose per chi vorrebbe vincere sempre, ma dalle quali si può certamente consolare con il 30 per cento della squadra corse Mercedes e lo 0,95 per cento della Aston Martin (valore di mercato 42 milioni di euro). Adesso per colpa della vicenda Racing Point (la Mercedes Rosa) sotto tiro, sotto accusa e sotto processo (grazie all’alleanza Ferrari-Renault) sta rischiando buona parte della sua reputazione, soprattutto nei confronti dei suoi azionisti di maggioranza di Stoccarda.

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Toto Wolff è un uomo che non vorrebbe perdere mai, anche perché è certamente la cosa che gli riesce peggio. Quando vince, il team principal della Mercedes sa essere spiritoso, simpatico, morbido come un maglioncino di cachemire. Quando perde gli escono gli aculei e il maglioncino si trasforma in carta vetrata. Va detto che in pista gli è capitato piuttosto raramente negli ultimi anni, con la Mercedes che ha conquistato 93 dei 126 Gran premi dell’èra ibrida corsi fin qui. “La sconfitta è una sofferenza che non vogliamo vivere”, ripete spesso il manager nato a Vienna nel gennaio 1972 da madre polacca (un’anestesista) e padre mezzo austriaco e mezzo romeno, morto di cancro al cervello quando lui aveva solo 8 anni. Gli sono andate peggio le sue campagne politiche: voleva diventare il grande boss della Formula 1, la Ferrari lo ha sgambettato; voleva guadagnare di più dal rinnovato Patto della Concordia, la Ferrari lo ha messo a sedere. Sconfitte fastidiose per chi vorrebbe vincere sempre, ma dalle quali si può certamente consolare con il 30 per cento della squadra corse Mercedes e lo 0,95 per cento della Aston Martin (valore di mercato 42 milioni di euro). Adesso per colpa della vicenda Racing Point (la Mercedes Rosa) sotto tiro, sotto accusa e sotto processo (grazie all’alleanza Ferrari-Renault) sta rischiando buona parte della sua reputazione, soprattutto nei confronti dei suoi azionisti di maggioranza di Stoccarda.

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Il suo sogno da ragazzo era di diventare campione del mondo di Formula 1. C’è riuscito 12 volte, anche se il suo piano originale prevedeva che al volante ci fosse lui. Prima di diventare manager, Toto, niente altro che l’abbreviazione di Torger Christian, ha fatto il pilota. Seat Ibiza Cup, Formula Ford in Austria e Germania, campionato Fia Gt con l’italianissima squadra di Orlando Redolfi, uno dei migliori preparatori Porsche del mondo delle corse. A Pedrengo ha imparato l’italiano, un po’ di bergamasco e tanto nella gestione delle auto. “Un uomo vero, collaborativo e perfezionista. Un gentleman driver con la mentalità del professionista”, dice di lui l’Orlando. Erano il 2002 e il 2003. Toto correva, ma, dopo aver lasciato gli sudi di economia e aver lavorato nell’acciaio, aveva già fondato la sua prima società finanziaria di private equity, la “Marchfifteen” che presto aprì sedi a Berlino, Zurigo, Vienna, Tel Aviv e Varsavia. Un business che lo ha reso ricco, permettendogli di unire gli affari alla passione e diventare socio della Williams, il trampolino di lancio che poi ha convinto la Mercedes a fargli l’offerta che ha cambiato la sua vita.

   

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La proposta della Mercedes partì da una domanda: perché il nostro team non è competitivo? Era la fine dell’estate 2012 e Toto frequentava la F1 come azionista della Williams. La sua risposta fu così convincente che il Board di Stoccarda gli propose di diventare azionista e di gestire la squadra. Sul piatto c’era il 40 per cento. Dall’altra parte c’era però un direttore non esecutivo con cui confrontarsi. Non uno qualsiasi: Niki Lauda. Toto lo aveva conosciuto una ventina di anni prima quando flirtava con una ragazza, poi diventata la sua prima moglie, madre dei suoi primi due figli, che era cugina di secondo grado di Niki. Cominciarono a frequentarsi con le classiche uscite a quattro. Cinema, ristorante. “Ho preso io i biglietti, mi devi 50 scellini”, la prima frase del 47enne Lauda, tre volte campione del mondo, proprietario di linea aerea, al giovane 24enne amico della cugina. Niki non faceva sconti a nessuno. Una delle prime cose che Toto si sentì dire da Lauda fu: “Tu sei davvero un idiota”. Toto gli aveva appena detto che il suo sogno era battere il record per auto Gt sul vecchio circuito del Nurburgring. “E’ troppo pericoloso e a chi vuoi che interessi se batti un vecchio maledetto record”. Record che per la Formula 1 è ancora detenuto proprio da Niki… Ma Lauda aveva ragione. Toto uscì di pista a 268 all’ora e con un impatto di 27G si ruppe qualche vertebra danneggiando i nervi che regolavano gusto e olfatto. Adesso quando gli parlate di pilotaggio scherza: “Guida meglio mia moglie”, ovvero Suzie Stoddart, la madre di Jack (2017) suo figlio più piccolo, l’ultima donna ad aver guidato una Formula 1 durante un weekend ufficiale. Pazienza che fosse la Williams di cui il marito era socio. “Lei è brava davvero”.

 

Anni dopo Niki e Toto si ritrovarono faccia a faccia quando Toto gli raccontò l’offerta ricevuta dalla Mercedes. “Perché nessuno me lo ha detto?”, fu la risposta un po’ arrabbiata di Niki che aggiunse “dammi 24 ore di tempo per pensarci”. Due ore dopo Niki era di ritorno al motorhome Williams: “Facciamolo insieme, unendo le nostre forze potremmo raggiungere prima l’obbiettivo. Io mi prendo il 10 per cento a te lascio il 30”. Con un piccolo particolare, il conto da pagare ad avvocati e notai per la transizione. Niki avrebbe dovuto partecipare per il 25 per cento, ma Toto si sentì fare un’offerta: “Paghi tutto tu e in cambio io ti do un passaggio in aereo a ogni Gran premio”. E senza pagare una tassa carburante (con Niki non si poteva mai dire)! Affare fatto. L’alleanza con Lauda è stata fondamentale per far crescere il team, convincere Hamilton, gestire la battaglia con Rosberg. Dopo qualche attrito iniziale, chiarito con una stretta di mano davanti a Board, Toto e Niki cominciarono a lavorare davvero di squadra. Oggi che Niki non c’è più, lui ha un’alleanza di ferro con Hamilton e una d’affari con Lawrence Stroll, miliardario, papà di pilota e proprietario di Racing Point e Aston Martin, tra mille altre cose. Si sussurra che fossero pronti a rilevare il team in caso la Mercedes avesse deciso di lasciare la Formula 1. Che ne sarà di lui e della Mercedes lo vedremo. Dove lo trovano un manager che quando vince riesce anche a essere simpatico e ad esprimersi, come fosse un discorso del Santo Padre, in tedesco, inglese, italiano, francese, spagnolo e polacco. Se un giorno se lo dovesse chiedere anche John Elkann, lui ha già dato una risposta scherzosa al Kronen qualche mese fa: “Piuttosto che andare alla Ferrari preferirei fare qualcos’altro: andare su Marte con Lewis Hamilton e vedere se c’è qualcosa da vincere anche lì”. Mentiva.

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