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Il tempismo sbagliato di Spadafora

Umberto Zapelloni

Perché, se imposte così, le idee del ministro per rivoluzionare lo sport italiano rischiano di affossarlo

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Nei palazzi dello sport italiano oggi si combatte anche la guerra delle statue. Nei giorni scorsi all’ingresso di Palazzo H, Sport e Salute ha fatto affiggere una scritta gigante che però dava l’impressione di appropriarsi del busto di Giulio Onesti. Poche ore dopo, il busto dell’uomo che più ha fatto per lo sport in Italia, è tornato in quella che possiamo definire “area Coni”. Dispettucci. Mentre fuori scoppiava la tormenta. Passato l’uragano Giorgetti, lo sport pensava di essersi messo al sicuro sulla sua isola felice, inevitabilmente popolata anche da qualche vecchio dinosauro. Non aveva fatto i conti con lo tsunami Spadafora. Il testo unico dello sport, presentato nei giorni scorsi e spiegato in diretta Facebook (Conte style) dal ministro, ha avuto l’effetto di un cazzotto alla bocca dello stomaco per un mondo alle prese con una crisi economica senza precedenti nell’anno che porta ai Giochi di Tokyo. È ancora un disegno di legge, ma è già riuscito a coalizzare un sacco di presidenti di Federazione di solito abituati ad accoltellarsi. Se Spadafora voleva unire lo sport italiano, da sempre litigarello, ce l’ha quasi fatta. La sua idea, però, sembra piuttosto un’altra. Più che una riforma pare una rivoluzione. “E’ vero che dopo la Rivoluzione Francese il mondo è stato molto più bello, ma quanti morti ha prodotto quella rivoluzione?”, commenta un riformista saggio come Franco Carraro, mentre abbassa la musica che inonda il suo studio.

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Nei palazzi dello sport italiano oggi si combatte anche la guerra delle statue. Nei giorni scorsi all’ingresso di Palazzo H, Sport e Salute ha fatto affiggere una scritta gigante che però dava l’impressione di appropriarsi del busto di Giulio Onesti. Poche ore dopo, il busto dell’uomo che più ha fatto per lo sport in Italia, è tornato in quella che possiamo definire “area Coni”. Dispettucci. Mentre fuori scoppiava la tormenta. Passato l’uragano Giorgetti, lo sport pensava di essersi messo al sicuro sulla sua isola felice, inevitabilmente popolata anche da qualche vecchio dinosauro. Non aveva fatto i conti con lo tsunami Spadafora. Il testo unico dello sport, presentato nei giorni scorsi e spiegato in diretta Facebook (Conte style) dal ministro, ha avuto l’effetto di un cazzotto alla bocca dello stomaco per un mondo alle prese con una crisi economica senza precedenti nell’anno che porta ai Giochi di Tokyo. È ancora un disegno di legge, ma è già riuscito a coalizzare un sacco di presidenti di Federazione di solito abituati ad accoltellarsi. Se Spadafora voleva unire lo sport italiano, da sempre litigarello, ce l’ha quasi fatta. La sua idea, però, sembra piuttosto un’altra. Più che una riforma pare una rivoluzione. “E’ vero che dopo la Rivoluzione Francese il mondo è stato molto più bello, ma quanti morti ha prodotto quella rivoluzione?”, commenta un riformista saggio come Franco Carraro, mentre abbassa la musica che inonda il suo studio.

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Le idee del ministro non sono culturalmente sbagliate, ma la sensazione è che siano esagerate dal punto di vista della tempistica. Spadafora non vuole riformare lo sport, lo vuole rivoluzionare con alcune idee corrette e con altre molto pericolose. Cominciamo dalla forma. Attaccare i presidenti federali via Facebook dicendo “Ci sono presidenti in carica dai tempi della lira e da prima dell’attentato alle Torri Gemelle” può anche essere cronisticamente corretto, ma è decisamente poco elegante, soprattutto parlando da un Parlamento dove c’è gente seduta da 35 anni. Ma non è colpa di Casini se ogni volta riesce a farsi rieleggere. Perché quello di cui non si tiene conto è che anche i presidenti federali comandano dopo un’elezione e non per diritto divino. Si può obbiettare dicendo che anche Cio e Fifa (dal 2016 dopo lo scandalo Blatter) hanno un limite di tre mandati. Corretto. Ma non lo hanno le federazioni nazionali dei maggiori paesi europei. Non è sbagliato chiedere un ricambio, è pericoloso imporlo già da dopodomani. E comunque resta una domanda facile facile: se il limite di tre mandati va bene per il Cio, la Fifa e le Federazioni, perché diventa di due per il Coni? Sembra quasi una norma anti Malagò. E infatti verrà rivista. L’idea del limite dei mandati non è una novità e non è sbagliata. Risale ad ancora prima dell’epoca Lotti. Arrivò sul tavolo dell’onorevole Boschi spinta da Josefa Idem e Raffaele Ranucci che proponevamo un massimo di due mandati per i presidenti federali. Maria Elena Boschi fu ben consigliata e decise di optare per il limite di tre, da far entrare in vigore progressivamente, dal 2024, non da dopodomani. Quando il ministro dice : “Sedici presidenti sono in carica da trent’anni, ininterrottamente. Non credo che pensare di lasciare il passo sia qualcosa di scandaloso”, non ha culturalmente torto, anche se la democrazia imporrebbe di rispettare delle elezioni libere. Quello che non racconta è che a rischio ci sono un migliaio di dirigenti sparsi in tutta Italia. Il pericolo è davvero di azzerare alcune Federazioni senza aver avuto il tempo di creare un ricambio. Con l’aggravante che il rinvio dell’approvazione della legge delega a ottobre (se non a novembre) e l’obbligo del ministro di votare entro il 15 marzo, ha autorizzato qualcuno (vedi tennis e nuoto) ad anticipare a settembre le elezioni, così da dribblare il limite dei mandati. 

 

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Come sa bene chiunque si occupi di sport ci sono mosse giuste che fatte al momento sbagliato possono provocare dei disastri. Proporre l’abolizione del vincolo oggi può infatti portare al fallimento migliaia di società. Lo sport dilettantistico si basa sui finanziamenti e sul volontariato. Oggi non ci sono più soldi e la gente ha meno tempo libero perché deve lavorare di più per guadagnare come prima. Togli alle società dilettantistiche la possibilità di incassare cedendo i loro gioiellini e rischi di ammazzare un movimento. “Se oggi ci sono 700 mila partite di calcio dilettantistico in Italia, si rischia si perderne la metà con tutte le conseguenze che ne possono conseguire”, assicura chi ha studiato il problema. Si tratta di scelte che possono anche essere culturalmente logiche, ma possono diventare molto pericolose se realizzate con i tempi sbagliati. Anche se togliere il vincolo a bambini e ragazzini che magari vogliono cambiare squadra per giocare con i loro amichetti è un dovere. È lo stesso discorso nascosto dietro a un’altra frase politicamente molto corretta del ministro: “Non ci saranno più distinzioni di genere, ma il professionismo sarà alla pari perché questa disparità che c’è stata finora va colmata”. Pensare che lo sport femminile possa diventare tutto professionista è un’utopia, quasi come pensare che la Ferrari possa vincere il Mondiale 2020.

 

Senza contare che la rivoluzione di Spadafora rischia di moltiplicare la burocrazia. Perché là dove c’erano il Coni e Coni servizi oggi ci sono Coni, Sport e Salute, ministero dello Sport e Ufficio dello Sport. Perché se anche al ministero arriveranno funzionari già assunti in altri ministeri, sempre noi li paghiamo. Nel mondo tutti stanno cercando di abbattere le spese per la burocrazia per investire sul core business: lo sport rischia di triplicarle… C’è chi teme che l’intervento ministeriale si trasformi in una controriforma dopo che la legge delega del 2018 aveva già dato indicazioni precisi sulla divisione dei ruoli tra stato, Coni e Sport e Salute. Il ministero indica la via, dà l’indirizzo politico; Sport e Salute è il braccio operativo dello Stato nella promozione delle politiche pubbliche al servizio dello sport e del benessere; il Coni si occupa della preparazione olimpica. Sport e Salute aveva un ruolo preciso con la riforma Giorgetti, se la riforma si trasforma in controriforma, rischia di essere scavalcato dal ministero. Un po’ di chiarezza non guasterebbe. Anche perché presto comincerà la battaglia sui numeri con un’analisi degli organici.

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Se riforma deve esserci, ci sia pure, ma una rivoluzione potrebbe costringere a ripartire da zero e non da dove eravamo. Lo sport italiano in fin dei conti è ancora tra i primi sei al mondo come risultati, anche se il nostro è il quarto tra i paesi europei più sedentari. Tra i presidenti “cacciati” da Spadafora c’è chi in questi anni, da Barelli a Binaghi fino a Chimenti, i risultati (sportivi e politici) li ha portati a casa. “Si rischia di mungere mucca e poi di rovesciare secchio pieno di latte”, come diceva un grande allenatore come Boscia Tanjevic. Ritornando all’origine del problema, un vecchio saggio suggerisce: “Gli obiettivi di questa legge non sono sbagliati, ma sono irrealistici i tempi in cui si vogliono raggiungere”. Soprattutto in un momento storicamente delicato come questo post Covid con la gente tenuta lontana da palestre e impianti. “La mia nipotina di 13 anni faceva sport… durante l’epidemia si è messa a fare yoga prendendo lezioni dal suo telefonino… io spero torni a fare sport, ma il rischio di avere un calo dei praticanti esiste”, racconta un altro uomo che per lo sport ha fatto tanto in vita sua. Va bene accelerare, ma una cosa è accelerare, un’altra schiacciare a tavoletta nel momento sbagliato. Non serve essere Leclerc per capirlo.

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