foto LaPresse

il foglio sportivo

Trent'anni fa diventammo immortali

Massimiliano Vitelli

Totò Schillaci racconta la sua Italia ’90: “Pensavo di fare tribuna, sono stato me stesso, ero felice”

La corsa con le braccia al cielo, gli occhi quasi fuori dalle orbite, increduli e festanti. Se il ritratto della felicità esistesse, avrebbe le sembianze di Totò Schillaci dopo il gol all’Austria nel finale della partita d’esordio degli Azzurri a Italia ’90.

  

 

Domani saranno trascorsi trent’anni dall’inizio di quell’avventura indimenticabile fatta di calcio e passione, delle note di “Un’estate italiana” cantata da Edoardo Bennato e Gianna Nannini, delle tavolate all’aperto col cuore in gola a tifare, delle speranze e della delusione giunta a due passi dal coronamento del sogno.

 

In esclusiva al Foglio Sportivo, Totò Schillaci, l’uomo simbolo di quel Campionato del Mondo, ripercorre le tappe di quel viaggio che lo ha reso sportivamente immortale. Totò parla al presente, come se rivivesse oggi ciò che accadde allora. “Mancano pochi giorni alle convocazioni. La stampa preme affinché io faccia parte del gruppo. Del resto sono un attaccante della Juventus, con la quale, alla prima stagione, ho realizzato 15 reti in 30 gare. Brighenti, il mister dell’Under 21, su indicazione di Vicini, mi convoca per un’amichevole contro l’Inghilterra. Sono certo sia il mio esame d’ammissione. Mi trovo davanti Paul Gascoigne, che mi fa male al piede destro, serviranno tre punti di sutura. Al termine della gara penso di aver giocato bene, spero tanto di aver convinto il ct a portarmi”. Arriva il momento di sapere chi farà parte della spedizione, Totò freme. “Siamo negli spogliatoi della Juventus al termine di un allenamento, entra il direttore sportivo Francesco Morini, cala il silenzio. Ha in mano la lista, inizia a leggere i nomi dei calciatori bianconeri che andranno a Italia ’90. Tacconi, De Agostini, Marocchi, Baggio. Fine. Morini esce e a me crolla il mondo addosso. Poi rientra e sorridendo dice: ‘Ah, anche Schillaci’. Ho il cuore a mille, penso che andrò a fare tribuna, se andrà bene qualche panchina, ma due stagioni prima ero in serie B con il Messina, va benissimo così”. Arriva il giorno dell’assegnazione dei numeri di maglia. “Casualmente a me tocca il 19. Io sono nato in via della Sfera 19 – penso – porterà bene?”.

 

L’Italia gioca la sua prima partita allo stadio Olimpico di Roma il 9 giugno. A venti minuti dal fischio finale il risultato è ancora sullo 0-0. “Vicini si gira verso la panchina e dice: scaldati. Mi guardo intorno, poi chiedo ai compagni: con chi ce l’ha? Tacconi mi dice di sbrigarmi, che sto per entrare e che segnerò di testa. Cinque minuti più tardi sono in campo, e dopo appena altri quattro Vialli va sul fondo, crossa in mezzo e io di testa segno. Non ci capisco più niente, inizio a correre come un bambino, sono felice”. Dopo il successo contro gli Stati Uniti, gli Azzurri battono anche la Cecoslovacchia, apre le marcature Totò, il raddoppio è di Roby Baggio. “Sto vivendo dentro un film – dice il palermitano – indosso la maglia azzurra in un Mondiale e ho già fatto due gol”.

 

Agli ottavi di finale c’è da fare i conti con l’Uruguay. “Partiamo forte, attacchiamo con continuità, ma non riusciamo a segnare, poi al 65’ mi arriva un pallone al limite dell’aria, tiro più forte che posso ed è gol!”. A una manciata di minuti dal 90° arriva il raddoppio di Serena e si va ai quarti contro la Repubblica d’Irlanda, partita che finirà 1-0, con la quarta rete di Totò.

 

Il 3 luglio la Nazionale di Vicini si gioca contro l’Argentina l’accesso alla finale. “Quando stiamo aspettando l’ok dell’arbitro per entrare sul terreno di gioco mi ritrovo al fianco di Maradona – ricorda Totò – siamo nel tunnel, lui ha l’adrenalina a mille. Non sta fermo un secondo. Lo guardo, è piccoletto (e detto da me ha un gran significato), ma sembra un gigante. Carica i suoi, è capitano e tifoso insieme. Poi, durante la partita, si fa sentire. Nei momenti a palla lontana da me lo osservo e penso: sto giocando contro Maradona, chi lo avrebbe mai immaginato”. I tempi regolamentari finiscono 1-1. “Quando andiamo ai supplementari mi rendo conto che i nostri avversari vogliono arrivare ai rigori sapendo di avere più qualità di noi”. L’Italia ce la mette tutta, ma il risultato non cambia. “Al fischio dell’arbitro sono triste, ci apprestiamo ai tiri dal dischetto con la consapevolezza di essere poco competitivi e infatti perdiamo”. Le notti magiche sono finite, lo stadio si svuota, le luci si spengono. Il buio inghiotte i sogni di vittoria. Nello spogliatoio degli Azzurri si mescolano sentimenti, imprecazioni e stati d’animo. “Vicini prova a consolarci, ma siamo a pezzi. Mi guardo intorno, qualche mio compagno sta piangendo. Accendo una sigaretta, poi un’altra. Non riesco a togliermi la maglia, non può essere finita così”. L’Italia vincerà poi la finale per il terzo posto contro l’Inghilterra, ma per tutti il Mondiale è finito con il rigore sbagliato da Serena.

 

 

Oggi Totò ha 55 anni, ma quando parla di quel mese che gli ha cambiato la vita sembra un adolescente. “Quell’anno sono arrivato secondo nella classifica del Pallone d’Oro dietro a Lothar Matthaus, ancora mi sembra incredibile. Italia ’90 mi ha regalato l’affetto della gente, quel Mondiale ce l’ho negli occhi ogni giorno. Io sono nato nel quartiere popolare Cep di Palermo, fino a venticinque anni non ero mai uscito dalla Sicilia. Quello che mi è successo dopo avrebbe potuto anche farmi perdere un po’ la bussola, invece sono rimasto quello di sempre e la gente lo percepisce. Ovunque vada mi vogliono bene, mi riempiono d’amore, non posso fare un passo senza dover firmare un autografo o posare per una foto. Qualche volta vedo i miei colleghi che si indispettiscono, io sono sempre felice di essere così ben voluto. È il premio più bello per la mia genuinità e per l’impegno totale che ho sempre messo nel lavoro”. Totò Schillaci resterà per sempre l’icona di quell’estate italiana, di quelle “notti magiche inseguendo un gol”.

Di più su questi argomenti: