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I sorprendenti anni Ottanta del calcio europeo

Francesco Caremani

Non solo il Mundial spagnolo vinto dagli azzurri. Dalla Dinamo Tbilisi alla Steaua Bucarest passando per l'inizio della epoca Ferguson. Il decennio delle affermazioni di formazioni poi scomparse dai radar europei

[seconda puntata della serie "Regine una notte sola". Tutte le altre le trovate quiGli Ottanta sono anni altalenanti, si sono portati dietro la zavorra del decennio precedente, hanno anticipato quello successivo, dopo essersi aperti nel modo più drammatico: 2 agosto, la strage alla stazione di Bologna, una ferita sociale mai rimarginata. L’11 giugno 1981 Alfredo Rampi cade in un pozzo artesiano, morirà due giorni dopo con il Paese che seguirà la vicenda in diretta, nasce la televisione del dolore. Il 13 maggio durante la benedizione in piazza San Pietro Giovanni Paolo II è gravemente ferito dal terrorista turco Ali Mehmet Agca. È il decennio dei paninari prima e degli yuppies dopo, del riflusso e del disimpegno politico sociale per tornare al personale, dei colpi di coda del terrorismo e di un mondo che economicamente pare avere il vento in poppa. È anche il decennio dell’Italia Mundial e delle squadre italiane che tornano, dopo i Sessanta, in massa a essere competitive nelle coppe europee e a vincerle. Gli Ottanta sono anche gli anni in cui, a livello internazionale, si affermano formazioni poi scomparse dai radar europei, basti pensare alla Dinamo Tbilisi o all’Ipswich Town, per non parlare dell’Aberdeen allenato da un certo Alex Ferguson, ne avete mai sentito parlare?

  

Eintracht Francoforte, Coppa Uefa, 21 maggio 1980

 

 

Nel 1980 Bill Gates realizza per la IBM il linguaggio operativo MS/DOS mentre in Francia è inaugurato il primo TGV, treno che può raggiungere i 380 chilometri l’ora. Nel cinema Kramer contro Kramer vince l’Oscar, Gesualdo Bufalino pubblica il libro Diceria dell’untore e riscuote un grande successo il romanzo di Umberto Eco Il nome della rosa. Nella Coppa Uefa di quella stagione le squadre italiane sono Inter, Napoli, Perugia e Torino, che non vanno oltre i sedicesimi di finale. Le tedesche, invece, sono cinque e monopolizzeranno le semifinali trasformandole nell’avamposto della Coppa di Germania. Il Bayern Monaco viene eliminato dall’Eintracht (5-1 nei supplementari a Francoforte) e lo Stoccarda dal Borussia M’Gladbach. La finale si gioca in due partite di andata e ritorno: i biancorossi ci sono arrivati battendo Aberdeen, Dinamo Bucarest, Feyenoord, Zbrojovka Brno e Bayern Monaco, appunto; i biancoverdi Viking, Inter (ai tempi supplementari), FCU Craiova, Saint-Etienne e Stoccarda. L’andata si gioca al Bökelbergstadion di Mönchengladbach il 7 maggio, la squadra di casa, allenata da Jupp Heynckes, schiera un giovane Lothar Matthäus e i danesi Nielsen e Thychosen. È proprio il futuro calciatore dell’Inter che al 77’ piazza il colpo del kappao per il 3-2 che permette al Borussia di vincere ma senza certezze per la gara di ritorno. Il 21 al Waldstadion di Francoforte il match resta inchiodato sullo 0-0 fino alla rete di Schaub all’81’, subentrato da appena quattro minuti al posto di Nachtweih, Eintracht in vantaggio e vincitore della Coppa Uefa grazie alle reti segnate in trasferta, una regola che oggi in molti vorrebbero rivedere, anche se le coppe rimaste sono con finale secca.

 

 

Il calcio tedesco aveva espresso il meglio di sé in questa manifestazione, andando poi a vincere il Campionato Europeo per Nazioni che di lì a qualche settimana si disputerà in Italia, con la Nazionale azzurra falcidiata dalle squalifiche per lo scandalo del calcioscommesse.

 

Dinamo Tbilisi, Coppa delle Coppe, 13 maggio 1981

 

 

Il 1981 è l’anno in cui viene eseguito il primo volo nello spazio di uno Shuttle riutilizzabile, l’OMS dichiara che il vaiolo è stato definitivamente debellato, mentre esce il libro di Primo Levi Se non ora, quando. Nello sport Giovanni Battaglin si aggiudica il 64esimo Giro d’Italia davanti allo svedese Prim e a Saronni, il motociclista italiano Marco Lucchinelli conquista il titolo ridato della classe 500. A Cannes Ugo Tognazzi viene premiato come miglior attore per La tragedia di un uomo ridicolo. In Coppa delle Coppe, che continua a registrare affermazioni di underdog più o meno prevedibili, la Roma perde subito contro il Carl Zeiss Jena, squadra della Germania dell’Est, vincendo 3-0 all’Olimpico e subendo un clamoroso 4-0 a Jena, risultato clamoroso sul quale resta l’ombra e il sospetto del doping. La Dinamo Tbilisi, invece elimina i greci del Kastoria. Nella formazione sovietica, oggi georgiana, ci sono giocatori del calibro di Chivadze, Daraselia e Kipiani, straordinario numero dieci pure della Nazionale sovietica. Negli ottavi la Dinamo elimina il Waterford Fc, poi il West Ham United, vincendo 4-1 a Londra e il Feyenoord in semifinale. La finale si gioca a Düsseldorf, in Germania, e l’avversaria è proprio quel Carl Zeiss Jena che ha fatto fuori i giallorossi; a memoria l’unica finale di una coppa europea con due squadre dell’Est. I tedeschi dopo la Roma avevano eliminato il Valencia, il Newport City e il Benfica. Insomma, entrambe avevano superato ostacoli importanti. Il 13 maggio al Rheinstadion arbitra l’italiano Lattanzi e termina 2-1 per la Dinamo, in rimonta. I tedeschi dell’Est, allenati da Hans Meyer, passano al 63’ con il terzino sinistro Hoppe (uno strepitoso gol di tacco ed esultanza con gesto dell’ombrello, probabilmente al pubblico dell’Ovest), ma dopo quattro minuti pareggia Gutsaevi e all’86’ Daraselia segna la rete del definitivo 2-1. La squadra allenata da Nodar Akhalkatsi vinceva così per la prima e unica volta la Coppa delle Coppe.

  

Ipswich Town, Coppa Uefa, 20 maggio 1981

 

 

Nello stesso anno, in Coppa Uefa, si mette in mostra una formazione che nella sua bacheca vanta solamente tre titoli: il campionato inglese del ’62, l’FA Cup del ’78 e, appunto, la Coppa Uefa dell’81, ultimo alloro conquistato dall’Ipswich Town. I biancoblu erano allenati da un giovane Bobby Robson e avevano in squadra calciatori del calibro dell’inglese Paul Mariner, degli scozzesi John Wark e Alan Brazil, degli olandesi Frans Thijssen e Arnold Mühren, insomma un piccolo gioiello di squadra che riuscì nell’impresa con una cavalcata incredibile e non sempre facile: nei trentaduesimi si sbarazza dei greci dell’Aris, poi soffre contro i cecoslovacchi del Bohemians Praga, asfalta il Widzew Lodz che aveva eliminato ai rigori la Juventus, si ripete contro i francesi del Saint-Etienne e in semifinale regola i tedeschi del Colonia. Nella doppia finale deve affrontare gli olandesi dell’AZ Alkmaar allenati dal tedesco Georg Kessler con Hovenkamp, Metgod e Kist nell’undici titolare. A Ipswich il 3 maggio non c’è partita, gli inglesi prendono d’assalto l’AZ e passano al 29’ su rigore con Wark, raddoppiano con Thijssen al 47’ e chiudono con Mariner al 55’; la Coppa Uefa ha un nuovo proprietario ma ancora non lo sa.

 

 

Il 20 maggio ad Amsterdam le cose si mettono subito bene per i ragazzi di Robson che al 3’ segnano ancora con Thijssen, Welzl e Metgod portano in vantaggio l’AZ, ma Wark (capocannoniere della manifestazione con 14 reti) pareggia. A questo punto ai biancorossi non basterebbe il 5-2 per aggiudicarsi il trofeo, ma ci provano, prima con Tol al 39’ e poi con Jonker al 73’. Finisce 4-2 e l’Ipswich Town vince la Coppa Uefa. Gli anni migliori della squadra inglese sono legati a Bobby Robson, compresi due secondi posti in campionato, e quando lasciò per la Nazionale il calo fu irrefrenabile, fino alla retrocessione dell’86.

  

Aston Villa, Coppa dei Campioni, 26 maggio 1982

 

 

Dici Aston Villa e pensi subito a Gary Shaw, Peter White, Gordon Cowans, Dennis Mortimer, Jimmy Rimmer e Nigel Spink. Pensi a Birmingham, a Jonathan Coe e al suo libro, La banda dei brocchi, e ai Duran Duran con The Wild Boys, poiché alcuni membri del gruppo erano tifosi dei Villans, con quel magnifico accostamento di colori (celeste e bordeaux) e i polsini che in Inghilterra andavano già di moda e che in Italia diventeranno famosi con Vialli. C’è tutto il sapore del calcio inglese anni Ottanta e di quei palloni bianchi e immacolati lanciati a tutta velocità nei prati verdi di stadi come il Villa Park, una vera e propria bolgia. È in questo humus, socioculturale, che Tony Barton costruisce un successo storico quanto incredibile, portando l’Aston Villa, subito dopo Nottingham Forest e Liverpool, a conquistare la Coppa dei Campioni, la coppa dalle grandi orecchie. Nei sedicesimi i Villans eliminano il Valur, mentre il Liverpool, campione in carica, si sbarazza dell’Oulun Palloseura. Negli ottavi di finale la Juventus perde contro i belgi dell’Anderlecht, perdendo per un grave infortunio anche Bettega che non prenderà parte al Mondiale spagnolo. Negli ottavi l’Aston Villa, a fatica, batte la Dinamo Berlino, poi sarà la volta della Dinamo Kiev e dell’Anderlecht per un solo gol di scarto. Il 26 maggio 1982 dall’altra parte c’è il Bayern Monaco allenato dall’ungherese Pal Csernai, squadra che negli anni Settanta ha vinto tre coppe Campioni consecutive. I tedeschi hanno incontrato gli svedesi dell’Östers, i portoghesi del Benfica, i rumeni dell’Universitatea Craiova e il CSKA Sofia. In squadra c’è mezza Nazionale, da Dremmler ad Augenthaler, da Breitner a Höness, da Kraus a Rummenigge. E dopo dieci minuti il portiere titolare dell’Aston Villa Rimmer s’infortuna dovendo lasciare al giovane Nigel Spink che, insieme con Peter Withe, diventerà l’eroe della serata. Spink para anche l’aria, non senza un pizzico di fortuna, compreso un salvataggio sulla linea da parte di un difensore, ma al 67’ Shaw passa a Morley che s’infila sulla sinistra e crossa al centro dove White tutto solo può battere Manfred Müller e segnare il gol decisivo. Sarà poi annullata per fuorigioco la rete del possibile 1-1 di Höness. Al fischio finale è tripudio Villans, una squadra che è rimasta nell’imaginario collettivo più a lungo dell’eco delle sue vittorie, tra cui quella della Coppa dei Campioni.

  

Aberdeen, Coppa delle Coppe, 11 maggio 1983

 

 

Nel 1983 il canale statunitense Cnn diventa una rete televisiva mondiale satellitare e viene scoperto uno dei virus che provoca l’Aids. Il 4 giugno la Nazionale italiana di basket vince l’Europeo nella finale di Nantes contro la Spagna (105-96), ma è anche l’anno della strage del cinema Statuto di Torino nel cui incendio muoiono 64 persone. L’Italia combatte la mafia, che uccide magistrati e forze dell’ordine, processa i terroristi e si dimena nello scandalo P2. Nel 1983 le coppe europee sono vinte tutte da squadre che non ti aspetti: l’Amburgo batte la Juventus in Coppa dei Campioni e l’Anderlecht il Benfica in Coppa Uefa. In Coppa delle Coppe la finale è tra gli scozzesi dell’Aberdeen e il Real Madrid, con un pronostico scontato o quasi. I biancorossi eliminano la Dinamo Tirana, il Lech Poznan, il Bayern Monaco e il Waterschei Thor. Le Merengues, invece, avevano fatto fuori il Baia Mare, l’Ujpest Dozsa, l’Inter (epiche in quegli anni le sfide tra nerazzurri e madridisti) e l’Austria Vienna. Il Real era allenato da Alfredo Di Stefano e aveva in squadra l’olandese Metgod e il tedesco Stielike, efficace in mezzo al campo quanto cattivo, ma era pure la squadra di Camacho, Gallego e del duo d’attacco Juanito e Santillana, una sentenza. Gli scozzesi erano allenati da un giovane Alex Ferguson che guidava una squadra completamente autoctona, capace di schierare Leighton in porta, Strachan sulla fascia destra e McLeish in mezzo alla difesa. L’11 maggio si gioca allo stadio Ullevi di Göteborg e arbitra l’italiano Menegalli. L’Aberdeen è in forma splendida e contiene un Real contratto passando in vantaggio al 7’ con Black, ma dopo otto minuti gli spagnoli pareggiano su rigore siglato da Juanito. Sotto la pioggia e su un campo pesante, col passare dei minuti gli scozzesi prendono sempre più fiducia mentre il Real perde mordente. Ai supplementari, sull’ennesima ripartenza scozzese, cross dentro l’area ed Hewitt di testa segna il definitivo 2-1, proprio colui che all’87’ aveva preso il posto di Black; i giornali titoleranno «Black and Hewitt», parafrasando una famosa marca di whiskey. L’Aberdeen vinceva la sua prima e unica coppa europea, mentre il Real perdeva la seconda finale dopo quella dei Campioni contro il Liverpool di due anni prima.

  

Everton, Coppa delle Coppe, 15 maggio 1985

  

 

Nel 1985 in Olanda viene messo in commercio il primo Cd-Rom, in Norvegia viene costruita una centrale elettrica che sfrutta l’energia del moto ondoso e in Giappone viene lanciata sul mercato la prima videocamera amatoriale. Il 19 luglio, invece, a Stava in Val di Fiemme, l’argine di un bacino per il lavaggio della fluorite cede improvvisamente e una valanga di acqua e detriti si abbatte sul paese di Tesero provocando la morte di 268 persone. E ancora la Coppa delle Coppe ci regala una nuova regina, questa volta si tratta di una squadra inglese: l’Everton. I Toffees sono allenati da Howard Kendall e sono un mix di inglesi, irlandesi, scozzesi e gallesi. E quelli saranno i loro anni migliori con due campionati inglesi, ’85 e ’87, l’FA Cup dell’84, la Charity Shield dall’84 all’87 e, ovviamente, la Coppa delle Coppe. Nei sedicesimi eliminano a fatica l’University College Dublino, poi l’Inter Bratislava, il Fortuna Sittard e il Bayern Monaco con un perentorio 3-1 al Goodison Park dopo lo 0-0 in Germania. Di fronte c’è il Rapid Vienna allenato dal croato Otto Baric. Nell’undici titolare calciatori come Michael Konsel, che è stato anche portiere della Roma, Hans Krankl, il capitano, Peter Pacult e il cecoslovacco Antonin Panenka, l’inventore del cucchiaio su calcio di rigore, che regalò l’Europeo del ’76 alla Cecoslovacchia. Gli austriaci erano arrivati in finale battendo il Besiktas, il Celtic, la Dinamo Dresda e la Dinamo Mosca. Il 15 maggio 1985 al Feyenoord Stadion di Rotterdam arbitra l’italiano Casarin e nonostante il primo tempo finisca 0-0 non c’è partita. Il gioco dell’Everton è brillante ed efficace, arrivando spesso a tirare nello specchio della porta; i ragazzi di Kendall giocano a memoria, mentre il Rapid Vienna fatica a uscire dalla propria area di rigore. Al 55’ Gray segna l’1-0 dopo una bellissima percussione, al 72’ su calcio d’angolo raddoppia Steven, all’83’ su una ripartenza dei biancoverdi Krankl accorcia le distanze, ma due minuti dopo su rilancio di Southall la palla arriva a Sheedy che segna il bellissimo e definitivo 3-1. Con l’alloro europeo si chiudeva la meravigliosa cornice di quella generazione di calciatori che poi scontò la squalifica delle squadre inglesi in seguito alla strage dell’Heysel.

  

Steaua Bucarest, Coppa dei Campioni, 7 maggio 1986

  

  

Nel 1986 l’Argentina di Diego Maradona vince il titolo mondiale battendo in finale la Germania Ovest 3-2, il 6 settembre Moreno Argentin vince a Colorado Springs il titolo Mondiale su strada di ciclismo, il 5 dicembre in tutta Italia si svolgono manifestazioni studentesche contro il ministro dell’Istruzione Franca Falcucci. Le coppe ripartono dopo l’Heysel ma il calcio europeo non sarà più lo stesso. Nella manifestazione regina non c’è l’Everton che deve scontare la squalifica delle squadre inglesi, ma questo non toglie niente alla Coppa dei Campioni che continua il suo percorso e che registra, per la prima volta nella sua storia, la vittoria di una squadra dell’Europa dell’Est. La Steaua Bucarest, che rappresentava l’ossatura della Nazionale rumena, quella che ci aveva eliminato nelle qualificazioni a Euro ’84, con i vari Belodedici (di origine serba rivincerà la coppa con la Stella Rossa e con una «i» in meno nel 1991), Lacatus, Balint, Boloni, Iordanescu e il portiere Duckadam. È un calcio sparagnino quello dei rumeni, fatto di resistenza, forza fisica e grande attenzione difensiva, con improvvise accelerazioni che mandavano in tilt gli avversari e grandi capacità balistiche dalla distanza. Nel primo turno eliminano i danesi del Vejle, poi gli ungheresi della Honved, quindi i finlandesi del Kuusysi Lahti, infine l’Anderlecht, l’unica squadra veramente forte di tutto il lotto. La finale si gioca in Spagna, al Ramon Sanchez Pizjuan di Siviglia, e di fronte c’è il Barcellona allenato dall’inglese Terry Venables che aveva eliminato la Juventus nei quarti di finale e negli altri turni aveva battuto: Sparta Praga, con grande fatica, Porto, altrettanta, e l’IFK Göteborg ai calci di rigore, non proprio un percorso netto. Il 7 maggio 1986 Emerich Jenei, allenatore della Steaua Bucarest, mette in atto il suo proposito tattico. I blaugrana, nonostante calciatori del calibro di Julio Alberto, Archibald e Carrasco, non riescono ad accendere la partita che terminerà 0-0, anche dopo i tempi supplementari: è uno strazio, una delle finali più brutte della storia della Coppa dei Campioni, con pochissime emozioni. I rumeni hanno raggiunto il proprio obiettivo, non far giocare il Barça e portarlo ai calci di rigore, mettendo tutto nelle mani di Helmuth Duckadam (che poi finirà in disgrazia sotto il regime dittatoriale di Ceausescu). Inizia la Steaua e Urruticoechea para il tiro di Majearu, poi è la volta di Duckadam che para quello di Alexanko, Boloni si fa parare un bruttissimo penalty, mentre il suo compagno di squadra compie un altro miracolo su Pedraza. Quattro rigori e siamo ancora sullo 0-0, ma poi Lacatus segna e Duckadam para ancora, questa volta sul pessimo tiro di Pichi Alonso, Balint sigla il 2-0 e anche Marcos Alonso Pena si fa ipnotizzare dal portiere rumeno, vero e unico eroe della serata, parando quattro rigori su quattro. La Steaua Bucarest saliva sul tetto d’Europa e per la prima volta una squadra dell’Europa dell’Est vinceva la Coppa dei Campioni.

 

Malines, Coppa delle Coppe, 11 maggio 1988

 

 

Nel 1988 negli Stati Uniti vengono messi a punto i primi sistemi antivirus per i dati registrati su sistemi informatici. Nel cortile del Louvre, a Parigi, inizia la costruzione della piramide dell’architetto cinostatunitense Pei. Johan Deisenhofer, Robert Huber e Hartmut Michel vincono il Nobel per la chimica per i loro studi sulla fotosintesi. Il 4 agosto in Italia muore all’età di 53 anni Marisa Bellisario, ad dell’Italtel e simbolo della presenza femminile nel mondo della grande industria. Ed è ancora la Coppa delle Coppe e regalarci l’ultima regina di questo decennio, una squadra belga, il classico underdog, che purtroppo fermò sulla strada una strepitosa Atalanta, simile e al tempo stesso distante anni luce a quella di questa stagione in Champions. Il Malines era allenato dall’olandese Aad de Mos e la squadra era un mix tra belgi e giocatori dei Paesi Bassi con un maverick israeliano che vestiva la maglia numero 10: Eli Ohana. Nelle file dei giallorossi militavano pure Erwin Koeman, Marc Emmers, Leo Clijsters e il portiere Michel Preud’homme, uno dei migliori interpreti europei del ruolo in quegli anni. I ragazzi di de Mos fanno fuori la Dinamo Bucarest, il St Mirren, la Dinamo Minsk e, in semifinale, l’Atalanta allenata da Emiliano Mondonico. I bergamaschi avevano eliminato il Merthyr Tydfil (Galles), l’Ofi Creta (Grecia) e lo Sporting Lisbona (Portogallo), ma contro i belgi persero entrambi i match per 2-1. L’11 maggio 1988 allo stadio de la Meinau di Strasburgo l’avversario del Malines è l’Ajax di Barry Hulshoff. I biancorossi a completa trazione olandese, a parte lo svedese Peter Larsson in difesa, hanno giocatori del calibro di Danny Blind, Jan Wouters, Aron Winter, Arnlod Mühren, Johan van ’t Schip, Robert Witschge e un giovane Dennis Bergkamp. La squadra di de Mos, però, sa il fatto suo e non ci sta a fare la parte della vittima sacrificale contro una formazione che porta con sé il nome oltre che il talento e la forza di un settore giovanile che continua a produrre campioni. Ohana è imprendibile e la difesa olandese soffre, soffre così tanto che al 16’ Blind commette un fallaccio a gamba tesa su un contropiede velenoso del Malines, punizione e cartellino rosso, l’Ajax resta così in dieci per quasi tutta la partita. A quel punto non è più questione di cosa ma di quando, di quando i belgi segneranno e accade al 53’, solita azione ubriacante di Ohana sulla sinistra cross a mezz’altezza e den Boer (olandese) inzucca trafiggendo Menzo. L’Ajax prova a reagire, il Malines tiene, riparte in contropiede, e alla fine sarà 1-0, con i belgi che portano a casa la loro unica coppa europea. Battendo i campioni in carica, dato che i biancorossi avevano vinto la Coppa delle Coppe l’anno prima nella finale di Atene contro il Lokomotiv Lipsia, grazie alla rete di Marco Van Basten, ma questa è un’altra storia.

 

Bayer Leverkusen, Coppa Uefa, 18 maggio 1988

 

 

La Coppa Uefa del 1988 è una di quelle che non puoi dimenticare per un finale inatteso e incredibile allo stesso tempo, per un rovesciamento del risultato che nessuno poteva immaginare. Inter, Verona, Milan e Juventus le squadre italiane in gara. Il Milan di Sacchi, appena arrivato sulla panchina rossonera, si ferma ai sedicesimi contro l’Espanyol e la Juventus fa lo stesso contro il Panathinaikos. L’Inter esce negli ottavi sempre contro la squadra di Javier Clemente, mentre il Verona deve abbandonare nei quarti lasciando strada al Werder Brema. In finale arriveranno il Bayer Leverkusen di Erich Ribbeck e l’Espanyol, la seconda squadra di Barcellona, guidata da Javier Clemente, appunto. I tedeschi nel loro cammino si sono sbarazzati di Austria Vienna, Tolosa, Feyenoord, Barcellona (e qualcosa doveva pur dire) e Werder Brema nella semifinale tutta tedesca. L’Espanyol, oltre le due squadre di Milano, aveva eliminato il Borussia M’Gladbach, il Viktovice e il Bruges. L’andata si gioca al Sarria di Barcellona, stadio che per noi italiani evoca ricordi meravigliosi, il 4 maggio ed è un assolo spagnolo grazie ai gol di Losada, doppietta, e Soler che mettono in ginocchio i tedeschi nel giro di quattordici minuti, tra la fine del primo tempo e l’inizio del secondo. L’Espanyol ha giocatori del calibro di N’Kono, storico portiere del Camerun, Urquiaga, Valverde e Pichi Alonso. Il Bayer Leverkusen, risponde con Rolff, il sudcoreano Cha Bum-Kun, il brasiliano Tita ed Herbert Waas. Il 3-0 di Barcellona sembra chiudere i giochi, per molti, per quasi tutti, è impossibile che i tedeschi riescano a rimontare tre reti con quello che si è visto in Spagna, ma nel calcio per fortuna le partite si giocano in campo e non si chiacchierano prima.

 

 

Il 18 maggio si gioca all’Urlich-Haberland Stadion di Leverkusen e il primo tempo termina sullo 0-0, con Clemente che ha rinunciato al 3-4-3 di due settimane prima per un più sicuro 4-4-2, mentre è Ribbeck stavolta che opta per il 4-3-3. Clamorosa la rete annullata al brasiliano Tita: N’Kono sta per rinviare, il numero dieci di testa gli ruba la palla e segna l’1-0, come l’interista Peirò contro il Liverpool nel 1965, gol giudicato irregolare. Ma nella ripresa è ancora Tita a sfruttare un errore clamoroso della difesa spagnola per l’1-0, è il 56’ ed è il momento in cui il match cambia faccia. Al 63’ è un meraviglioso colpo di testa di Götz a portare il risultato sul 2-0, l’Espanyol sta evaporando di fronte al gioco semplice ma efficace del Bayer Leverkusen. La terza rete arriva all’81’ quando Cha Bum-Kun prima conquista una punizione e poi di testa mette dentro il cross dalla destra. Ai rigori Pichi Alonso non sbaglia, mentre Falkenmayer sì (parato da N’Kono), poi Job segna, così Rolff. A questo punto viene fuori tutta la fragilità psicologica della squadra di Clemente: Urquiaga sulla traversa, Zuniga tira centrale e addosso a Vollborn, che si era dimenato sulle gambe come Grobbelaar, infine Losada tira malamente fuori. Al contrario Rolff, Waas e Täuber non avevano sbagliato, il Bayer Leverkusen vince la Coppa Uefa mentre Javier Clemente è ricordato ancora oggi per essersi fatto rimontare tre gol in una finale.

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