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il foglio sportivo – that win the best

Il passaporto di Ronaldinho e le botte di Dier

Jack O'Malley

Iniziano i primi post degli sportivi sul Covid-19, e onestamente non ne sentivamo il bisogno

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Adesso che avremo sempre meno da commentare – via i tifosi, via i giornalisti, via le interviste post partita… quanto ci vorrà per trovare un giocatore o due positivi al virus e fermare tutto il circo? – e non potremo nemmeno buttarci sugli altri sport come durante le pause di campionato, quando diventiamo improvvisamente esperti di Formula 1, moto, biathlon, rugby e qualunque altro sport meglio se femminile, tocca centellinare il piacere che il poco calcio rimasto ci offre. Ancora stupito per la scelta del Barcellona di non schierare Messi nel Clásico contro il Real Madrid lo scorso weekend (ah dite che giocava? Scusate ma io, come i suoi compagni di squadra, non me ne sono accorto), alzo il bicchiere e brindo a Ronaldinho: l’ex attaccante brasiliano di Barcellona e Milan è stato arrestato in Paraguay mentre si trovava al Resort Yacht & Golf Club Paraguayo di Asunción con il fratello. Accolto all’aeroporto poche ore prima tra ali di folla festante, Dinho doveva presentare un programma di assistenza sanitaria gratuita per bambini. L’accusa è quella di viaggiare con passaporto falso, documento che gli è stato tolto un paio d’anni fa per colpa di un reato ambientale di cui l’ex attaccante del Brasile è accusato. Manco fosse un giornalista di costume che cerca di farsi passare per esperto di virologia, Ronaldinno ha pensato che fosse facile per uno dei personaggi più famosi al mondo potere andarsene in giro con un documento falso e non essere beccato. Così come quel tifoso del Tottenham pensava di potere insultare Dier e la sua famiglia senza conseguenze dopo la sconfitta degli Spurs in coppa contro il Norwich. Dier non è Bernardeschi, però, e così invece di fare un post su Instagram per denunziare l’imbarbarimento dei tifosi e chiedere provvedimenti e hashtag di solidarietà, ha fatto che scavalcare i cartelloni pubblicitari, salire in tribuna e menare il tifoso. Forse non potrei dirlo, ma così si fa. O almeno così si poteva fare prima che i governi stabilissero la distanza di sicurezza tra persone per evitare contagi.

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Adesso che avremo sempre meno da commentare – via i tifosi, via i giornalisti, via le interviste post partita… quanto ci vorrà per trovare un giocatore o due positivi al virus e fermare tutto il circo? – e non potremo nemmeno buttarci sugli altri sport come durante le pause di campionato, quando diventiamo improvvisamente esperti di Formula 1, moto, biathlon, rugby e qualunque altro sport meglio se femminile, tocca centellinare il piacere che il poco calcio rimasto ci offre. Ancora stupito per la scelta del Barcellona di non schierare Messi nel Clásico contro il Real Madrid lo scorso weekend (ah dite che giocava? Scusate ma io, come i suoi compagni di squadra, non me ne sono accorto), alzo il bicchiere e brindo a Ronaldinho: l’ex attaccante brasiliano di Barcellona e Milan è stato arrestato in Paraguay mentre si trovava al Resort Yacht & Golf Club Paraguayo di Asunción con il fratello. Accolto all’aeroporto poche ore prima tra ali di folla festante, Dinho doveva presentare un programma di assistenza sanitaria gratuita per bambini. L’accusa è quella di viaggiare con passaporto falso, documento che gli è stato tolto un paio d’anni fa per colpa di un reato ambientale di cui l’ex attaccante del Brasile è accusato. Manco fosse un giornalista di costume che cerca di farsi passare per esperto di virologia, Ronaldinno ha pensato che fosse facile per uno dei personaggi più famosi al mondo potere andarsene in giro con un documento falso e non essere beccato. Così come quel tifoso del Tottenham pensava di potere insultare Dier e la sua famiglia senza conseguenze dopo la sconfitta degli Spurs in coppa contro il Norwich. Dier non è Bernardeschi, però, e così invece di fare un post su Instagram per denunziare l’imbarbarimento dei tifosi e chiedere provvedimenti e hashtag di solidarietà, ha fatto che scavalcare i cartelloni pubblicitari, salire in tribuna e menare il tifoso. Forse non potrei dirlo, ma così si fa. O almeno così si poteva fare prima che i governi stabilissero la distanza di sicurezza tra persone per evitare contagi.

 

Tra gli effetti – assolutamente sopportabili, per carità – del contagio da coronavirus c’è quello degli sportivi che devono dire la loro. Sempre sia lodato Jürgen Klopp, che a una domanda sul Covid-19 l’altro giorno ha risposto che non è a lui che devono fare queste domande, lui allena il Liverpool, la barba fatta male e un cappellino in testa, non fa il virologo. Bene, bravo, bis. Applausi da tutti quelli che poi il giorno dopo rilanciavano il post del già citato Bernardeschi che su Instagram diceva che “odio, razzismo e discriminazione sono più letali del coronavirus”. Ma certo. Poi ci sono gli appelli sovranisti del rugbista Lo Cicero a fare da controcanto con il suo appello a disdire le vacanze all’estero, a riempire gli alberghi italiani (coronaparty per tutti?), mangiare il pecorino sardo, il pesce azzurro e bere il vino (questo aiuta, sì). “Basta post disfattisti”, scrive Lo Cicero. Basta post, dico io. Ci ridurremo a guardare il tennis, uno dei pochi sport in cui la distanza di un metro e mezzo è garantita, e partite in cui l’attaccante inizierà a tossire per farsi spazio tra gli avversari. Aspetteremo pazienti che si ricominci a giocare, come abbiamo atteso il grande amore, torneremo a esultare e bere birra al pub, cantare insieme e dire che il campionato è falsato, tranquilli.

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