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Il virus del calcio

Fulvio Paglialunga

Tutti contro tutti in serie A: più che a fronteggiare l’emergenza, si pensa a come trarne vantaggio

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Roma. Hanno detto che far giocare Juventus-Inter a porte chiuse sarebbe stato un pessimo spot per il calcio italiano. Poi si sono messi a litigare furiosamente, ed è un pessimo spot per il calcio italiano. A pensarci bene è inutile nascondersi dietro all’emergenza di questi giorni: il pallone, in Italia, è infetto da prima che arrivasse il coronavirus, è stato da tempo contagiato da una gigantesca somma di interessi personali e sembra non potersene liberare mai. Guardiamo a quello che sta succedendo in questi giorni, al disordine umorale, organizzativo ed etico per le partite da rinviare, da giocare a porte aperte, a porte chiuse, con i settori divisi in base al luogo di residenza e le trasferte che dipendono dalla mappa dell’Italia disegnata dal governo, quella delle tre macroregioni, zona rossa, zona gialla e poi il resto. Ecco, non c’è niente che riguardi l’interesse pubblico, che abbia una minima aderenza con le esigenze di un paese alle prese con una difficilissima strategia di contenimento. Nella Lega di serie A, invece, si coltivano egoismi e, visto che ci siamo, anche piccole manovre politiche perché tra un po’ bisogna parlare dei soldi dei diritti tv e quindi vanno formate le alleanze. Il punto principale è che in Italia non esiste un sistema-calcio, un modo unico o per lo meno maggioritario di organizzarsi.

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Roma. Hanno detto che far giocare Juventus-Inter a porte chiuse sarebbe stato un pessimo spot per il calcio italiano. Poi si sono messi a litigare furiosamente, ed è un pessimo spot per il calcio italiano. A pensarci bene è inutile nascondersi dietro all’emergenza di questi giorni: il pallone, in Italia, è infetto da prima che arrivasse il coronavirus, è stato da tempo contagiato da una gigantesca somma di interessi personali e sembra non potersene liberare mai. Guardiamo a quello che sta succedendo in questi giorni, al disordine umorale, organizzativo ed etico per le partite da rinviare, da giocare a porte aperte, a porte chiuse, con i settori divisi in base al luogo di residenza e le trasferte che dipendono dalla mappa dell’Italia disegnata dal governo, quella delle tre macroregioni, zona rossa, zona gialla e poi il resto. Ecco, non c’è niente che riguardi l’interesse pubblico, che abbia una minima aderenza con le esigenze di un paese alle prese con una difficilissima strategia di contenimento. Nella Lega di serie A, invece, si coltivano egoismi e, visto che ci siamo, anche piccole manovre politiche perché tra un po’ bisogna parlare dei soldi dei diritti tv e quindi vanno formate le alleanze. Il punto principale è che in Italia non esiste un sistema-calcio, un modo unico o per lo meno maggioritario di organizzarsi.

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Ad esempio, a guidare la Lega c’è un presidente che si chiama Paolo Dal Pino e che fino a poco tempo fa molti non conoscevano, che è stato eletto con 12 voti su 20, e quindi si regge su equilibri precari perché con questo stato di cose proliferano gli interessi dei singoli, quando ciascun voto vale. E’ stato eletto da poco più di due mesi con Claudio Lotito come principale sponsor e già in molti vorrebbero defenestrarlo. Facile, basta trovare due voti. E c’è un amministratore delegato che si chiama Luigi De Siervo, che alcune società golose dei soldi promessi da Mediapro per i diritti tv stanno cercando di estromettere dalla linea di comando cercando un cavillo legale, lo stesso che ha costretto Gaetano Miccichè a lasciare la presidenza della Lega, spianando la strada, appunto, a Dal Pino. Ma cosa c’è al centro delle polemiche? Le contromisure del governo nel decreto del 1° marzo? No. Si litiga non su come agire nel modo migliore per quella che è un’esigenza nazionale, ma su come avvantaggiarsene.

 

Così l’Inter voleva giocare a porte chiuse contro la Juve, perché è meglio non avere lo Stadium pieno, la Juve tutto sommato preferiva il rinvio perché non è proprio il momento migliore per una gara che può decidere una stagione, la Lazio guardava da lontano le due litiganti scornarsi e intanto giocava regolarmente, portandosi avanti in classifica e acquisendo un vantaggio psicologico che può aumentare a ogni partita rinviata (e la Lazio ha il calendario sgombro da altri impegni, Juve e Inter lo hanno pieno). Ma Lotito, dicono, preferiva la disputa di Juve-Inter a porte chiuse, proprio per le difficoltà dei bianconeri e i vantaggi che in classifica poteva trarne, mentre il Napoli non voleva il rinvio perché domani c’è la semifinale di Coppa Italia con l’Inter e, così, i nerazzurri arrivano più riposati alla sfida. Il calcio italiano non fa mai squadra (nei giorni scorsi la Lazio si è opposta all’anticipo con l’Atalanta, che avrebbe avuto bisogno di un giorno in più per giocare la Champions) e si divide su ogni cosa.

 

Adesso, poi, alzare la voce e farsi vittima fa acquisire un credito che nella prossima battaglia per i soldi delle tv tornerà utile. Anche qui ognuno andrà in ordine sparso. Ognuna delle venti società, ovviamente. Perché un altro dei problemi è questo: un campionato a 20 squadre è insostenibile, ingolfa il calendario (e infatti ora è ingolfato), ma nessuno rinuncia, perché più squadre ci sono, più si possono raccattare voti in assemblea. Il resto, tutto il resto, viene dopo: anche la Nazionale, visto che non si è voluto anticipare l’inizio della serie A (chiesto da Mancini per dare più giorni agli Azzurri per l’Europeo) e adesso non ci sono date disponibili. Poi, fra qualche mese, si tornerà a parlare di modello inglese da imitare, per l’organizzazione e per le tv. Ma intanto la Premier League, alle prese ancora con un basso numero di contagi come quello dell’Inghilterra, ha già pronte le contromisure per continuare in caso di emergenza. Da noi si decideranno, forse, domani nell’ennesima assemblea di Lega. Ah, si terrà in via eccezionale a Roma. Perché Milano è zona gialla.

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