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Napoli e il Napoli avevano bisogno di uno come Gattuso

Leo Lombardi

Battere la Juventus ha il potere di salvare le annate di qualunque squadra. Ora al tecnico il compito di far capire che c'è vita, oltre ai 180 minuti contro i bianconeri

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Lo avevano addirittura accusato di parricidio. Logico, quando prendi il posto di uno che ti ha allenato per otto stagioni. Ancora più logico quando ci si ricorda che cosa rappresentasse Rino Gattuso per Carlo Ancelotti al Milan: il braccio armato sul campo, il collante umano nello spogliatoio. Ma è una logica che fa difetto, se si ignora la storia personale tra i due, fondata su qualcosa di più profondo che fosse la profonda e reciproca stima. Ancelotti è stato realmente un padre per Gattuso, come Gattuso è stato un figlio per Ancelotti. Se si sono registrate incomprensioni al momento del cambio in panchina, queste fanno parte del gioco del calcio, non di quello della vita. E parlare di parricidio per l'ex centrocampista rossonero appare veramente fuori luogo, conoscendone sincerità e onestà. Tanto per intenderci: lui non è un Robert Moreno e con lui non si sarebbe mai assistito a una commedia dell'imbarazzo come quella messa in scena nella Nazionale spagnola al ritorno di Luis Enrique.

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Lo avevano addirittura accusato di parricidio. Logico, quando prendi il posto di uno che ti ha allenato per otto stagioni. Ancora più logico quando ci si ricorda che cosa rappresentasse Rino Gattuso per Carlo Ancelotti al Milan: il braccio armato sul campo, il collante umano nello spogliatoio. Ma è una logica che fa difetto, se si ignora la storia personale tra i due, fondata su qualcosa di più profondo che fosse la profonda e reciproca stima. Ancelotti è stato realmente un padre per Gattuso, come Gattuso è stato un figlio per Ancelotti. Se si sono registrate incomprensioni al momento del cambio in panchina, queste fanno parte del gioco del calcio, non di quello della vita. E parlare di parricidio per l'ex centrocampista rossonero appare veramente fuori luogo, conoscendone sincerità e onestà. Tanto per intenderci: lui non è un Robert Moreno e con lui non si sarebbe mai assistito a una commedia dell'imbarazzo come quella messa in scena nella Nazionale spagnola al ritorno di Luis Enrique.

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Anzi, il rapporto e il paragone tra i due avrebbe potuto essere la pietra di inciampo per il tecnico, quando ha preso in mano il Napoli dal suo vecchio allenatore a metà dicembre. Tanto aveva vinto Ancelotti, nulla aveva vinto Gattuso, che tutto aveva da perdere nel subentrare in corsa. Si è ritrovato tra le mani una classifica deficitaria come mai nelle ultime stagioni e una squadra dilaniata in fazioni, ulteriormente terremotata dal conflitto legale con la società per la denuncia scattata dopo il rifiuto di andare in ritiro a inizio novembre. Un panorama al cui confronto la Libia attuale poteva apparire una passeggiata salutare, una situazione in cui soltanto uno come Gattuso avrebbe avuto il coraggio e la forza di mettersi in gioco. Napoli e il Napoli avevano bisogno di uno così: diretto, sincero, sarcastico, sanguigno. Qualcuno che superasse la difficoltà di Ancelotti di calarsi in una realtà così lontana dalla propria storia e di dare una identità alla squadra. Gattuso ha lavorato sulla testa dei giocatori come faceva con i compagni a Milanello. È partito da un simbolo quale Lorenzo Insigne, in perenne sofferenza nella gestione precedente, poi giù a cascata, con il resto dello spogliatoio. Quindi è tornato sulle strade tattiche note a un gruppo che sta insieme da anni. Niente 4-4-2 ancelottiano e riproposizione del 4-3-3 che aveva condotto la squadra a sfiorare lo scudetto.

 

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Il caso (o il destino) ha voluto che la svolta arrivasse proprio contro chi aveva dato tali fondamenta al Napoli. Gattuso, dal suo avvento, in campionato non aveva ancora vinto una partita in casa: tre uscite e altrettante sconfitte, contro Inter e avversarie poco eclatanti come Parma e Fiorentina. Il primo successo si è materializzato domenica sera, nella maniera più inaspettata, contro la Juventus e contro Maurizio Sarri, comandante rinnegato della tifoseria napoletana. Nulla di eclatante, ma un 2-1 fatto di ordine e sacrificio, come piace al tecnico. Una vittoria firmata da due degli allievi prediletti dell'ex allenatore azzurro, come Piotr Zielinski e il già citato Insigne, e che ha posto Gattuso un passo avanti rispetto a chi l'ha preceduto. Ancelotti, contro i bianconeri, aveva infatti raccolto soltanto tre sconfitte: due contro Massimiliano Allegri la passata stagione e una contro Sarri all'andata. Battere la Juventus ha il potere di salvare le annate di qualunque squadra, a Napoli soprattutto. Già soltanto per questo Gattuso si è guadagnato la stima di una città intera. Ora ha il compito di far capire che c'è vita, oltre ai 180 minuti contro i bianconeri. E può riuscirci solo uno come lui, chiaro e sferzante quando occorre far capire come stiano realmente le cose.

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