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Servirebbe uno Stern in Italia

Fabio Tavelli

Un manager vero, avvocato di formazione e profondo conoscitore del mercato. Chi era il Commissioner che ha fatto grande l'Nba

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Quanto bene potrebbe fare allo sport italiano uno con la visione di David Stern? Tanto, forse tantissimo. Non solo al calcio. Già, ma chi è stato e cosa ha fatto di tanto mirabile questo signore newyorkese che ci ha lasciati giovedì scorso? Ecco, la prima cosa: nato e morto a New York. Quanti titoli hanno vinto i Knicks dal 1984 al 2014 (il suo periodo da Commissioner della NBA)? Zero. Zero tituli. Eppure lui li andava a vedere al Madison Square Garden da tifoso. Questo tanto per sgombrare il campo dalle facili allusioni visto che a latitudini a noi più vicine si sarebbe innanzitutto eccepito questo.

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Quanto bene potrebbe fare allo sport italiano uno con la visione di David Stern? Tanto, forse tantissimo. Non solo al calcio. Già, ma chi è stato e cosa ha fatto di tanto mirabile questo signore newyorkese che ci ha lasciati giovedì scorso? Ecco, la prima cosa: nato e morto a New York. Quanti titoli hanno vinto i Knicks dal 1984 al 2014 (il suo periodo da Commissioner della NBA)? Zero. Zero tituli. Eppure lui li andava a vedere al Madison Square Garden da tifoso. Questo tanto per sgombrare il campo dalle facili allusioni visto che a latitudini a noi più vicine si sarebbe innanzitutto eccepito questo.

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La prima qualità per uno che faceva il lavoro di Stern, oltre quelle più ovvie tipo la competenza e la capacità di generare profitti per i suoi “azionisti”, era quella di stare al di sopra delle parti. Primo interesse: la NBA. Ogni atto, ogni decisione, ogni singolo provvedimento era pensato e previsto per dare vantaggio alla Lega. Se questo avesse poi dato più o meno giovamento anche alle squadre che ne facevano parte, tanto meglio. Ma prima di tutto c’era la NBA. E non era per niente facile tenere a freno le aspirazioni e l’ingordigia di ogni singolo proprietario, desideroso come ovunque di far valere i propri legittimi interessi e, possibilmente, fregare quelli di tutti gli altri. Niente da fare, con Stern non si passava. Se ne discuteva, poi decideva lui.

 

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Se a qualche dirigente sportivo italiano stanno fischiando le orecchie, non se ne preoccupi perché è normale. Quel che, faticosamente e in tempi biblici, stanno facendo e faranno i signori del vapore del calcio europeo, David Stern lo aveva già “visto” e messo in pratica quando era ancora in piedi il Muro di Berlino. Aveva visione senza essere visionario, capacità di interpretare il futuro e anticiparlo. La NBA era una Lega in crisi, devastata da problemi sociali come la diffusione delle droghe tra i giocatori. Trascurata dai grandi network televisivi (la serie finale non andavano nemmeno in diretta). Stern l’ha rimessa in piedi, l’ha ripulita e resa presentabile al mondo. Ha avuto Jordan, certo. Ma Magic e Bird erano già arrivati, Kareem c’era già. Comprese che gli americani dovevano andare alle Olimpiadi (Barcellona ’92) con la squadra più forte di sempre, il “Dream Team”, non solo per riprendersi la medaglia d’oro ma soprattutto per presentare al mondo l’argenteria di casa. Capì prima di ogni altro che allargare la base tecnica a giocatori non Usa sarebbe stato un arricchimento, andò in Cina nel 1989 (!) ma la tv di stato (CCTV) nemmeno lo ricevette. Il giorno dopo però mentre visitava le piramidi di Xi’an la sua guida cinese gli rivelò di essere un tifoso dei Bulls e di vedere le loro gesta su VHS pirata. Due anni dopo CCTV trasmise il primo titolo conquistato da Michael Jordan…

 

“Ossessivo” era il termine con il quale veniva descritto. Al punto da imporre un dress code per giocatori e allenatori. Un manager vero, avvocato di formazione e profondo conoscitore del mercato. Uno che guadagnava tantissimo, soprattutto perché faceva guadagnare i suoi datori di lavoro. Non tutto sarà stato facile e non tutto sarà stato perfetto. Ma ce ne fosse ancora in giro di gente come David Stern.

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