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Il mare di Trieste coperto di vele: non si può non amare la Barcolana

Umberto Zapelloni

Nel golfo triestino c’è la cinquantunesima edizione della regata più grande del mondo. Dal maxi yacht al monoscafo di 5 metri, l’importante è esserci: “Oggi è una festa del mare”

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La Barcolana non è solo la regata più grande del mondo, come certificato dal Guinness World Record. È uno degli avvenimenti sportivi da vivere prima di morire. Ti riempie gli occhi e il cuore, oltre che le mani e i muscoli se sei impegnato a cazzare o lascare le vele. L’anno scorso, per l’edizione del cinquantenario, le barche iscritte erano state 2.689. Perché la Barcolana non è solo la regata più grande del mondo, è anche la più democratica: possono partecipare tutti, dai professionisti con maxi yacht da sogno al velista della domenica con il suo monoscafo di cinque, sei metri. Tutti insieme a colorare di bianco con le loro vele il mare blu di Trieste. Il colpo d’occhio, prima del colpo di cannone che sancisce il via, è spettacolare. Le immagini riprese dal cielo fanno il giro del mondo, in nessun altro posto, neppure alla mitica Sydney Hobart ci sono così tante vele in acqua. La fotografia scattata un anno fa da Massimo Sestini, quando sul Golfo arrivarono anche le Frecce Tricolori, ha fatto epoca.

 

La Barcolana fa quest’effetto: lascia a bocca aperta. È riuscita a sorprendere anche un mito della vela come Sir Ben Ainslie: quattro ori e un argento olimpici, la Coppa America conquistata in rimonta con Oracle, il tentativo (per ora) fallito di riportare la coppa in Inghilterra, bastano a spiegare chi è. Tre anni fa il baronetto di sua Maestà si alzò alle quattro di mattina per volare a Trieste e salire a bordo di Ancilla Domini, il 25 metri di Andrea Illy, timonato da un altro mito della vela come Mauro Pelaschier, l’uomo di Azzurra e di cento altre sfide che oggi vince ancora sulle barche storiche, le eleganti signore dei mari. Quel giorno a bordo c’ero anch’io a fare da zavorra e posso testimoniare lo sguardo curioso e felice di Big Ben mentre stava per scattare la regata. “It’s amazing. È incredibile tanta passione per la vela. Tanta gente in mare è qualcosa di fantastico. Ero già stato a regatare a Trieste 14 anni fa, ma mai alla Barcolana, una gara che è famosa in tutto il mondo. Tanta passione la proviamo anche noi in Inghilterra, dove abbiamo qualcosa di simile, ma non mi era mai capitato di trovarmi su una linea di partenza con 1.700 barche attorno”, mi disse, stupito anche a lui da tutto quello che succedeva attorno. Salire in barca con Sir Ben Ainslie (invitato da Land Rover che era ed è gold sponsor della Barcolana) è stato un po’ come palleggiare con Messi o regalare un assist a LeBron James. Big Ben è la vela fatta uomo. Ma è stato ancora più sorprendente vedere brillare i suoi occhi mentre cercava di capire come Pelaschier riuscisse a timonare la sua barca in mezzo a tante vele che spuntavano da ogni dove. Esperienza e concentrazione.

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Illustrazione di Camilla Zaza


 

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La partenza per chi regata per vincere la Barcolana è fondamentale per non restare imbottigliati in qualche ingorgo e non perdere attimi preziosi. Se il vento si fa sentire la regata si può vincerla coprendo le 15 miglia in meno di un’ora, ma se il vento cala c’è chi torna in porto a Trieste quando il sole è già tramontato da un pezzo. Tra chi regata per vincere e chi lo fa semplicemente per divertirsi c’è la stessa differenza di chi guida in autostrada per andare al mare e chi viaggia in circuito con una Formula 1. Due mondi opposti che nel caos controllato della Barcolana sono uniti dalla passione per la vela, il mare e il vento. C’è l’uomo che sussurra alle vele e quello che si preoccupa solo di portare a bordo la dose giusta di birra o di bianco Friulano, quello che una volta si poteva chiamare Tocai. C’è chi lavora un anno alla sua barca curando ogni dettaglio e chi si iscrive la sera prima della gara. C’è anche chi completamente fuori controllo finisce con il tamponare la barca che gli sta davanti. C’è davvero di tutto, ed è questo che fa della Barcolana un appuntamento unico e inimitabile.

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“La Barcolana è nata come una regata più di 50 anni fa, ma oggi è una festa del mare e non più solo della vela”, racconta il presidente Mitja Gialuz, l’uomo che l’ha traghettata verso una nuova epoca, trasformando l’appuntamento di un giorno, in una settimana di eventi, di incontri, di competizioni e di messaggi positivi come quello lanciato da Alice, il maxi sardone lungo 10 metri e alto 2,4 costruito dagli studenti dell’Accademia delle Belle Arti di Firenze con 10 mila bottiglie di plastica raccolte dai triestini e portate nei punti vendita Despar. È stato collocato in piazza Unità d’Italia e ci resterà fino al 20 ottobre, poi verrà trasportato al depuratore di Servola recentemente rinnovato. “Dall’impegno dello scorso anno con lo slogan ‘Siamo tutti nella stessa barca’, siamo passati ai fatti”, ha detto Gialuz. La battaglia contro la plastica abbandonata dovunque, non solo in acqua, è uno dei tanti messaggi che partono da Trieste in questi giorni in difesa del mare e dell’ambiente in generale.

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Quella di domani sarà la Barcolana 50 +1, si riparte dai numeri record dell’edizione del cinquantenario che, secondo uno studio del professor Guido Guerzoni della Bocconi, ha generato ricchezza per 71,5 milioni di euro per Trieste e la regione. “Con l’edizione numero 50 abbiamo battuto tutti i record in fatto di quantità, in questa abbiamo voluto sperimentare e innovare, puntando molto sulla qualità: dal messaggio ambientale con il simbolo di Alice agli inediti contenuti culturali, dall’utilizzo di piazza Unità al villaggio zero impact, dall’omaggio alla vela del passato, sino all’attenzione alle nuove frontiere con l’e-sailing e il foiling”, racconta ancora Gialuz, che come sempre avrà al suo fianco Generali (il presidente Gabriele Galateri di Genola e sua moglie Evelina Christillin sono spesso a bordo di uno dei maxi). Quest’anno al via ci sarà anche una velista cinese. Si è siglato un gemellaggio con la Round the Island, la regata attorno all’isola di Wight che è sempre stata in lotta con Trieste per entrare nel Guinness dei Primati. Sta diventando una Barcolana da esportare. E la Vespucci in porto anche quest’anno farà sicuramente colpo a chi guarderà Triesta da lontano.

  

Partecipare è già una festa. Un traguardo. Ma vincere, beh vincere è un sogno che si avvera. Due anni fa ho avuto la fortuna di zavorrare Spirtit of Porto Piccolo, come era stato rinominato Morning Glory, maxi di 86 piedi (26 metri) con scafo in carbonio e chiglia basculante, progettato in Germania per correre e vincere. Fast and Furio, il team dei fratelli Benussi, aveva già conquistato la Barcolana l’anno precedente con Alfa Romeo. Vivere la Barcolana 49 a bordo di Spirit of Porto Piccolo è stata un’esperienza straordinaria che ancora oggi vale la pena di essere raccontata perché mi ha permesso di capire che cosa ci sia dietro a un successo come questo, a una macchina perfetta dove tutto gira in armonia. Si parte quando Trieste dorme ancora e dal cielo prima del vento arriva la pioggia. Porterà fortuna. Ma ancora nessuno può saperlo così ci si affida alle previsioni e a chi, scrutando questo golfo, riesce a capirne le intenzioni. Gabriele ripassa la tattica studiata in base al meteo, alla forza e alla direzione del vento. Furio raccoglie la squadra e la motiva: “Siamo i favoriti, ma la regata dobbiamo ancora vincerla. Ricordiamoci che possiamo perderla anche da soli. Concentrazione. Concentrazione e attenzione. Dai ragazzi”. Poche parole. Ma sufficienti. Ognuno dei 22 uomini dell’equipaggio ha il suo compito ben preciso, ai pochi ospiti viene solo chiesto di non intralciare, al massimo di allungare una bottiglietta d’acqua a chi suda al grinder. Tutt’attorno si muove in perfetta sincronia un team di professionisti, costruito per domare la Bora e vincere.

 

Per conquistare la Barcolana non basta avere tra le mani una vera fuoriserie. Bisogna saperla gestire. Andare a cercare il vento, soprattutto riuscire a schizzare via senza problemi quando viene dato il via. Sono momenti in cui ti senti le farfalle nello stomaco. Quando si avvicina l’ora del via e si aspetta il colpo di cannone, improvvisamente in barca cala il silenzio e si sente solo la voce dello skipper che dà gli ordini all’equipaggio (quello attivo, non alle zavorre autorizzate). Senti il rumore del vento tra le vele, la barca lo prende e scatta via veloce in mezzo al caos. Ci vogliono mille occhi per evitare il contatto che rovinerebbe tutto. L’adrenalina sale quasi quanto la Bora, che cominci a non sentire forse per il sole spuntato tra le nuvole, forse per la tensione che ha alzato la temperatura. Improvvisamente ti sembra di essere in primavera, come quando ci chiedono di sporgerci con le gambe fuori bordo per bilanciare lo scafo lanciato verso la prima boa. Skipper e tattico scelgono la rotta, tengono d’occhio gli avversari più pericolosi. Non bisogna leggere male il vento, bisogna essere pronti a cambiare vele dopo averle scelte, bisogna comunque tenere d’occhio tutto perché c’è sempre il rischio che un motoscafo ti schizzi davanti facendoti saltare nervi e rotta. L’equipaggio lavora di muscoli, suda, fatica ma ha la faccia contenta. Non vedi una smorfia, non senti una parola fuori posto. D’altra parte qui sono abituati a vincere. I fratelli Benussi, dopo non essersi parlati per anni, sono tornati in barca insieme e da tre edizioni sono i re della Barcolana. Volevano il Triplete con la stessa barca, ma per problemi che con la vela hanno poco a che fare, hanno dovuto rinunciare a iscrivere Morning Glory passando al 100 piedi Arca Fondi Wild Thing, barca da sogno recuperata in Spagna e completamente restaurata per andare a caccia, nel 2020/21, del Grande slam della vela. Ripartiranno da favoriti, ma solo vincendo la regata per tre anni di fila con lo stesso scafo ti porti a casa la coppa. L’emozione però ti travolge ancora prima di alzarla al cielo. Quando, passata la linea di traguardo, entri in porto a Trieste e ti accorgi che le banchine si sono trasformate in uno stadio. Le immagini riprese dall’elicottero sono impressionanti, ma vivere tutto questo stando a bordo è davvero unico. Capisci perché c’è chi dedica una vita a inseguire quella coppa d’argento. Ma comprendi anche perché ci sono migliaia di persone che vogliono soltanto esserci, prendere parte a qualcosa che anno dopo anno è destinato a migliorare. L’impressione è che la coppa premi chi conclude per primo il quadrilatero di regata, ma che a vincere siano tutti quelli che vi prendono parte. Come alla maratona di New York dove anche l’ultimo, magari stravolto e stracotto con i muscoli duri come marmo, è felice come chi quel traguardo l’ha tagliato sei ore prima.

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