Foto LaPresse

Oltre la Ryder cup di golf: gioco o sport?

Giuseppe De Filippi

Le regole del golf datano alla metà del 1700, e da lì vanno avanti come struttura essenziale di quello che gli scozzesi e gli inglesi chiamavano The Game

Poi c’è sempre quello che prende la parola e dice che non è uno sport. Parlando del golf, ovviamente. E magari ce ne saranno tanti, in questi giorni di presenza aumentata del golf tra tv e giornali, grazie al miracolo della Ryder Cup (a proposito, dopo la vittoria nel doppio, la ChiccoMania, da Chicco Molinari, ha sostituito la TigerMania), a prendere la parola. Per la precisione l’espressione completa prevede che si aggiunga: è un gioco. Oppure rovesciando: è un gioco mica è uno sport. Ma che sia in un verso o nell’altro sempre senza senso è.

 

Tanto per cominciare, ma basterebbe anche a finire, si tratta di due cose diverse, quindi un’attività qualunque può essere una , l’altra, nessuna delle due, entrambe. E sono talmente diverse da essere una antichissima, il gioco, l’altra più che moderna, perché addirittura successiva nel suo debutto a quella che gli storici chiamano epoca moderna, ed è lo sport. Il gioco nasce con la consapevolezza umana di essere al mondo, insomma roba proprio vecchia vecchia. E’ un’imitazione del mondo, un microcosmo, appunto, in cui vigono alcune regole. Il gioco è fatto proprio dalle regole (senza non esiste), e quella fondamentale è nella durata definita. Assioma tradotto nella saggezza popolare: un bel gioco dura poco (quanto dura uno sport? boh, quanto gli pare, nessuno se ne interessò mai). E comunque le “regole del gioco” sono diventate altrettanto popolari, trasformandosi in espressione astratta. I bambini vogliono giocare, e nel caso le regole le inventano, i grandi pure vogliono giocare. Il gioco poi può farsi duro, può rovinarci, può anche essere erotico.

 

Può essere perfino proibito o diventare, appunto come microcosmo regolato, oggetto di una fertile teoria economica sull’interazione tra diverse volontà in condizioni imperfette di informazione (bello no? è l’essenza di tutti i giochi). Ci si mette in gioco, ci si prende gioco di qualcuno. Lo sport arriva molto ma molto dopo, quando la borghesia ha fatto abbastanza soldi da avere una strana condizione chiamata tempo libero.

 

Prima appannaggio solo di nobili e regnanti e destinato quindi a caccia, tornei, cose da fare comunque sopra a un cavallo, e però sempre mimetiche della guerra o del comando. Lo sport nasce come un impiego del tempo per fare qualcosa di non redditizio e di non direttamente, immediatamente, utile. Serviva probabilmente a ostentare agiatezza e a divertirsi e nasce insieme alla codificazione di grandi giochi all’aperto, come il golf, appunto.

 

Le regole del golf datano alla metà del 1700, e da lì vanno avanti come struttura essenziale di quello che gli scozzesi e gli inglesi chiamavano The Game. Insomma, in quegli anni, i grandi giochi cominciano a stabilizzare le loro regole e, assieme, lo sport comincia a imporsi come attività diffusa, sempre meno elitaria.

 

Prima un po’ irriso, come perdita di tempo, poi inserito tra le attività rispettabili, attraverso il lasciapassare costituito dalla ricerca della salubrità, del miglioramento fisico, e perfino nazionalizzato nei totalitarismi, che, con lo sport di massa, trovano un perfetto sistema di controllo sociale. Lo sport, insomma, incontra rapidamente amici anche poco raccomandabili. Ma, d’altra parte, è giovane, si è affacciato da poco alla ribalta, e può fare questi errori. Dopo, si burocratizza un po’, si ministerializza, si avvilisce nella brutalità da tifosi hooligan. E si salva solo grazie a quella alleanza con il gioco stipulata al suo apparire.

 

Sono i Giochi Olimpici, tuttora, a mandare avanti l’intera baracca. Il golf, tra i Giochi, c’è rientrato da poco. Perché era gioco, e sport, e pure arte, già da prima. E ora, con lo sport, sportivamente, si accompagna volentieri.

Di più su questi argomenti: