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Il Brasile che quando gioca guarda indietro e i luoghi comuni di Nigeria-Islanda

Antonio Gurrado

La Seleção senza ordem e progresso batte il Costarica

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Non mi serve aver frequentato un corso di telepatia per corrispondenza. Per capire cosa pensi, mi basta osservare lo sguardo di Willian, fisso nel vuoto mentre è in fila nel tunnel degli spogliatoi in attesa dell’ingresso in campo: s’è improvvisamente accorto che il motto ispirato ad Auguste Comte sulla bandiera del Brasile – “Ordem e progresso” – è menzognero. Non c’è ordine, nella Seleção perfino il capitano viene scelto a caso: oggi è Thiago Silva, contro la Svizzera era Marcelo e magari contro la Serbia sarà Juliana Moreira o Chico Buarque. Non c’è progresso, come sempre il Brasile gioca guardando indietro; anziché cercare di evolversi come squadra coerente si limita a imitare ciò che ci si aspetta che il Brasile faccia, in ciò istigata dai telecronisti. Sandro Piccinini, ad esempio, continua a insistere sulla bellezza del goal di Coutinho contro la Svizzera senza considerare che non per questo è valso più di quello sufficiente al pareggio degli avversari. Coi Paternostri non si governano gli stati, diceva Cosimo de’ Medici, e con l’estetica non si vincono i Mondiali.

 

Ne sortisce un calcio scriteriato che mi stordisce mescolandosi al caldo, alla digestione, alla preparazione delle domande per la terza prova della Maturità e al senso di colpa di guardar partite mentre il resto d’Italia lavora, almeno fino a che Di Maio non lo proibirà del tutto. Nel deliquio, sul divano, si sovrappongono le immagini del precedente del 2002, un Brasile-Costa Rica 5-2 che fu un’accozzaglia di svarioni, rimpalli, abbattimenti e goal di Ronaldo. Qualcuno la battezzò partita più bella di quella sciagurata edizione coreana senza pensare che elogiare una partita perché si segna tanto è come dire che il tricheco è più bello del colibrì perché pesa di più. A inizio telecronaca la Costa Rica (il cui inno ricalca con convinzione l’aria del farfallone amoroso nelle Nozze di Figaro) è al centro della consueta disquisizione quadriennale sull’opportunità di dire invece il Costa Rica. Sono oziosi lambicchi fino a che non accade l’evento chiave per interpretare la partita: su tiro di Coutinho, Acosta s’accovaccia nel tentativo di deviare la palla in porta col gomito. Fallisce ma è chiaro il suo intento di riprodurre l’anonima autorete su tiro di Mueller che decise la medesima sfida a Italia 90, finita con una sola rete nonostante l’impegno del portiere Conejo nell’esibirsi con uscite fuori tempo, piroette, parate in bagher e sofisticate coreografie che si rivelarono la miglior risposta all’approccio brasiliano: se il calcio dev’essere spettacolare, un po’ di circo equestre non guasterà. Giocandosi a Torino, nell’occasione la Costa Rica indossò una maglia di cortesia a strisce bianconere in onore della Juventus; venerdì invece ha optato per una più modesta maglia del Cesena, nonostante che si giocasse a San Pietroburgo. Per questo da brava provinciale ha resistito fino a che, visibilmente sfiancati dagli strilli di Piccinini, i difensori hanno ceduto durante un recupero durato più o meno fino al momento in cui la redazione del Foglio chiude il numero.

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Alle 17 finalmente è tempo di calcio vero con Nigeria-Islanda che, non essendosi mai affrontate nella storia, mettono in campo armi non convenzionali: la Nigeria indossando una tenuta psichedelica da cui stento tuttora a riprendermi, l’Islanda promuovendo titolare il jolly Rurik Gilason acclamato sui social come giocatore più bello del Mondiale e creando un pericoloso precedente in vista dei tanto strombazzati Mondiali femminili del 2019. Sugli spalti un adulto contende al figlio una palla volata via dal campo ed è il degno contesto di una partita fisica, giocata a viso aperto, a tratti rude e caratterizzata da tutti i luoghi comuni propri dei match di cui non si sa bene che dire (e i cui protagonisti, a giudicare dai lanci lunghi, non sanno bene che fare); fino a che Ahmed Musa non segna su rimessa laterale dell’Islanda poi raddoppia circumnavigando gli avversari come iceberg e io mi metto a sperimentare l’ultima novità tecnologica della casa: “Ok Google, le domande per la terza prova le scrivi tu?”.

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