Foto tratta da Wikipedia

Il funerale del Grande Torino finirà oggi, sessantanove anni dopo Superga

Piero Vietti

L’addio a Sauro Tomà, ultimo degli scampati alla tragedia

Servirebbe forse un nuovo Osvaldo Soriano per raccontare il funerale più lungo del mondo, che finirà oggi a Torino, poco prima dell’ora di pranzo. Sauro Tomà, l’ultimo giocatore del Grande Torino sopravvissuto alla tragedia aerea di Superga è morto martedì, a 92 anni. Alla notizia, l’armonia nascosta che da quel pomeriggio di maggio del 1949 unisce i cuori dei tifosi granata ha fatto pensare a tutti la stessa cosa: adesso la formazione è completa, potete di nuovo giocare insieme.

 

Tomà era un giovane terzino, in due stagioni aveva raccolto quaranta presenze tra le file di una delle squadre più forti della storia del calcio italiano (cinque scudetti consecutivi, record di gol fatti e di imbattibilità interna, record di giocatori che hanno giocato titolari in Nazionale nella stessa partita, dieci). Non era salito sull’aereo per Lisbona a causa di un infortunio al ginocchio. Meglio stare a casa a curarsi, gli avevano suggerito. Con lui restò a Torino anche il portiere di riserva, Gandolfi.

 

Quando lo schianto dell’aereo ha portato via per sempre i suoi compagni e amici, Tomà ha cominciato ad aspettare il momento in cui li avrebbe raggiunti. Ha dedicato la sua vita a ricordare il Grande Torino, scrivendo libri, rilasciando interviste, ma soprattutto raccontando a chiunque incontrasse che cosa voleva dire avere vissuto e giocato con gli Invincibili. Dopo il ritiro, a soli trent’anni, cominciò a fare l’edicolante vicino allo stadio Filadelfia.

 

In questi giorni tanti tifosi ricordavano come a volte si mettesse a giocare con i bambini a pallone in piazza, e di come li invitasse a casa sua, un museo di cimeli, documenti e fotografie dedicate ai suoi compagni. “A me sono morti dei fratelli – diceva in un’intervista di qualche anno fa per un documentario – io durante il giorno li saluto, non so quante volte: ciao Valentino, ciao Castigliano”. Mentre parlava, con gli occhi lucidi, guardava le pareti di casa tappezzate con i volti dei suoi compagni. Come in un crudele mito greco, non salendo su quell’aereo Tomà si salvò dalla morte, ma in cambio ebbe il tormento triste del ricordo quotidiano, il rimpianto di non essere stato lì con loro, quel pomeriggio.

 

Nel maggio del 1949 le salme dei caduti di Superga furono esposte a Palazzo Madama, ex residenza della famiglia reale, in centro a Torino. Così la città intera (seicentomila persone per le strade, il giorno dell’addio) li ha potuti piangere e salutare. Il funerale iniziato quel giorno, era il 6 maggio, è durato quasi 69 anni. Ieri la bara di Sauro Tomà è stata messa nello stesso posto, e centinaia di persone sono andate a salutarlo per l’ultima volta. Molti di loro non erano ancora nati quando giocava il Grande Torino, ne hanno soltanto sentito parlare. Ma è lo stesso: un popolo non ha bisogno di vedere per credere, a questo serve la tradizione. Sauro Tomà faceva parte di quel popolo. Ora può giocare in pace con Valentino e gli altri.

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  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.