C'era un campione sempre fuori tempo. Addio a Ray Wilkins

Giovanni Battistuzzi

E' stato uno dei centrocampisti più forti d'Inghilterra. Non riuscì però mai a trovare una squadra competitiva per dimostrarlo nel palmares. Nel 1984 arrivò al Milan e se ne andò proprio prima delle Valchirie di Berlusconi

Era il 1984 e alle 9,20 del mattino di mercoledì 9 maggio, il presidente del Milan Giuseppe Farina chiese al centralino del Midland Hotel una bottiglia di champagne e sei bicchieri. Quando arrivò il cameriere sei uomini erano seduti attorno al tavolo della suite e sorridevano tutti. In quattro sarebbero ritornati a Milano in aereo, due avrebbero fatto pochi chilometri in auto per rientrare nella sede del Manchester United. Con il numero uno dei rossoneri c'erano il vicepresidente Rivera e il direttore generale Cardillo, c'era soprattutto il nuovo centrocampista che dall'estate avrebbe vestito la maglia del diavolo. Tutto come promesso pochi giorni prima. O quasi. Perché Farina era salito in Inghilterra con la convinzione di ottenere dai Red Devils il loro capitano Bryan Robson, e il proprietario del club, Martin Edwards, sarebbe stato pure d'accordo di incassare un assegno di tre milioni e mezzo di sterline, ma Ron Atkinson, l'allenatore, iniziò a lamentarsi, a sbuffare, a urlare al telefono, minacciando di andarsene. Non se ne fece niente: sarebbe stato troppo spiegare ai tifosi di dover salutare nello stesso giorno due beniamini come erano il capitano e il tecnico. E quando uscì il nome di Ray Wilkins, quando spuntò un assegno di 1,5 milioni di sterline, Edwards pensò che Atkinson non si sarebbe arrabbiato, che i soldi servivano al club e che Norman Whiteside (che sino all'anno prima giocava in attacco) come centrocampista potesse essere un perfetto titolare. Firmarono, Ray Wilkins fu accolto a Linate alle 14 del 9 maggio da una folla festante, mentre Atkison, si dice, spaccò una porta dello spogliatoio a calci per la rabbia.

 

Ray Wilkins arrivò in un Milan forte, ma nemmeno troppo, in una stagione strana, una delle ultime dei rossoneri casciavìt, ancora lottatori e quasi proletari, che ogni tanto vincevano e molto spesso no. A breve sarebbero arrivate le Valchirie del Milan targato Berlusconi, quello delle vittorie di fila in Italia e in Europa, quello degli invincibili, del calcio ultramoderno di Arrigo Sacchi, di quello ultravincente di Fabio Capello, quello che fece dimenticare alla Milano rossonera i fasti a intermittenza passati, convincendoli di essere una nuova Juventus, un club vincente in ogni stagione.

 

Ray Wilkins è morto oggi, dopo diversi giorni in coma in seguito a un infarto. E anche oggi sembra essere arrivato fuori tempo, perché c'è la Champions, perché ieri Cristiano Ronaldo forse ha realizzato il gol della carriera, perché ancora una volta, e questa volta l'ultima, passerà sotto traccia.

 

Doveva forse andare così, perché così era andata tutta la sua carriera. Quella di un centrocampista che sapeva fare tutto, che menava quando c'era da menare, recuperava palloni, impostava, avanzava, tirava, segnava (non molto ma quando serviva) e, soprattutto, non faceva niente di questo, osservava l'azione avversaria e interveniva quando era necessario: faceva il medico, suturava le falle delle squadre. Disse Nils Liedholm, che lo allenò il primo anno al Milan, che "con Wilkins in campo a volte sembra di giocare in dodici".

 

E così ha fatto sempre, ma sempre nei momenti sbagliati. E non per colpa sua. Ma se cresci negli anni più bui del Chelsea e poi ti trasferisci in quelli meno vincenti del Manchester United, per poi approdare al Milan prima della rivoluzione dorata di Berlusconi, non tutto può essere imputato alla bravura e il pensiero che ci sia un po' di sfiga dietro assalirebbe chiunque.

 

Eppure a sentire Bobby Robson "Wilkins era un centrocampista come pochi ne hanno fatti". Eppure a sentire George Best, "Wilkins, avesse giocato dieci anni prima, avesse giocato con noi (lo United dei primi anni Settanta), sarebbe stato ricordato come uno dei giocatori più intelligenti calcisticamente della storia".

 

A sentire Carletto Ancelotti, che Ray Wilkins l'ha avuto come vice al Chelsea, resta solo un addio: "Today is a very sad day, we have lost a fantastic person and a good friend. It was a pleasure to work with you, Ray. All of my best wishes go to Jackie, Jade and Ross. RIP"