Il camoscio e il ragioniere. I ciclismi di Taccone e Balmamion: meno 55 al Giro100
Il primo era uno scatto continuo, azzardo a ogni tappa; il secondo era osservazione e razionalità. L'abruzzese nel Giro d'Italia 1963 vinse cinque tappe, il piemontese la Maglia Rosa
Il Giro del 1963 è l’esaltazione del loro ciclismo. Vito Taccone è furia e ardore. Appena vede una salita l’azzanna, è ferino per animo e fame. Una lunga abbuffata di dimostrazione di superiorità verticale: Asti, Oropa, Leukerbad, Saint Vincent, quattro assoli in quattro giorni, uno dopo l’altro; poi Moena, una cavalcata dolomitica, Duran, Staulanza, Cereda, Rolle, Valles, San Pellegrino, tutti in fila, gli ultimi tre in solitaria, quattro minuti avanti a tutti, ma undici dietro nel complesso alla Maglia Rosa. Perché Balmamion il Camoscio d’Abruzzo lo lasciava andare, un suicidio sportivo sarebbe stato provare a seguire le sue ruote. E così gestiva le distanze, i minuti, quelli che Taccone ogni tanto perdeva per strada, quando si annoiava a svolgere la routine di colline e pianura. Il torinese invece l’attenzione non l’abbassava mai, le prime posizioni del gruppo erano la sua dimensione e poco importava se quando attraversava la linea d’arrivo vedeva sempre le spalle di qualcuno: il suo obiettivo era la Maglia Rosa e per quella sacrificava volentieri tutto il resto. In carriera Balmamion vinse solo sei volte, ma a Milano per due volte guardò tutti dall’alto in basso sul gradino più alto del podio.
Vincitore: Franco Balmamion in 116 ore 50 minuti e 16 secondi;
secondo classificato: Vittorio Adorni a 2 minuti 24 secondi; terzo classificato: Giorgio Zancanaro a 3 minuti e 15 secondi;
chilometri percorsi: 4.063.