Un tifoso del Burkina Faso (Foto LaPresse)

Fuffa d'Africa

Jack O'Malley

Liberazione: finisce il torneo di calcio meno credibile della storia e Ronaldinho dà l’addio al calcio

Londra. La finale di Coppa d’Africa, in programma domenica a un’ora che non ricordo in un paese di cui adesso mi sfugge il nome, non lascerà un grande vuoto nel cuore degli appassionati di calcio. Forse un po’ di nostalgia in chi soffre di insonnia, e in questi giorni passava il tempo a rivivere le gesta degli attaccanti del Ghana e la strenua resistenza del Burkina Faso nelle repliche notturne delle emozionanti sfide.

 

La Coppa d’Africa è uno dei maggiori bluff calcistici degli ultimi decenni, più della Liga, della Bundesliga, di Balotelli e dei contratti di Zamparini agli allenatori del Palermo. Finalmente se ne sono accorti quasi tutti, però: da tempo, procuratori e osservatori non organizzano viaggi di massa per andare a scoprire improbabili scommesse del Continente nero da portare nelle squadre europee, e sono sempre meno i titolari di squadre inglesi, italiane o spagnole a partire per l’Africa a gennaio ogni due anni, segno che da lì non arriva merce particolarmente pregiata.

 

Basta guardare le due finaliste di quest’anno, le solite Egitto e Camerun, per capire che sono sempre le stesse a cantarsela e suonarsela, manco fossero in serie A. Il calcio africano è stata una speranza alimentata dalla Fifa e dalla retorica per qualche anno, ma ha partorito un paio di campioni, qualche discreto giocatore e un’infinità di sconosciute mezze pippe che hanno inverato uno dei grandi luoghi comuni sui giocatori del africani: sono fisicamente fortissimi ma hanno dei momenti di black-out durante le partite (forse perché hanno il ritmo del sangue).

 

Guardando la Coppa d’Africa viene la tentazione di rivalutare la American Soccer League, finalmente abbandonata da Frank Lampard, idolo di ogni persona sana di mente che abbia amato questo sport negli ultimi quindici anni. Certo si starà mangiando le mani, Frankie, a vedere quanto prendono certi scarponi in Cina adesso, e soprattutto la bella vita che fanno. Per questo mi ha sorpreso l’altra notizia del giorno di ieri, e cioè l’addio al calcio di Ronaldinho: ero convinto che il calcio lo avesse abbandonato almeno dieci anni fa. Invece era stato risucchiato nel grande blob del campionato brasiliano, unica competizione al mondo in cui riescono a coesistere giovani brillanti e anziani panzoni (ma sappiamo già che quando Concita De Gregorio inizierà a rispondere alle lettere su Repubblica arriveremo persino a rimpiangere le nostre notti passate a guardare i campionati brasiliani, e forse arriveremo persino a rivalutare Cazzullo). Di Ronaldinho si erano perse le tracce fino a qualche settimane fa: era tornato a far parlare di sé dopo la tragedia aerea in cui quasi tutti i giocatori della squadra brasiliana Chapecoense avevano perso la vita. Dinho si era offerto di giocare con loro la prossima stagione. “Siamo in lutto – pare gli abbiano risposto – ma non così disperati”. Meglio rivederlo nei suoi video su YouTube.

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