La panchina della nazionale del Liechtenstein (foto LaPresse)

Più soldi che calcio. Viaggio nel Liechtenstein che affronterà gli azzurri

Leo Lombardi
Sono trascorsi 106 anni prima che l'Italia affrontasse la Nazionale del principato, avversaria numero 82 della storia. Un fossile vivente inserito però benissimo nella modernità: un gigante in campo finanziario, un nano in campo sportivo. Sci escluso.

Ci sono poco più di 200 chilometri tra Como e Vaduz. Sono trascorsi però 106 anni prima che l'Italia affrontasse il Liechtenstein, avversaria numero 82 della storia azzurra. Una nazionale che non abbiamo mai preso in considerazione, neanche per  un'amichevole. Perfino San Marino è riuscita a sfidarci (due volte, tra 1992 e 2013), il Liechtenstein mai. E' stato necessario un sorteggio mondiale per vedere l'Italia esibirsi al Rheinpark Stadion, costruito nel 1998: può ospitare 7.000 spettatori in una capitale che conta 5.000 abitanti, generalmente poco avvezzi al calcio, come ben sanno i giocatori del Vaduz. Loro scendono in campo di fronte a pochi fedelissimi, partecipando a una serie A svizzera in cui sono ospiti poco graditi. Per occupare uno dei dieci posti disponibili, oltre ai risultati sul campo devono aggiungere anche il pagamento di una tassa, rinnovabile di cinque anni in cinque anni, come l'affitto di un alloggio. E' il prezzo necessario per togliere spazio a una squadra svizzera, un accordo digerito con fatica dagli sportivi elvetici.

 

Ma i soldi, da quelle parti, hanno il potere di rendere tutto possibile. D'altronde il Liechtenstein ha costruito la sua ragion d'essere sui flussi di denaro, con un'economia che gira intorno alla Lgt Bank (Liechtenstein Global Trust), nata nel 1920 e di proprietà della casa regnante. Il Principato è una sorta di fossile vivente, ultimo retaggio di quello che fu il Sacro Romano Impero, schiacciato tra Svizzera e Austria. Un paese di 35.000 abitanti, visitabile in poche ore. Dell'epoca delle dinastie sono rimaste la monarchia costituzionale, che ha in Hans Adam II il sovrano. E l'inno: God save the Queen, ma in versione tedesca. Il Liechtenstein, come il resto della Confederazione Germanica, lo adottò quando gli Hannover salirono al trono in Gran Bretagna alla metà del XVIII secolo, e non lo cambio più, almeno nella melodia. Niente Dio salvi la regina, ma “Oben am jungen Rhein”, in alto lungo il giovane Reno.

 

Un fossile vivente inserito però benissimo nella modernità. La casa regnante non si è persa d'animo dopo che la Cecoslovacchia comunista ha requisito, nel Dopoguerra, possedimenti tra Boemia, Moravia e Slesia: 1.600 chilometri quadrati di terreni e tenute, dieci volte le dimensioni del Liechtenstein. La Lgt Bank ha continuato a funzionare benissimo, con le sua sessantina di sedi sparse per il mondo. Secondo le ultime stime il patrimonio di Hans Adam, non più presidente della banca d'affari, ammonta a tre miliardi di dollari mentre nel 2009 ai suoi sudditi veniva accreditato il secondo pil pro capite più alto del mondo, pari a 89.400 dollari. Un 2009 importante per il sistema bancario del paese, non proprio cristallino a occhi stranieri, non tanto per la bassa (e accattivante) tassazione quanto, piuttosto, per un segreto professionale tale da far invidia ai confinanti svizzeri. Per questo il Liechtenstein era stato posto sotto osservazione dall'Ocse, uscendo proprio in quel 2009 – grazie ad alcuni correttivi – dalla lista dei paesi non collaborativi.

 

Un gigante in campo finanziario, un nano in campo sportivo. Sci escluso. La gloria nazionale è Hanni Wenzel, straordinaria atleta polivalente, l'unica ad aver vinto un oro olimpico nella storia del Liechtenstein. Due, per la precisione, in slalom e in gigante a Lake Placid, nel 1980, da aggiungere alle due Coppe del mondo generali conquistate nel 1978 e sempre in quello straordinario 1980. Una tradizione portata avanti dalla figlia Tina, nata dal matrimonio con il discesista austriaco Hansi Weirather. Il calcio è quasi clandestino. Sette le squadre ufficiali, l'unico torneo organizzato è la Coppa del Liechtenstein: chi vince viene ammesso all'Europa League. Per allargare il campo vi prendono parte anche seconde squadre dei medesimi club, a volte originali perché formate da spagnoli oppure da italiani (lo Schaan Azzurri).

 

La Nazionale si è affacciata nel grande calcio per la prima volta alle qualificazioni per l'Europeo 1996. La gloria storica è Mario Frick, centravanti visto pure in Italia tra Arezzo, Ternana, Verona e Siena: suo figlio Yanik, 18 anni, fa parte del gruppo del ct Rene Pauritsch, un austriaco. La gloria ancora attuale è il portiere Peter Jehle, 34 anni, un passato all'estero tra Grasshoppers, Boavista e Tours, 123 presenze e un rigore parato a Zlatan Ibrahimovic, un anno fa, nel confronto contro la Svezia. Il giocatore più noto è Marcel Buchel, centrocampista dell'Empoli passato anche dalle giovanili della Juventus. Possiede il passaporto austriaco, ha scelto il Liechtenstein per trovare spazio internazionale. Il ranking Fifa dice fondo classifica: posizione 183, tra Guam e Seychelles, la peggiore delle nazionali europee. La colonna portante è formata dai 9 giocatori del Balzers, Prima Lega svizzera, la nostra serie D. Contro la Spagna è stato un tracollo al debutto delle qualificazioni, sconfitta esterna per 8-0, con sette reti incassate in 35 minuti del secondo tempo, a partire dal 10'. Contro Albania e Israele sono state sconfitte onorevoli, di misura. Contro l'Italia non dovrebbe esserci partita, ma gli azzurri in passato sono sempre stati straordinari nel farsi irretire da avversari di basso profilo. Meglio non fidarsi.