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Il calcio può fare a meno del tifo organizzato? Tra il "Minority report" all'olandese e l'esempio tedesco

Francesco Caremani
La federazione olandese vorrebbe consegnare piccoli congegni elettronici, controllabili con le impronte digitali, agli ultrà diffidati che tramite questi dovrebbero indicare la propria posizione prima, durante e dopo ogni partita. Come si rapportano le istituzione con le curve e un'evidenza: “Senza tifosi tra dieci anni saremo falliti”.

Minority Report applicato al calcio. La federazione olandese, KNVB, sta studiando l’idea di consegnare piccoli congegni elettronici, controllabili con le impronte digitali, agli ultrà diffidati. In questo modo invece di firmare in commissariato indicheranno la propria posizione prima, durante e dopo ogni partita direttamente dall dispositivo. Quelli che daccetteranno la sperimentazione avranno uno sconto di pena. A fornire le apparecchiature dovrebbe essere la società inglese G4S che ha come motto “Securing Your World” e lavora già con governi, società aeroportuali e chiunque voglia rendere più sicura e controllata la propria attività o il proprio spazio vitale.

 

Di fronte alle rimostranze di chi vede questa operazione come una pesante violazione della privacy la G4S ha fatto sapere che la scatola elettronica segnalerebbe solo la zona dove si trova l’ultrà e non la posizione precisa, insomma un GPS imperfetto. In Olanda il problema della violenza negli stadi è endemico e viene da lontano, in particolare a Rotterdam, Aia e Groningen, dove ha attecchito quella che è definita sottocultura skinhead. L’F-Side dell’Ajax come la Vak-S del Feyenoord e la North-Side dell’ADO Den Haag sono sigle che hanno fatto la storia del tifo organizzato olandese con scontri che a seconda dei punti di vista si possono definire leggendari o inaccettabili.

 

Lo Zuiderpark, all’Aia, un tempo era sconsigliato ai turisti per le gesta degli hooligans dell’ADO Den Haag. Oggi si chiama Kyocera Stadion e i tifosi avversari vi accedono da un’unica ciclovia al termine della quale c’è un tunnel di plexiglass che li dovrebbe proteggere da eventuali attacchi. Tre ore prima della gara 112 steward controllano che le poltroncine siano avvitate e che non ci siano striscioni, bengala o coltelli nascosti. Per entrare si passa attraverso l’Happy Crowd Control (letteralmente “Controllo della folla felice”) che consiste in sei macchine fotografiche che immortalano ogni spettatore mentre uno scanner a distanza legge il codice a barre di biglietti e abbonamenti. Infine la perquisizione. Dentro ci sono 112 telecamere collegate a 4 maxischermi e 22 monitor che permettono alla polizia d’individuare e catturare chi si comporta male. Invadi il campo? Placcaggio, Daspo per dieci anni e multa di 15 mila euro. Per reati più lievi si è processati per direttissima e, se multati, il pagamento in contatti permette di tornare a vedere la partita: “L’Olanda segue il modello inglese, la trasformazione del tifoso in cliente, cercando di debellare la violenza dal calcio, sapendo però che in Inghilterra questa continua a esistere fuori dallo stadio e nelle categorie inferiori. È un elemento della società e il football fa solo da specchio”, ricorda al Foglio Sébastien Louis, ricercatore presso l’università di Perpignan, con un dottorato sulla storia degli ultrà italiani e autore di due libri sul fenomeno.

 


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Intanto a Parigi è accaduto un fatto a suo modo storico. Il Paris Saint Germain ha chiesto agli ultrà di tornare al Parco dei Principi, divenuto “uno degli stadi più noiosi della Ligue 1”, dice al Foglio Jean-Philippe Leclaire, caporedattore de L’Equipe. L’impianto parigino era stato teatro di due morti per scontri tra le fazioni di estrema destra ed estrema sinistra dello stesso tifo tricolore. Inaccettabile per il governo francese che tiene una linea dura contro gli ultrà, ma che di fronte alla volontà di Nasser Ghanim Al-Khelaïfi e Jean-Claude Blanc, proprietario e direttore generale del PSG, poco ha potuto facendo buon viso a cattivo gioco. È iniziato così il dialogo con il Collettivo Ultras Paris che ha riportato il tifo organizzato al Parco dei Principi: “Ed è stato uno spettacolo”, sottolinea Leclaire che aggiunge “Ho un figlio di 16 anni che frequenta la Kop Sud del Saint-Etienne, quindi comprendo sia le preoccupazioni che la passione di chi si avvicina al calcio. Riportare gli ultrà a Parigi credo sia una buona idea, senza dimenticare quello che è accaduto in passato”. In verità il dialogo è solo all’inizio visto che ad alcuni dei capi è ancora negato l’accesso, ma nessuno vuole rinunciare a questa opportunità, anche perché la società negli ultimi anni ha mandato in curva dipendenti del servizio marketing con tamburi e cori preconfezionati.

 

Secondo Sébastien Louis i modelli di rapporto tra istituzioni e tifo organizzato attualmente sono tre: tedesco, inglese, italo-francese. L’ultimo si basa sulla repressione, dal Daspo alla tessera del tifoso, che di fatto è spesso sconfessata dal CASMS (Comitato di Analisi per la Sicurezza delle Manifestazioni Sportive) e insieme a impianti fatiscenti pare allontanare sempre di più i tifosi dall’evento live. “Quello inglese ha trasformato i fan in clienti, alzando, tra le altre cose, a dismisura i prezzi dei biglietti, continuando ad avere gli stadi pieni ma perdendo molto del suo tradizionale fascino. Oggi ce n’è di più nelle serie minori. Quello tedesco ritengo sia il migliore: famiglie, tifosi, tifo organizzato, curve in piedi e polizia preparata. Ho assistito a una partita di dilettanti in Germania alcune settimane fa con quasi 3.000 tifosi e 150 poliziotti. C’è stato qualche scontro ma sedato con grande efficacia”, sostiene Sébastien Louis. Risultato? Gli stadi più pieni del mondo, grazie pure ai prezzi popolari di alcuni settori, e un merchandising in costante crescita, soprattutto quello legato al cibo e alle bevande. “Avere impianti stracolmi di persone, un tifo caldo e appassionato, da dodicesimo uomo, e fare soldi è il sogno di ogni società sportiva. D’altro canto resta inaccettabile che in curva ci siano armi, si venda la droga e si commettano violenze di ogni genere”, gli fa eco Leclaire. In Germania l’equilibrio è frutto di un colloquio continuo con gli ultrà e con gli altri tifosi, ognuno ha pari dignità perché alla fine lo stadio non può essere solo di una parte ma di tutti coloro che decidono di frequentarlo, ognuno nel proprio settore di riferimento, per indole e per età. Quel dialogo che è iniziato anche a Parigi, tra PSG e Collettivo Ultras Paris.

 

In Italia paradigmatiche sono le situazioni di Napoli e Roma. È evidente che qualcosa non funzioni nel sistema: “Non si può essere multati per aver cambiato posto in curva, tutta questa repressione porta al deserto. Emblematico quello che sta accadendo nella Sud dell’Olimpico”, afferma Sébastien Louis che esprime passione e rispetto per il mondo ultrà italiano, di cui è attento studioso. Antonio Romei, dirigente della Sampdoria, ha fatto una previsione: “Senza tifosi tra dieci anni saremo falliti”. Affermazione che indirettamente certifica l’insuccesso dell’incesto che molte società hanno perpetrato con gli ultrà in tutti questi decenni, con effetti estremamente negativi al di là della sicurezza, che in alcune città resta comunque un miraggio. Eppure, seppur con percorsi diversi e tortuosi, quello che potrebbe accadere in Olanda e accade in Francia risponde alla domanda: il calcio può fare a meno del tifo organizzato? Evidentemente no. Molto interessante a questo proposito l’analisi di Raniero Virgilio (ilnapolista.it) sul calcio come evento e non più come rito, cambiamento che avrebbe spiazzato il tifo, scippato della sua ciclicità e del suo vocabolario, fermo a due decenni fa. Secondo Virgilio il rito è fede, l’evento è scienza, nel primo il biglietto assume le fattezze di un ex voto, nel secondo è un investimento economico. All’estero la discussione è iniziata da tempo. In Italia saremo capaci di uscire dal dualismo ipocrita repressione-lusinga?

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