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Garcia, lo scemo del villaggio

Alessandro Giuli
Non è che Rudi Garcia mi stia antipatico, tutt’altro. L’anno scorso ci aveva regalato l’illusione di una rinascenza balsamica: dopo il cataclisma della finale di Coppa Italia, fu lui a ripristinare la vita nel pianeta AS Roma.
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Non è che Rudi Garcia mi stia antipatico, tutt’altro. L’anno scorso ci aveva regalato l’illusione di una rinascenza balsamica: dopo il cataclisma della finale di Coppa Italia, fu lui a ripristinare la vita nel pianeta AS Roma, a ritrovare un gioco, una compattezza nello spogliatoio, una media punti più che promettente, la prospettiva di qualche soddisfazione a portata di curva. Trofei niente, figurarsi, con quella Juve lì. Epperò c’era già un però. Quella sua frase sulla chiesa al centro del villaggio, tanto celebrata dal giornalista sportivo collettivo, mi suonava carica di foschi presagi. Perché a Roma certe cose puoi dirle (meglio se con altra metafora) soltanto quando hai appena conquistato un successo, quando hai ingrassato la macilenta bacheca. Sennò poi finisci per crederci, finisce che prometti lo scudetto per l’anno successivo e poi quell’anno arriva e tu a mala pena difendi il quarto posto, con la Lazio che ti mangia la pappa in testa; e tu resti lì, da solo, a fare lo scemo del villaggio.
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