CALCIO SENZA AVVENIRE
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Basta cazzate. Il derby dei poveri di Milano. Le squadre che non lottano nemmeno per un posto in Europa. Il blasone sfregiato. I tempi di gloria andati. Nemmeno il tutto esaurito allo stadio. Lo zero a zero che è l’immagine dell’amarezza di una partita un tempo riverita. Non parliamo poi del numero di italiani in campo e in tribuna. Ma da quanto vanno avanti con queste storie? Tutto vero, per carità, ma magari è ora di cambiare il disco rotto del giornalista sportivo sulla Milano in crisi, che poi è sempre il riflesso di un’altra crisi, morale, di valori, civile, di costumi, urbanistica, economica, di classi dirigenti rattrappite e che non si rinnovano. Che palle. Quest’anno si è aggiunta pure la geremiade di circostanza, che va pronunciata alzando gli occhi al cielo grigio dove si staglia la Madonnina: “Ma tutta questa tristezza proprio nell’anno dell’Expo?”. Eh sì, proprio nell’anno dell’Expo, signora mia. La cosa curiosa, poi, è che la partita è stata molto meno peggio del circo decadente che le hanno montato intorno per una specie di contratto che tacitamente si rinnova ogni anno. Alla vigilia del derby si apre la panciuta cartellina “crisi di Milano” e si estraggono a caso aneddoti e dati da mettere in fila per riscaldare la zuppa. Altra cartellina fondamentale per il giornalista che si avvia verso la desertica estate del calciomercato e dei ritiri è quella “piccole provinciali crescono”, solito espediente di rango minore per fingersi Piovene e raccontare l’Italia attraverso le squadre che arrivano in Serie A. Il giornalista sportivo spera sempre in qualche outsider per rinverdire il prontuario dei luoghi comuni sulla provincia e il Carpi offre ottimi spunti che gratuitamente suggeriamo: la crisi del distretto del tessile, l’operosità emiliana, i cinesi, il sorpasso del capoluogo di provincia, Modena, che rimane in serie B. Obbligatorio fare l’ennesima ricognizione calcistico-antropologica sul terremoto dell’Emilia e lo stato della ricostruzione, così come il trasversale derby infraprovinciale con il Sassuolo, che è anche uno scontro di civiltà, perché la maglieria carpigiana è terreno di conquista degli asiatici, la piastrella sassolese raccoglie forza lavoro dal Maghreb. Quante cose s’imparano nella provincia globalizzata. Si spera, naturalmente, che anche il Frosinone arrivi in Serie A, per dare nuovi derby laziali e massime di vita ciociara su cui tratteggiare gentilmente un mondo che non c’è più. Di rigore, infine, occorrerà produrre liste su tutte le squadre di provincia che hanno avuto il loro inaspettato momento di gloria nel recente passato, a cominciare da Castel di Sangro e Albinoleffe.
Topa in pagina. Natalia Velez, assidua lettrice di Avvenire, è una grande appassionata di calcio, anche se preferisce il filo alla rete.
[**Video_box_2**]Come una litania stanca. Vedo con grandi sbadigli che sui vostri media si è tornato a parlare di tifosi violenti, stadi poco sicuri, squadre ostaggio degli ultras, eccetera. Sbadiglio non perché tutto ciò non sia un problema serio, ma perché so già come andrà a finire: molti politici indignati, altrettanti editorialisti che si stracciano le vesti, interventi su radio e tv di “addetti ai lavori” (chiedo scusa) che dicono che non se ne può più, è ora di dire basta, e che propongono ricette per risolvere il problema. Parecchi articoli sul “modello inglese” (vomito), qualche legge inutile voluta dal ministro di turno, appelli alla costruzione di stadi di proprietà, e poi più niente. Fino alla prossima volta, quando il circo riaprirà i tendoni e si ripeteranno le stesse cose.