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La lettera

Il buono dell’autonomia universitaria. Risposta a Ernesto Galli della Loggia

Guglielmo Barone e Andrea Mattozzi

Centralizzare le scelte gestionali degli atenei per gestire le istanze anti-israeliane e altri problemi accademici rischia di imbrigliare e soffocare il sistema. Il dibattito dopo l'editoriale sul Corriere della sera

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In un recente editoriale apparso in prima pagina sul Corriere della sera dello scorso 11 aprile, Ernesto Galli della Loggia ha preso spunto da alcune recenti agitazioni studentesche contro Israele per avventurarsi nel delineare una relazione di causa-effetto tra l’autonomia decisionale degli atenei pubblici e alcuni problemi dell’università italiana, segnatamente le assunzioni di sapore clientelare (ben rappresentate dai docenti a contratto) e la proliferazione di corsi di laurea, troppo diffusi sul territorio e spesso culturalmente deboli. La soluzione consisterebbe in una centralizzazione delle scelte gestionali degli atenei. Tralasciamo il presunto nesso tra autonomia e istanze anti-israeliane – inesistente – e vediamo cosa c’è di sbagliato in questo ragionamento.
 

Gli studiosi di economia pubblica si interrogano da tempo su quale sia il grado di decentramento ottimale nella fornitura di un servizio pubblico quale l’istruzione universitaria. La risposta non è né semplice né univoca e deve attentamente soppesare benefici e costi sociali di ciascun assetto organizzativo. Noi riteniamo che l’assetto decentrato, unito alla concorrenza tra atenei, sia di gran lunga preferibile perché crea i giusti incentivi per le università a fare le scelte gestionali migliori. Saranno poi gli studenti a premiare o meno queste scelte. Al contempo, è corretto riconoscere che un certo livello di regolamentazione (oggi affidata in Italia all’Anvur) è necessario per correggere alcuni fallimenti del mercato
 

Per esempio, un’università che assuma docenti poco preparati per ragioni clientelari a lungo andare perderà inevitabilmente iscritti e difficilmente sopravviverà. Questo è ciò che accade già da tempo per i dottorati di ricerca e ci sono segnali evidenti che la competizione fra atenei inizi a interessare fortemente anche le lauree magistrali. Si tenga inoltre presente che già oggi esistono strumenti che limitano comunque la discrezionalità nel reclutamento. Il meccanismo dell’Abilitazione scientifica nazionale (Asn), introdotto dalla legge 240 del 2010, nasce proprio per garantire un livello qualitativo minimo e crescente nel tempo del corpo docente, evitando però di imporre vincoli decisionali diretti agli atenei. Questo meccanismo si applica a tutti i professori di prima e seconda fascia che, in ogni caso, devono essere reclutati tramite concorso pubblico. E l’utilizzo di contratti privatistici di natura temporanea, peraltro limitato a una percentuale minoritaria del corpo docente, non è pasturazione di gruppi sociali locali ma serve spesso per coprire corsi senza docente o ad arricchire l’offerta formativa con competenze del mondo delle professioni. Sulla proliferazione dell’offerta universitaria, giova ricordare che in Italia i laureati sono ancora molto pochi rispetto alla media europea e semmai il mercato ha ridotto il deficit di offerta e aumentato l’inclusività. E se si ritiene che parte di questa offerta sia di qualità eccessivamente bassa, la causa è legata all’esistenza di asimmetrie informative fra domanda e offerta. Politiche volte ad aumentare l’informazione sulle prospettive lavorative di questi corsi di laurea di bassa qualità sono strumenti molto più efficaci e meno costosi della pianificazione centrale.
 

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L’autonomia è tanto più importante oggi in un contesto in cui gli atenei competono in un mercato globale e ormai, per fortuna, gli studenti si muovono da un ateneo all’altro e anche fra paesi diversi. Occorrono procedure amministrative agili che permettano di prendere decisioni in maniera tempestiva. Chi lavora nell’università conosce bene quanto gli strumenti gestionali del diritto amministrativo siano già piuttosto farraginosi. Uno scenario in cui il ministero determina a tavolino il numero di università pubbliche, la loro offerta didattica, i loro obiettivi di ricerca, e distribuisce risorse e capitale umano indipendentemente dalla qualità è uno scenario distopico che imbriglierebbe e soffocherebbe il sistema in modo antistorico e non sostenibile: il modo migliore perdere i migliori talenti sia fra gli studenti sia fra i docenti.
 

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Guglielmo BaroneAndrea Mattozzi sono professori ordinari rispettivamente di Economia politica e di Economia all'Università di Bologna

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