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l'allarme

La disforia sessuale è un pericoloso (per i giovani) “contagio sociale”

Marina Terragni

Forzature che mettono a rischio anche la libertà di diagnosi. I dati di Global Market Insights sul business della riassegnazione di genere

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Alla Tavistock Clinic di Londra, servizio per i minori con disforia di genere oggi chiuso dal governo britannico, girava una battuta alquanto macabra: “Al ritmo a cui stiamo andando, fra un po’ di gay non ce ne saranno più”. Lo racconta la giornalista della Bbc, Hannah Barnes, nel suo libro “Time to Think: The Inside Story of the Collapse of the Tavistock’s Gender Service for Children”, inchiesta che ha faticato parecchio a trovare un editore. Barnes spiega al Sunday Times che le ragazze in cura alla Tavistock dicevano: “Quando sento la parola ‘lesbica’ rabbrividisco”. E i ragazzi confidavano ai medici il loro disgusto per il fatto di essere attratti da altri ragazzi”. Qualcuno dentro la clinica arrivò a credere che lì si stesse mettendo in atto una “terapia di conversione per bambini gay”. E se diventare trans, si chiede Barnes, “almeno per alcuni non fosse altro che un modo per convertirsi dall’essere gay? Se un ragazzo è attratto da altri ragazzi ma se ne vergogna, allora un modo per aggirare il problema è identificarti come ragazza e insistere sul fatto che sei eterosessuale”. Gira la testa, ma tante madri di minori con supposta disforia raccontano la stessa storia: “Forse sei solo lesbica…”. “Che schifo!”, è la risposta: “Mica sono malata!”. 

 

Intervistata dal Daily Mail in un pezzo sulla trans-isteria nelle scuole inglesi, una studentessa quattordicenne di un istituto del South-East England racconta che “ragazze e ragazzi del mio corso non dicono di essere lesbiche o gay perché si pensa che questi termini siano un insulto”. Ogni coming out trans invece viene accolto e celebrato. Nella sua scuola si insegna che Zeus era non-binary e Lady Macbeth non era “uomo né donna”. I prof ti chiedono periodicamente se sei in transizione – lì ogni anno un minore su dieci si identifica come trans o non binario – e “camminano sulle uova”, terrorizzati dall’idea di risultare transfobici. La ragazza spiffera tutto in forma anonima perché non vuole certo finire “strangolata”. Quindi il transgenderismo come forma estrema di omofobia, à la façon de l’Iran dove se sei gay ti impiccano ma se “cambi sesso” vivi tranquillo. Da tempo associazioni omosessuali come LGB Alliance e Lesbian United danno l’allarme: “I bambini gay non sono malati”, scrivono nei loro siti. 

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Contagio sociale, influenza dell’industria farmaceutica e omofobia stanno persuadendo i bambini, molti dei quali ragazze, che la loro attrazione per lo stesso sesso è segno che devono diventare maschi”. “La disforia di genere è una truffa. Le lesbiche vengono spinte verso la transizione”.  Certo, gay e lesbiche non rendono granché, la transizione sì. Secondo Global Market Insights, società di ricerche sul mercato globale, il settore della chirurgia di riassegnazione del sesso ha fruttato 623 milioni di dollari nel 2022 e data “la crescente prevalenza della disforia di genere” la prospettiva è di raggiungere i 2 miliardi di dollari nel 2032. Questo solo per la chirurgia, poi c’è tutto l’indotto: interventi estetici, farmaci a vita, assicurazioni e via dicendo.

 

Non un cattivo investimento. I farmaci per la transizione, puberty blocker e ormoni cross-sex, potrebbero almeno in parte compensare le perdite causate all’industria farmaceutica dalla crisi degli oppioidi, farmaci antidolorifici che negli Usa hanno causato oltre 500 mila morti per overdose (più del Covid) per i quali le tre più grandi catene di farmacie – CVS, Walgreens e Walmart – sono state condannate a pagare un risarcimento complessivo di 650,5 milioni di dollari. Global Market Insights conta con fiducia sulla “introduzione di nuove politiche governative” e fa l’esempio delle leggi trans in Spagna e in Scozia, anche se poi in Scozia le cose si sono messe male e sulla sua folle legge trans la premier Nicola Sturgeon – altro che “sono stanca” e “non ho più energie” – ha lasciato le penne e si è dimessa. In Spagna invece giovedì il Congresso ha approvato la Ley Trans che consentirà modifiche dei genitali anche ai minori fra i 12 e i 16 anni, minori che potranno ricorrere al Tribunale contro i genitori qualora impedissero loro di autodichiarare il nuovo sesso all’anagrafe (self-id). Manca solo la firma di Felipe VI e la Ley sarà in vigore. Le femministe spagnole dicono che Podemos e Psoe si sono venduti alla trans-industry. 

 

Forse i soldi, per carità, non spiegano tutto. Ma spesso la imbroccano, chiarendo anche perché molte storiche organizzazioni gay come Stonewall si siano buttati sul transgender fino all’auto-omofobia. Alcuni tra i fondatori, come Matthew Parris, avevano pubblicamente esortato l’associazione a stare fuori dalle guerre trans, ma Stonewall ci si è fiondata a pesce. Il giornalista e saggista gay Douglas Murray spiega che dopo avere conseguito obiettivi importanti come il matrimonio egualitario, Stonewall non aveva più molto da fare per i diritti Lgb. Ma “quando un problema è stato risolto o quasi, il business è al suo apice. Sono in gioco stipendi e pensioni dei dipendenti, la reputazione è stata costruita e l’influenza assicurata”. Oggi, dice Murray, Stonewall è diventata un comitato d’affari al servizio della lobby trans – lui lo chiama racket – per continuare a intercettare fiumi di soldi pubblici e donazioni private e per giustificare la propria esistenza. Strategie che tuttavia prosperano solo nel silenzio. Su certe faccende il no-debate è una precondizione necessaria, come indicato dalle cosiddette direttive stilate a fine 2019 dal grande studio legale Dentons in collaborazione con la Thomson Reuters Foundation nel rapporto “Solo adulti? Buone pratiche nel riconoscimento legale del genere per i giovani”.  Dentons avvisa che “il requisito del consenso dei genitori (…) può essere restrittivo e problematico per i minori”, invita a nascondere le novità legislative dietro al “velo di protezione” di proposte più digeribili e soprattutto a evitare “un’eccessiva copertura e esposizione da parte della stampa” in modo da impedire al pubblico più ampio di conoscere e discutere le proposte. In effetti quando il silenzio si rompe la gente capisce e si innervosisce. Si è visto nel Regno Unito dove il 94 per cento dei britannici, una volta compreso cosa diavolo fosse l’autodeterminazione di genere, ha dichiarato la propria contrarietà in un sondaggio di The Times.

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Per tornare in Italia: era immaginabile che la lettera di Sarantis Thanopulos, presidente della Società psicoanalitica italiana che auspica l’apertura una discussione pubblica sull’uso dei puberty blocker – dibattito che ha già corso da tempo nei paesi pionieri di questi trattamenti – avrebbe scatenato il contrattacco. Succede sempre così e dappertutto. Ma una volta che il silenzio è rotto non si torna facilmente indietro. I media mainstream, perfino la tv generalista si sono buttati sul tema e la tattica del terrore – se parli sei fascista e omotransfobico – funziona sempre meno. “Anche nella classe medica c’è paura di parlare”, ammette Giancarlo Dimaggio, psichiatra e psicoterapeuta didatta della Società italiana di terapia comportamentale e cognitiva (Sitcc), “per quanto la maggioranza dei colleghi la pensi come me. E cioè che oggi abbiamo un problema di libertà di diagnosi. La disforia nei minori si accompagna spesso con disturbo traumatico da stress, disturbi dell’alimentazione, di personalità, dello spettro autistico. Si tratta quindi di capire se la disforia è un tratto primario, e in quel caso va accettato e accompagnato, o se la difficoltà di identificarsi con il proprio corpo non faccia invece parte di una costellazione più ampia. Per questo serve un percorso. E come fai, quando vieni preventivamente accusato di omotransfobia e di voler sottoporre il minore a terapia di conversione? Ci troviamo di fronte a un’ideologizzazione della diagnosi che non ha precedenti nella storia della psichiatria e psicoterapia”. 

 

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La stessa ideologizzazione, continua Dimaggio, sta mettendo a rischio la validità scientifica di alcuni studi: “Se affermi senza fondamento che dei minori disforici in terapia multidisciplinare stanno meglio solo grazie ai farmaci e non, per esempio, grazie ai colloqui psicoterapeutici, stai rinunciando al rigore necessario e perdi le basi del ragionamento scientifico. Quindi parliamone”. Certo, parliamone. 

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