Enrico Letta, segretario del Pd, durante un comizio (LaPresse)

Spazio okkupato

Una campagna elettorale tutta “contro” nasconde le buone idee da valorizzare

Giacomo Papi

La mente umana è attratta dal male più di quanto lo sia dal bene. Perciò, non bisogna stupirsi se i partiti inseguono l'attenzione mediatica preferendo parlare del nemico piuttosto che delle proprie proposte

Guardando il mare senza barche di un’isola greca ho improvvisamente pensato che la libertà di attenzione è un diritto prezioso: la libertà di concentrare lo sguardo su quello che ci interessa e piace, e non su quello che è più grosso, luminoso e assordante, dovrebbe essere difesa come un diritto fondamentale dell’uomo. Guardando uno yacht accendersi all’improvviso di notte in mezzo al mare, incongruo come un disco volante posato sull’acqua e sgargiante come un trip da psilocibina, mi sono detto che prima o poi, nel capitalismo contemporaneo, qualcuno dovrà pur porre il tema dell’inquinamento dell’attenzione e della necessità di difendersi dall’invasione dei potenti prepotenti, dei chiassosi, degli ingombranti e degli sgomitanti, per provare a dare una risposta politica a una domanda fondamentale: perché mai dovrei interrompere la mia vita per guardare la tua? Perché? Con quale diritto ti imponi?

E’ una questione che riguarda la televisione – di un famoso giornalista che ci aveva preso troppo gusto al video un altro giornalista disse: “E’ uno che per fare un punto in più di share entrerebbe in scena con uno smoking rosa” – ma che è diventata di massa grazie ai social, dove tutti sgomitiamo per strappare agli altri un po’ di attenzione in più. Essere famosi, in fondo, è questo: avere più persone che ti guardano e prestano attenzione a quello che fai o dici. E’ un bisogno profondo, che like e cuoricini alimentano e soddisfano. Se i social dilagano è proprio perché sono un’abbreviazione della fama. La linea prêt-à-porter della gloria. 

Ma la questione della libertà di attenzione è anche politica, perché riguarda la democrazia, dal momento che oggi è proprio l’attenzione a rappresentare l’opinione pubblica. E la riguarda soprattutto in campagna elettorale, quando i partiti sgomitano non per convincere, ma per essere centrali, dunque per conquistare attenzione. In una comunicazione sempre più digitale la legge che regolamenta questa lotta sono gli algoritmi, che impongono di convergere sul tema del giorno, per quanto minimo sia. Impongono, cioè, un conformismo forzato, che rende impossibile alzare e allargare lo sguardo (e infatti tutti i leader si sono precipitati a condannare Dazn per la prima giornata di campionato). 

Il problema è che l’attenzione ha una natura ambigua: è attratta dal bene, dal bello e dal giusto meno di quanto lo sia dal male, dal brutto e dall’ingiusto. O almeno: quando il bene sembra solo “meno peggio” e il panorama appare medio o mediocre, per la maggior parte degli esseri umani è più gratificante farsi incantare dal male e dal peggio; lasciarsi andare alla bestemmia, al disgusto e all’indignazione. Accade anche nella campagna elettorale in corso: sono soprattutto i giornali e i potenziali elettori di centrosinistra ad amplificare il messaggio della destra che ritengono nefasto, con il risultato di nascondere quasi del tutto quel poco di buono che c’è nel programma che dovrebbe essergli più affine. In breve, se le proposte del Partito democratico sono invisibili non è solo colpa degli errori di comunicazione del medesimo, che pure ci sono. E neppure dell’oggettiva opera di demolizione messa in atto dal Terzo polo. E’ anche colpa anche della naturale attrazione umana verso il male, della prevalenza della paura e del disprezzo sulla speranza e sul rispetto: la voluttà del brutto è talmente potente che produce attenzione soltanto quando, come nel caso delle candidature, ci si può accanire e indignare.

E’ uno schema che va in scena da trent’anni: la libidine del male, o almeno l’ossessione dell’avversario politico ha impedito alla sinistra di comunicare, e forse anche di elaborare, una idea del mondo allineata ai tempi e più entusiasmante della gestione e della pratica, spesso perfino dignitose, del potere. In politica il nemico è necessario perché rinsalda i tuoi – lo sosteneva “La Repubblica” di Platone e lo ha praticato “La Repubblica” di Eugenio Scalfari – ma essere troppo concentrati sul pericolo impedisce di essere credibili quando si racconta il progresso. L’egemonia culturale della sinistra in Italia si è sgretolata anche per la sudditanza e l’attrazione verso il brutto che ha sequestrato base e intellettuali, più dei dirigenti. L’universo si percepisce soltanto se non sei distratto dalle schifezze vicine. E così il populismo di destra occupa l’intero panorama, come già accaduto per lunghe fasi, come gli yacht dei ricchi nascondono i faraglioni di Capri e le grandi navi dei (molto più) poveri nascondono Venezia. Può darsi che qualcosa cambi nei prossimi giorni, ma finora non è stato così. L’indignazione per gli yacht cafoni è così inebriante che si accetta di non vedere il mare, perché forse non lo si desidera più. 

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