Sangue blu 3

La texana del Caravaggio

Michele Masneri

Protagonista dell’asta “del secolo”. Rita Boncompagni Ludovisi, una vita da San Antonio a Sant’Ignazio 

A Roma, su a via Veneto, nel quartiere Ludovisi, dietro via Ludovisi, accanto al parking Ludovisi, c’è una principessa Ludovisi. Per l’esattezza Rita Carpenter Jenrette Boncompagni-Ludovisi, nata in Texas settantadue anni fa, ne dimostra venti di meno, magrissima e scattante, sembra una signora piuttosto di Park Avenue.

 

Princess Rita mi dà appuntamento per le sei di sera, è molto impegnata anche perché nel suo palazzo – il Casino dell’Aurora, che in realtà è un casone cinquecentesco – sta ospitando dei profughi ucraini, nipoti della sua colf Olga. Arrivo, nel Casino gigantesco, immerso in un bosco al centro della Roma più dolcevitesca, c’è una coppia di ragazzi, un maschio e una femmina, sui vent’anni, uno con una grande telecamera in mano. Saranno ucraini con l’hobby della televisione, mi dico. Hanno l’aria molto tranquilla per essere profughi, ma pazienza. Poi mi dicono: ah, bene che sei arrivato. Siediti qua, c’è la luce migliore. Prova microfono, sa-sa. Non capisco bene cosa sta succedendo, non faccio domande, non vorrei mancar di rispetto agli ucraini, poi alla fine, visto che mi seguono e mi riprendono, chiedo e mi spiegano: non sono ucraini, sono di Los Angeles, stanno facendo un documentario sulla principessa. Io sarò dunque nel documentario, ha deciso pragmaticamente la principessa, senza dirmi niente.  

 

 

Ma eccola la principessa, che dopo un bel po’ di attesa scende, magra, bella, tutta in nero, già microfonata. “Qui potete ammirare il Guercino, questi affreschi vennero preso d’esempio per il Grand Palais di Parigi. Ecco papa Wojtyla, ecco l’almanacco di Gotha”, che zac, si apre su una bella foto sua, di lei e del defunto marito. Va bene, va bene, principessa. Tutto questo entusiasmo e questa efficienza uno non se l’aspetta in un palazzo romano ma bisogna capirla, fare la principessa per Rita nata Carpenter a San Antonio, Texas, è solo il terzo atto di una vita molto da film. Lei nel 2009 sposa il principe Nicolò Boncompagni Ludovisi che passa a miglior vita nel 2018. Lei però è rimasta principessa di un micidiale casato, che un tempo possedeva tra i vari asset anche l’isola d’Elba (“io sono altezza serenissima. Siamo solo in 4 a Roma”); è infatti sovrana di Piombino. I Boncompagni Ludovisi non ci andavano tanto, anzi quasi mai, all’Elba, cosi veniva invasa in continuazione, poi a un certo punto l’hanno venduta, dopo il Congresso di Vienna, e sono tornati ricchi. Come chi si vende la seconda casa a Santa Marinella e investe in bot. I Boncompagni Ludovisi oltre ad essere serenissimi sono litigiosissimi: attualmente la principessa è in causa con tutti i figli dell’ex marito e questi sono pure in lite tra di loro. “Un mio amico di Washington mi ha detto di guardare ‘Succession’: l’ho visto, ma quelli della serie tv sono dei dilettanti in confronto”. 

 

E qui siamo al tema dell’intervista.  La principessa è protagonista dell’asta del secolo: il Casino dell’Aurora va all’asta, mezzo miliardo.  Affreschi del Guercino, e poi l’unico dipinto murale mai fatto da Caravaggio! Ma andiamo con ordine. L’accusano – anche in una recente intervista sul "New York Times" – di aver lasciato morire il principe, alcolizzato perso, e di essere una cacciatrice di quattrini anche se, generalmente, erano i principi romani squattrinati a cacciare americane ricche. “L’hanno fatto passare per un ubriacone ma era uno che parlava sette lingue, la psichiatra da cui andammo quando lo volevano far interdire disse che non solo era capace di intendere e di volere ma anche brillante”, dice lei, mentre i documentaristi filmano.  A Roma qualche maligno racconta che il loro è stato un grande amore nato su un grande equivoco: lei pensava che il ricco fosse lui, lui che ricca fosse lei. Si sono amati tantissimo nonostante o forse proprio per il misunderstanding. E non risulta affatto che il principe bevesse.

 

 

La scintilla non poteva essere che immobiliare. “Ci siamo conosciuti perché Niccolò voleva trasformare la tenuta di Procoio, alle porte di Roma, in un grande resort, e io lavoravo nel real estate, allora col capo della catena Rosewood abbiamo preso l’aereo e siamo partiti per Roma”. Lei forse da sempre sognava un principe ("A New York tutti dicono conte e principe, tutte balle"; ha detto al "New Yorker". Ma pure a Roma...) I Boncompagni comunque possedevano mezzo Lazio, “lì ci facevano le cacce alla volpe, ma siccome io sono vegetariana lui ha smesso di farle”. Il resort non si è mai fatto ma è scoccato l’amore, e il principe ha mollato la moglie russa (la seconda) e l’ha sposata. Da lì l’idillio, sono venuti a vivere qui in questo Casino dell’Aurora che a Roma pochissimi conoscono, una specie di Kensington palace, nascosto da alti muraglioni, una villa circondata da un parco, tra i meglio hotel della capitale, in una zona che sembra piuttosto Londra. 

 

Un tempo qui era tutta (aperta) campagna: il Casino è l’unico pezzo scampato alle clamorose lottizzazioni della villa Ludovisi a fine ‘800 – perfino Emile Zola rimase sconvolto: era il parco più grande di città, più di villa Borghese e villa Ada, ma erano anche i tempi del sacco di Roma, dunque smembrarono tutto per costruire e vendere. Non uso alla speculazione, il principe vendette la tenuta alla Società Immobiliare, quella del famoso scandalo, poi ci ripensò e la ricomprò sperando di guadagnarci ancora di più. Intanto però il boom edilizio si è sgonfiato e lui si mangia il patrimonio suo e del figlio. Trova un acquirente nella famiglia Savoia che gli compra il palazzo Boncompagni-Ludovisi, dépendance fatta fare all’archistar dell’epoca Gaetano Koch, dove si piazza prima la Bela Rosin, poi la regina madre Margherita. Infine passa agli americani ne faranno l’ambasciata.

 

Il drago è l'emblema del casato, ma dovrebbe essere il mattone. Adesso, certo, il villino sarebbe perfetto per un oligarca, peccato la tempistica. Già perché il tema vero è che adesso il Casino – da non confondere con l’altro Casino dell’Aurora, quello dei meno litigiosi e più liquidi Pallavicini, poco distante –  va all’asta, seconda tornata, il prossimo 7 aprile, perché al primo turno nessuno ha cacciato i quasi 500 milioni di euro richiesti. Adesso c’è uno sconto del 20 per cento. Chissà che col bonus facciate qualcuno si faccia vivo. Lei spera piuttosto che “lo Stato eserciti la prelazione, come è suo diritto, sarebbe bellissimo farci un museo, visto che io e Nicolò ci abbiamo buttato tutti i nostri soldi e le nostre energie a tenerlo in piedi e restaurarlo, invece, che so, di andarcene a spasso in Costa Azzurra”. Ma è difficile, lo Stato non ha quattrini e poi a Roma ci manca solo un altro museo da tenere in piedi. Lei ha catalogato tutto l’archivio di famiglia e ha aperto la villa al pubblico, “sono venuti tutti, da Madonna a Sting. Ma adesso non posso più, mi hanno fatto causa anche su questo”. Insomma bisogna vendere. Lo prescrive peraltro il tribunale di Roma.

 

La principessa, che è stata appunto, tra le varie sue vite, anche agente immobiliare, dice che interessati “ci sono due o tre degli uomini più ricchi del mondo, ma non posso fare nomi”, “uno di New York e uno cinese”. Si parla di Jeff Bezos e Elon Musk. Boh, chissà. Lei è prontissima: tra le sue operazioni vendette il palazzo della General Motors sulla Quinta Strada a Trump, “ottocento milioni di dollari, ma non pagò mai la commissione”. “Mi  disse: devi essere contenta, bella, stai vendendo all’uomo più ricco d’America”. A parte che non era vero, ‘Che dovevo rispondere? ‘It must be beautiful’, dissi, dev’essere bellissimo esserlo. Pensava di impressionarmi”. La ragazza non era facilmente impressionabile già di suo, anche prima d’essere altezza serenissima e/o agente immobiliare. A vent’anni lasciò il natio Texas per andare a Washington, come “ricercatrice politica” per il Partito repubblicano. “Ma io mai stata, repubblicana. Solo che pagavano bene, dovevo fare ricerche tra i candidati più interessanti della parte avversa, scoprire i punti deboli.

 

Tra questi, il deputato John Jenrette, giovane astro in ascesa, capogruppo alla Camera, che però ricerca lei. “La prima volta lo incontro in ascensore. Ti va, mi dice, se ceniamo insieme? Oppure se partiamo per un weekend di sfrenato nudismo?”. Lei rifiuta ma poi cederà e sposa il suo congressman. Nasce così una vita da “mad congressman wife”, come si intitola un suo memoriale uscito nell’81 e che fece scandalo, in cui raccontava, in una specie di Casta, la vita sfrenata dei politici americani tra coca, balli in ambasciata tutta acchittata Halston e sesso sotto le colonne del Campidoglio durante le interminabili votazioni notturne. Lui la chiama una volta ogni ora. “Sto andando a votare ma ti amo”; “sto entrando nell’ufficio ovale ma ti amo”, “sono sull’Air Force One ma ti amo”, così per tutto il giorno. Sullo sfondo i Reagan, i Bush, soprattutto i Carter, “che carini”.  

 

Lui però parte anche  in continuazione per dei weekend elettorali nella sua South Carolina che si scoprono essere in compagnia di signore compiacenti, lei lo lascia, lui poi finisce in galera per il caso Abscam, da “Arab-scam”, la truffa araba, quando l’Fbi prese di mira una serie di politici con degli agenti provocatori che si finsero appunto arabi vogliosi di corromperli con petrodollari, filmando tutto. Secondo la “Encyclopedia of White-collar Crime” (Greenwood Press, 2007), al finto arabo che tentò di corromperlo chiedendogli se avrebbe mai preso soldi dallo sceicco, il deputato Jenrette rispose: “io ho il furto nel sangue. Li prenderei in un nanosecondo!”.  Lei al processo l’ha difeso, lealmente. Anche Bob Guccione, proprietario di “Penthouse”, finì implicato. Ma questo non ha niente a che vedere con la seconda vita della non ancora principessa, che si diede allo spettacolo: modella, copertina di “Playboy” nell’81  - si trova ancora su eBay, lei in baby doll, titolone, “la liberazione di una moglie di un deputato”. Poi scrive un romanzo, “My capitol secrets”, e un altro, “Conglomerate”. Non vince il Pulitzer. Dice che Roger Ailes, eminenza grigia della Fox per vent’anni prima di diventare consigliere di Trump, la voleva per un programma, ma lei sempre rifiutò. Appare in diversi programmi tv, in film come "Zombie Island Massacre”, poi si trasferisce a New York e si butta nell’immobiliare come prima o poi tocca a tutti in America. E poi il suo terzo atto, la principessa americana-romana, un topos che da Henry James - ospite abituale del Casino - in poi non conosce crisi.  

 

Tutti hanno diritto a un terzo atto. Come l’hanno accolta a Roma? Snobisticamente? “Ma no, assolutamente, sono tutti super carini”.  E qui elenca tutti i nobili romani dalla sua parte. Basta, basta. Forse perché la principessa ha preso molto sul serio il suo ruolo di principessa, con texana efficienza. “Quando è morto Nicolò ovviamente l’ho fatto seppellire in Sant’Ignazio…”. Ma come, si può ancora farsi seppellire in chiesa? “Be’, secondo lei? L’hanno fatta costruire i Ludovisi la chiesa!”. Sì, ma nel 1626, 400 anni fa. “Infatti mi hanno fatto un sacco di difficoltà, allora per otto mesi ho perseguitato tutti, il vicariato, il ministero, il comune, “allora sono andata dal sindaco e le ho detto: guardi che io sono texana, forse non avete capito come sono i texani. Alla fine ecco che apriamo la cripta di famiglia, e devo scendere a controllare, capisce, per vedere se è tutto in ordine, e tante bare erano un po’ aperte”. C’erano tutti! Ho riconosciuto Papa Gregorio XV! E poi Lavinia Boncompagni Ludovisi!”. E poi elenca altri antenati mummificati. Ma principessa, fa un po’ impressione. “Ma no, perché? Vede il baldacchino?”, ricomincia la visita guidata, “era proprio per Papa Gregorio, quando passava di qui”, e giù date, e dettagli. “Ma venga, saliamo”, e attraversiamo saloni gelati con gli stupefacenti soffitti del Guercino col salone eponimo dell’Aurora e quello della Fama (in cui una ragazzotta alata spicca il volo trionfante al suono della tromba,  seguita dall’Onore e dalla Virtù. Si celebra la fama di casa Ludovisi, in grande ascesa. E negli angoli finti colonnoni tortili che poi Bernini copierà qualche anno dopo per San Pietro, però in 3D.  Tutto molto più moderno dell’altra Aurora dell’altro Casino, fatto da Guido Reni per quello che è oggi palazzo Pallavicini-Rospigliosi (l’Aurora era un format molto di moda, è chiaro).

 

Ma in una piccola anticamera, che era in realtà un gabinetto alchemico, ecco il pezzo forte, il famoso soffitto dipinto da Caravaggio, unica sua pittura muraria mai eseguita. Ecco Giove, Plutone, Nettuno, personificazioni dell’aria, dell’acqua e della terra, nonché dei tre stati della materia, tutti scollacciati, compreso Nettuno (con un pisellone full frontal che incombe sul visitatore), che si stagliano su un cielo temporalesco, con al centro la sfera celeste dei segni zodiacali. Una roba molto hot per l’epoca (il 1621) quando il Casino era del cardinale Francesco Maria Del Monte, prima di passare ai Ludovisi. “E poi accanto, guardi, questo è uno dei primi ascensori d’Italia. Mannaggia, ci sono ancora quelle ditate di David! Rockefeller, naturalmente. Era talmente alto che si incastrò dentro. Ci abbiamo messo un po’ a tirarlo fuori”. Intanto per la villa sbucano dei bambini, sono i quattro nipoti della governante Olga. Sono finalmente gli ucraini.

 

Ci si chiede a questo punto quale sarà il quarto atto della principessa texana-romana. Se riuscirete a vendere che farà con tutti quei soldi? “Beh, metà andrà a me, metà ai figli di mio marito, così ha voluto nel testamento. Aspetti che glielo mando su WhatsApp”. Non c’è bisogno, principessa, ci credo. E rimarrà a Roma o tornerà negli Stati Uniti? “Oh, no, Roma è casa mia ormai. Però non so se comprerò qualcosa. Sono stufa che mi facciano causa”. Ma non ha paura a stare tutta sola in questa casa che sembra in mezzo a un bosco, anche se siamo in pieno centro? “Ah, meno male, adesso è piena di gente. Comunque meglio sola che con certi parenti”. Potremmo metterci Putin in esilio, tipo Duca di Windsor. Lei che è una veterana di Washington, che ne pensa? “Sono orripilata da quell’uomo. Ma come è possibile che in cinque giorni abbia distrutto la reputazione di un paese come la Russia? Incredibile”. Potrebbe andare all’Isola d’Elba, eran pur sempre i suoi feudi. “Veramente no, non ci sono mai stata”. “Ma anche la  famiglia di mia madre è nobile, sa?”. Tira fuori un volumone di ricerche araldiche, ecco un grande stemma, “mio marito quando l’ha visto ha commentato: ‘che moderno!’.

Di più su questi argomenti:
  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).