la rivelazione

L'ossessione di Mitterrand

Marina Valensise

Per anni la giovane studentessa Claire fu l'ultimo segreto dell'ex presidente francese. Un libro su un amore inconfessato e tormentato

Non si sa se la cosa più incredibile sia la storia dell’ultimo amore segreto tra il settantenne presidente francese François Mitterrand e una sua giovane fan ventenne, o non piuttosto il racconto minuzioso che la diretta interessata ne ha fatto trent’anni dopo, a bocce ferme, trasmettendo una strabiliante dovizia di particolari alla cronista politica del Monde, Solenn de Royer (Le dernier secret, Grasset). 

Incredibile l’amore, sbocciato come un fiore di serra, tra il vecchio seduttore irresistibile, che non resiste al richiamo della giovinezza, e la fanciulla vittima della propria ossessione. E ancora più incredibile la confessione postuma della protagonista, che mantenendo l’anonimato ha voluto ridare vita al passato, forse per trovare il suo posto nel mondo, per liberarsi di un peso, o per alleviare il dolore dell’amore perduto e della morte dell’amore. In entrambi i casi, la storia d’amore e il suo racconto sembrano l’ennesima conferma del modo romanzesco che ispira il potere in Francia, e del potere della letteratura che regna Oltralpe sulla rappresentazione simbolica del potere. E infatti, bisogna leggere in controluce questo memoir per scoprire la vocazione letteraria di Mitterrand, un presidente che sognava di entrare all’Académie française e forse passerà alla storia per le migliaia di lettere d’amore a Anne Pingeot, più che per la sua visione dell’Europa postsovietica, ma soprattutto per attingere alla trama di citazioni e riferimenti che alimentava il romanzo della sua vita: dalle Lettres à une amie di Clemenceau, considerata un capolavoro nel genere, ai romanzi di Milan Kundera, fino al risolutivo memento di Flaubert: “Gli idoli non bisogna toccarli, la doratura rimane sulle dita”

I fatti sono noti. Lui settanta anni, lei venti. Lui all’apice della gloria, lei ai primi passi nella vita. Lui  al secondo mandato. Lei studentessa alle prese con gli esami di  Giurisprudenza. Lei timida e invasata. Lui avvolgente e però cinico, sibillino, retrattile quanto basta e perciò irresistibile. Lei bella, sfrontata, vulnerabile e capricciosa. Lui paterno, sornione, dispotico e lievemente perverso. Niente di più improbabile dell’incontro tra i due. A unirli, fin dall’inizio, è la passione politica e il fervore della militanza. La trama è un racconto di Balzac. Una ragazza di Limoges, per sfuggire all’angustia di una famiglia borghese e conservatrice lascia la provincia e va studiare a Parigi. E’ il 1984. Il socialista Mitterrand, eletto tre anni prima, ha smesso di far sognare chi vuole cambiare il mondo. E la giovane provinciale, in cerca di un ideale che dia un senso alla sua vita, si butta nel sindacato studentesco. Il presidente della Repubblica è il suo idolo e ben presto diventa per lei una fissazione. Così, quasi per gioco, si mette in testa di incontrarlo.

All’inizio è una sfida contro la noia e la solitudine dei fuori sede che vivono a Parigi confinati in minuscoli studio. Col suo migliore amico, un ex compagno di liceo che studia economia, comincia gli appostamenti nella rue de Bièvre la stradina medievale tra la Senna e il Boulevard Saint Germain dove vive il presidente. Dopo vari tentativi infruttuosi, finalmente una sera, i due riescono a avvicinarlo.
E’ il 12 luglio 1984. Milioni di manifestanti sono scesi in piazza per difendere la scuola libera. Il presidente annuncia in tv il ritiro della riforma e un referendum sulle libertà.  I due esaltati lo aspettano davanti casa, e appena lo vedono arrivare si mettono a urlare chiamandolo per nome. Da collaudato marpione, Mitterrand, il viso coperto di fondotinta, si volta, va verso di loro, li ringrazia, chiede come si chiamano, cosa studiano e li invita ritornare. “Vedete, è facile vedermi”. Passa l’estate, arriva l’autunno, i due riprendono a inseguirlo come segugi, ma il contatto resta vago, la segreteria dell’Eliseo non risponde. A nulla serve arruolarsi come hostess al salone dell’Agricoltura, o andare a Strasburgo in autostop per rivedere il loro idolo. La vera svolta avviene quando uno zio di lei, alto funzionario, invita la ragazza al ricevimento dei prefetti all’Eliseo. In estasi, e però pronta a tutto, lei si presenta in fila con gli altri ospiti al presidente e sfrontatissima gli dice: “Non mi riconosce?” .Mitterrand le sorride, nasconde lo stupore, si fa dare l’indirizzo e le promette un invito.

Passano pochi giorni e una mattina di dicembre i due vengono convocati all’Eliseo per la prima colazione. Compulsano una biografia del loro eroe, prendono appunti, si preparano alcuni temi come se andassero a un esame, e si impongono come massima di condotta di non salutarlo senza averne ottenuto un altro appuntamento.
Il presidente li riceve nel salone arredato da Philippe Starck. E’ basso, tarchiato, non sa bene cosa fare, ma dopo i primi convenevoli prende a raccontare della sua vita da studente, quando viveva al foyer cattolico in rue de Vaugirard, leggeva Baudelaire, Claudel e Mauriac e andava al cinema al Biarritz. Ricorda gli anni della guerra, la lotta clandestina, la conquista armi in pugno del commissariato per i prigionieri, il suo ingresso in politica, e poi divaga sull’attualità, sul referendum, sulla coabitazione col centrodestra, su Raymond Barre che gli pare un soufflé.
I due ringraziano e rilanciano subito, moltiplicando appostamenti e i bagni di folla. A loro nulla sfugge dell’agenda del presidente, visite, incontri, viaggi cerimonie ufficiali. Per rivederlo, chiedono l’intercessione di un ministro. Vorrebbero contraccambiare l’invito, e invano tempestano di telefonate la segreteria. A un certo punto, la caccia al presidente li separa, il gioco per uno si è fatto un tormento, mentre per l’altra è diventata un’ossessione che la spinge a inseguire il suo idolo persino in provincia, a tentare di agguantarlo a Besançon, dove quando lui sale in macchina e la saluta con la mano, lei per poco non sviene.

Perché la storia possa quagliare, bisognerà aspettare la fine del primo settennato, la ricandidatura e la rielezione. Neopresidente, Mitterrand si appresta a salire come ogni anno sulla rocca di Solutré, nel cuore del Pouilly Fuissé, e dunque la sua fan sempre più invasata si precipita a Cluny con un’amica e finisce, guarda caso,  nello stesso ristorante dove cena il presidente. “Anche lei qui?”, le dice lui salutandola mentre sta per andarsene. “Allora a domani”. E lei, pungolata dall’amica, prende  coraggio, si alza per raggiungerlo all’uscita, e rossa di timidezza balbetta: “Volevo dirle che mi piacerebbe invitarla a colazione. Tempo fa mi aveva detto di sì, ma non abbiamo mai fissato una data. Da allora, non sono più riuscita a contattarla”.

Siamo nel maggio 1988. E’ ancora l’epoca remota e felice in cui il potente e il comune mortale possono vivere in perfetto anonimato, senza telefonini, senza internet, senza WhatsApp, fuori dalla cloaca massima dei social. Il presidente francese può mettere in piedi un sofisticato sistema di intercettazioni telefoniche, passeggiare per le strade di Parigi per comprare libri di antiquariato, e condurre tranquillamente una doppia e tripla vita, dividendosi tra la famiglia ufficiale (la moglie Danielle che lo odia, i figli scapestrati, il cognato attore) e  la famiglia segreta, alias l’amante Anne Pingeot e la figlia Mazarine, che vivono, protette dai servizi segreti e a spese dello stato, in un palazzo sulla Senna.

E’ così che il 27 maggio, comme si de rien n’était, Mitterrand si presenta a casa della sua fan ventenne. La ragazza abita in una mansarda della rue Dufour, nel cuore di Saint Germain. Su consiglio di Michel Charasse, ministro e sodale del presidente, ha scelto un menu semplicissimo: prosciutto e melone, bistecca e una forma di Epoisses, il re dei formaggi secondo Brillat-Savarin. Finito di mangiare, Mitterrand si alza da tavola, va sul divano, e invita la sua amica a raggiungerlo. Lei gli si avvicina, esitante. I due continuano a parlare del più e del meno e a un certo punto, all’improvviso, lui le dà un bacio. “Tu non sei respingente”, le dice sorridendo. “Peccato non avere più tempo”… “Avresti voluto?”, domanda poi pudico. Lei non risponde, per paura che se ne vada. Ma quando lui si alza, riesce a sussurragli candidamente: “Appena uscirete da quella porta, mi mancherete”. I due scendono insieme in ascensore, abbracciati. “Sei sentimentale?”, domanda lui. “Credo di sì”, risponde lei. “Non bisogna”, le ordina lui.

Comincia così, nel segno del comando, l’ultima storia d’amore di Mitterrand, storia segreta durata otto anni fino alla sua morte. Fu una passione limpida e tormentata, fatta di alti e bassi, fughe in avanti e tentativi di resistenza, scarti strategici da parte di lui, continui assalti e ultimatum da parte di lei; una storia percorsa di compassione e gelosia, attese e solitudine, ferocia e candore, segnata da una segreta libido e dal senso estremo della pietà.
Dei due la più passionale e la più audace è di sicuro lei, la ventenne sentimentale, che lo cerca, lo insegue, non si sa perché, lo blandisce e finalmente lo seduce, senza forse neppure volerlo. Mentre lui, il presidente, il vecchio uomo di potere, all’inizio è semplicemente incantato dall’ardore e dalla freschezza della sua amica, ma a poco a poco si lascia travolgere da una storia che nonostante il cinismo, la freddezza e le precauzioni mondane, sembra scappargli di mano, rischiando pure di andare fuori controllo: “La meccanica si è messa in moto. Fare l’amore è soprattutto una cosa cerebrale, lascia tracce morali più che fisiche. E può rimanere un ricordo molto piacevole”. Alla fine, dopo una serie di finte e schermaglie, tentativi disperati di fuga, pianti e ravvedimenti da parte di lei, è sempre lui a riprendere le fila, a dettare le condizioni, a imporle senza scampo a costo di doppiezze, perfidie, menzogne a non finire e del fascino inappellabile del seduttore.

A poco a poco, i contorni di una storia assurda, inverosimile e romanzesca diventano precisi, reali, sino a combaciare con la cronaca politica e incastrarsi nell’agenda dell’Eliseo, seguendo il filo dell’attualità, delle visite ufficiali, degli incontri con i grandi. Nel 1989 Mitterrand vede Michael Gorbaciov e Margareth Thatcher, e tra un incontro e l’altro infila la sua amica. Va in Germania in visita dal cancelliere Kohl, e al collo porta la sciarpa verde che gli ha regalato la sua amica. E se non bastasse la prova fattuale di otto agendine piene di appunti scritti con inchiostro nero in una grafia sottile, a un certo punto esce fuori la pistola fumante, o la prova regina, e cioè la cassetta coi messaggi registrati su una vecchia segreteria telefonica, dalla quale riaffiora come dall’oltretomba la viva voce di Mitterrand.
Abilissimo a celare e nascondere, a ingannare e dissimulare, prudentissimo a sviare e fuorviare, Mitterrand, “le florentin”, come egli stesso amava definirsi, non lascia tracce scritte, non dice mai “ti amo” alla sua amante, ma non resiste a tempestarla di telefonate, a chiamarla ogni giorno, mattina e sera, a lasciarle messaggi freddi, concisi, e puntuali sulla segreteria telefonica. “Ti chiamo, non ci sei”. “Forse sei con un altro”. “Ti richiamo domani”. “Mi raccomando non bere”, “Fai la brava”. 

Eh sì, perché in questo gioco di seduzione senza freni, dove il potere cerca l’amore, l’amore sogna la gloria, e tutti  e due inseguono l’innocenza, c’è anche spazio per la gelosia, per il rimorso, per la ripicca, per la vendetta e soprattutto per l’umiliazione. Il giorno in cui lei sembra flirtare con un collaboratore di lui, lui che da un lato l’incoraggia a farsi una vita sua, a cercare altrove, a mettersi con un atleta muscoloso, e dall’altro vuole sapere quanti uomini ha avuto, con chi scopa, se entra nel letto degli altri con la stessa facilità con cui si infila nel suo, a un certo punto esplode di perfidia, chiama al telefono il suo collaboratore per dirgli, con lei di fronte: “Accomodati pure, io ho già fatto, sono a posto”, trattandola come una puttana, una pezza da piedi, di cui disporre e far disporre a piacimento, salvo poi riconquistarla teneramente, e consegnarsi a lei sino alla fine, per farne l’ultima depositaria delle sue gesta romantiche, e affidarle la versione letteraria dell’eternità.

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