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spazio okkupato

Dopo due anni di pandemia, il solco tra verità e messa in scena si fa più profondo

Giacomo Papi

L'eterno ritorno del Covid ha cristallizzato le nostre vite in un loop di restrizioni, paure e sospetti. Nell'epoca della vita a distanza, il confine tra reale e virtuale si fa sempre più confuso.

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Alla vigilia di Natale di due anni fa si discuteva su un nuovo virus scoperto in Cina di cui i giornali avevano cominciato a parlare. Qualcuno, già allora, parlava di “infodemia”. Qualcun altro, soprattutto se aveva letto Spillover di David Quammen, era preoccupato. Che quel futuro arrivasse davvero, però, era inimmaginabile per entrambi. Qualcosa di cui si poteva ridere o avere paura, ma che rimaneva acquattato nelle regioni del possibile.

Oggi che quel futuro è arrivato ed è addirittura passato, sembra essersi inchiodato a un presente che a ogni Natale si ripresenta imperterrito e identico a sé, pur con qualche lieve variante medica e mediatica. E’ cambiata la lettera greca che marchia la mutazione del virus in carica. E sono cambiati i virologi, non tanto i loro nomi e le loro facce, identiche, ma loro vanità televisiva, ormai incontrollabile al punto da farli andare in comitiva a cantare in tv o a duettare con Jerry Calà. Cambiano ogni giorno anche l’Rt, il rapporto tra contagi, ospedalizzazioni e morti, il numero dei vaccinati. E cambia la nostra attenzione. Ma soprattutto cambia l’umore prevalente, ed è forse la notizia peggiore: grazie ai vaccini in molti avevano sperato che la primavera fosse in arrivo salvo accorgersi all’improvviso che non è ancora venuto il tempo di uscire dalla tana perché siamo tutti ancora impantanati in un immobile solstizio d’inverno. 

A gennaio, a meno di miracoli, molte scuole rientreranno in Dad, la famigerata Didattica a distanza. Probabilmente non si tornerà alle chiusure degli anni scorsi, ma da un punto di vista simbolico ed emotivo sarà un passo indietro, anche perché l’isolamento non riguarderà solo le scuole, infatti vale già per i viaggi, le cene, le feste di Natale e Capodanno. Ci eravamo preparati a riconquistare la presenza, la compresenza dei corpi, la tridimensionalità del reale, e invece è probabile che nei prossimi mesi per molti il lavoro sarà ancora scandito dai computer.
Ricomincia la Vad, la Vita a distanza.

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Mi pare sia questa l’accelerazione più poderosa avvenuta negli ultimi due anni. In pochi mesi sono nati nuovi giganti tecnologici ed economici come Zoom o si sono ingigantiti a dismisura quelli già esistenti come Amazon, ma soprattutto è stato riorganizzato il modo di lavorare di miliardi di persone, si sono svuotati gli uffici e reinventati i turni di lavoro, è cambiato il nostro modo di prepararci la mattina e di andare a dormire la sera, di vestirci per restare in casa e di agghindarci per uscire, sfumando ancora di più il confine tra pubblico e privato, il modo con cui concepiamo noi stessi e ci mettiamo in scena per gli altri. Alla possibilità per chiunque di riprodurre e moltiplicare la propria immagine pubblica sui social si è aggiunta la possibilità di farlo in diretta, per vanità, svago o lavoro (infatti le dirette social sono esplose con la pandemia). Da quando esiste la Vad, cioè, la scissione tra il corpo e la sua immagine si è fatta più profonda, e la distinzione tra realtà e finzione, verità e messa in scena si è fatta più confusa (mostriamo la faccia in casa, su Zoom, mentre all’esterno la nascondiamo sotto la mascherina).

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Presto cambierà – sta già cambiando – anche la percezione dell’utilità dei vaccini che, da strumenti per riconquistare la normalità perduta, saranno sempre più visti e raccontati come armi di difesa per frenare il disastro. La crescita mondiale dei contagi segna l’ingresso per tutti – fiduciosi, dubbiosi e negazionisti – in una nuova fase in cui, credo, la sfiducia verso la scienza e la politica aumenterà. Crescerà la fazione di chi sostiene che i vaccini siano inefficaci, uno strumento che il potere ha utilizzato per fare affari e controllarci meglio. Di fronte all’aumento dei casi e alle limitazioni delle libertà, non sarà semplice disinnescare questo argomento.
La microfisica del potere esiste, aveva ragione Michel Foucault. Il potere si esercita davvero sui corpi, li attraversa e li utilizza per darsi una forma e celebrarsi, e la medicina è una delle tecnologie attraverso cui l’esercizio del potere si attua. Ma il pregiudizio di cui era vittima Foucault – e lo schematismo manicheo di cui sono schiavi i suoi follower italiani – è che il potere sia negativo per definizione, animato sempre da intenzioni malvagie. Invece, è semplicemente la forza con cui le società umane cercano di organizzarsi per proteggere sé stesse e gli individui che le compongono. Non significa che il potere sia buono, naturalmente, perché promuove sempre anche interessi di parte. Significa che il potere è la condizione originaria della politica. Serve a combattersi, ma anche ad aiutarsi, a istruire e a curare.

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