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il foglio del weekend

11 settembre, la madre di tutti i complotti

Andrea Minuz

Teorie e balordaggini sull’attacco di vent’anni fa alle Torri Gemelle. Dal populismo becero fino ai No vax

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Ci sono le commemorazioni ufficiali, il raccoglimento, l’emorragia inarrestabile di ricordi (dov’eri, che facevi, con chi stavi l’11 settembre?), ma questo anniversario è anche una gran festa per la galassia antagonista-complottista, i fanatici della dittatura sanitaria, della cospirazione del Nuovo Ordine Mondiale, della finanza ebraica che governa il mondo dalla notte dei tempi. Come dimenticare, del resto, a poche ore dall’attentato, le scene di giubilo, i brindisi, la malcelata soddisfazione del nostro amico anticapitalista (tutti ne abbiamo almeno uno). Ecco il meritato castigo divino, la vendetta, il sogno sfrenato e inconfessabile che si materializzavano in forma di happening catastrofico e opera d’arte definitiva: “eine kosmischer Kunstwerk”, come disse un ubriaco Karlheinz Stockhausen in quei giorni lì. Ma ora che il complotto planetario si porta un po’ ovunque, l’11 settembre risuona come macchinazione esemplare. Si riverbera dagli sciamani di Capitol Hill ai No vax sotto casa, da QAnon ai movimenti della sinistra antagonista, dalle scie chimiche prima di andare al governo ai terrapiattisti che ancora non ci sono andati. 

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Ci sono le commemorazioni ufficiali, il raccoglimento, l’emorragia inarrestabile di ricordi (dov’eri, che facevi, con chi stavi l’11 settembre?), ma questo anniversario è anche una gran festa per la galassia antagonista-complottista, i fanatici della dittatura sanitaria, della cospirazione del Nuovo Ordine Mondiale, della finanza ebraica che governa il mondo dalla notte dei tempi. Come dimenticare, del resto, a poche ore dall’attentato, le scene di giubilo, i brindisi, la malcelata soddisfazione del nostro amico anticapitalista (tutti ne abbiamo almeno uno). Ecco il meritato castigo divino, la vendetta, il sogno sfrenato e inconfessabile che si materializzavano in forma di happening catastrofico e opera d’arte definitiva: “eine kosmischer Kunstwerk”, come disse un ubriaco Karlheinz Stockhausen in quei giorni lì. Ma ora che il complotto planetario si porta un po’ ovunque, l’11 settembre risuona come macchinazione esemplare. Si riverbera dagli sciamani di Capitol Hill ai No vax sotto casa, da QAnon ai movimenti della sinistra antagonista, dalle scie chimiche prima di andare al governo ai terrapiattisti che ancora non ci sono andati. 

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Un paio di settimane fa, su Hbo, è partita una nuova serie di documentari, “NYC Epicenters 9/11-2021½”, realizzata da Spike Lee con varie interviste a operatori sanitari, pompieri, testimoni oculari, al sindaco Bill De Blasio o al senatore Chuck Summer. Rinvigorito dal Black Lives Matter, celebrato a Cannes, Spike Lee presentava il documentario dichiarando che la quantità di calore necessaria per far fondere l’acciaio delle torri non era stata raggiunta: “E poi quando lo metti accanto ad altri crolli di edifici demoliti è come se stessi guardando la stessa cosa”. Vent’anni dopo, il regista di “Fa’ la cosa giusta” riprende quindi la tesi dell’“inside job”, di un attentato, anzi di una “demolizione” pianificata e occultata dalla Cia. E’ un’ipotesi che circolava già poche ore dopo il primo crollo, quando un tizio di nome David Rostcheck scrisse su un forum: “Sono solo io o c’è qualcun altro che riconosce che non è stato l’impatto dell’aereo a far crollare il World Trade Center ma una demolizione controllata?”. Immaginate cosa sarebbe successo oggi coi social. 

Con la sua osservazione a occhio nudo, davanti la tv, in preda al panico come tutti noi, Rostcheck gettava le basi di una tra le più consolidate teorie sull’11 settembre. Ma, come saprete, ce ne sono parecchie. Ne ricordiamo qualcuna: i boeing sono stati disegnati al computer e aggiunti in post-produzione sopra le immagini televisive (tutti i media sono complici del complotto); gli aerei erano in realtà droni e missili camuffati da jet pilotati a distanza dalla Cia; dietro l’attacco non c’è la Cia ma il Mossad (l’abbiamo sentita tutti almeno una volta: “Hai notato che tutti gli ebrei che lavoravano nelle Torri Gemelle o frequentavano la zona quel giorno non c’erano? Sono stati fatti evacuare in tempo”). Poi c’è la teoria del “raggio energetico”, un’arma segreta, sperimentale e naturalmente invisibile che ha polverizzato le Twin Towers, come spiega Judy Wood, ingegnere e scrittrice, in “Where Did the Towers Go? Evidence of Directed Free-Energy Technology on 9/11”. Il suo corollario più recente è l’idea che gli incendi in California siano stati provocati da un raggio laser spaziale controllato da una setta ebraica, come sostiene Marjorie Taylor Green, celebre “deputata di QAnon” eletta in Georgia, poi rimossa dal Congresso. 
Dalle nostre parti ricordiamo almeno “Zero”, docufilm tratto da un’inchiesta di Giulietto Chiesa, adattamento in chiave cospirazionista ma “aderente ai fatti”, con endorsement di Beppe Grillo e Dario Fo. In una forma appena più presentabile, ma proprio per questo più inquietante, l’eco del complotto arriva in un testo scolastico francese pubblicato nel 2019 dalla casa editrice Ellipses, un manuale di storia pensato per preparare l’ingresso a “Sciences Po”: “Questo evento mondiale”, si legge, “probabilmente orchestrato dalla Cia (servizi segreti) per imporre la propria influenza in medio oriente? – tocca i simboli del potere americano sul suo territorio”. Col punto interrogativo per sollecitare il “pensiero critico”. 

Naturalmente i complotti esistono da sempre, ed esiste una teoria del complotto per tutto. “The Paranoid Style in American Politics”, di Richard Hofstadter, ancora oggi punto di partenza per ogni discussione accademica sul tema, uscì oltre sessant’anni fa. Ma è indubbio che l’11 settembre abbia innescato un’accelerazione incredibile nella crescita e nella diffusione del complottismo. La concomitanza di fattori allineati quel giorno – la dimensione epocale e impensabile dell’attentato, la diretta televisiva, l’accesso a una vasta rete di video amatoriali, gli aerei, le fiamme, il cielo, il World Trade Center, insomma tutto un immaginario cinematografico di disastri, apocalissi, invasioni aliene che si saldava alla cronaca – lo rendono un modello esemplare. La madre (o il genitore 1) di tutti i complotti. Internet e il successo di “Matrix” hanno fatto il resto. 

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Nel 1999, il film degli allora fratelli Wachowski pescava a strascico tra “velo di Maya”, caverna di Platone, “Mondo nuovo” di Huxley, Savi di Sion, “Illuminati” e molta tecnofobia, offrendosi come la perfetta allegoria di ogni complotto della storia dell’umanità. Un’unica, gigantesca teoria onnicomprensiva buona per tutto. Dopo l’attentato, alcuni notarono che nel film il passaporto di Neo, il protagonista interpretato da Keneau Reeves, scade l’11 settembre del 2001. Apriti cielo! “Matrix” è un riferimento importante perché arriva nell’anno di “No Logo” di Naomi Klein e di “Turbo-Capitalism” di Luttwak. Con un tempismo perfetto, si aggiornavano all’epoca della realtà virtuale le figure classiche dell’anticapitalismo. Lo “strapotere del mercato” è un sogno collettivo generato dalle macchine. Il capitale globale è ovunque e in nessun luogo.  Con la scena della pillola rossa e della pillola blu, filosofi come Žižek ci camparono di rendita per tutti gli anni Duemila. Varoufakis ci costruì su l’impianto del suo: “E’ l’economia che cambia il mondo”, una specie di “liberismo selvaggio spiegato a mia figlia”. La “pillola rossa” (quella che nel film conduce fuori dal sogno e dalla finzione) è anche un refrain della alt-right americana, il simbolo della presa di coscienza del deep state. E Toni Negri, che in quel momento pubblicava “Impero”, disse: “A me sembra quasi un film che descrive l’Impero, piuttosto che un libro”, avendo in mente probabilmente il film dei Wachowski.

I primi vent’anni del Ventunesimo secolo hanno fatto del complotto un sistema di pensiero, un metodo di azione sistematico, un’ideologia dominante ma estremamente mobile e politicamente imprendibile. In questi venti anni logica populista e logica complottista si sono alimentate a vicenda e intrecciate attorno allo stesso presupposto: una visione del mondo monolitica, in bianco e nero, con la verità (o il popolo) da una parte, e il complotto (o Bilderberg) dall’altra. Come ha scritto Kathryn Olmsted in “Real enemies: Conspiracy Theories and American Democracy”, “le teorie del complotto sono modi semplici di raccontare storie complesse”. Quello che da anni ripetiamo a proposito del populismo. Anche quando sono più ingarbugliate, complesse e contorte della spiegazione più semplice, sono d’altronde più rassicuranti del non sapere nulla. Niente però potrebbe essere più lontano dal vero che pensare ai complotti come a qualcosa che fa presa su dei poveri sfigati con bassa istruzione e scarsa vita sociale. 

In America, i movimenti cospirazionisti che chiedono la “verità” sull’11 settembre (come “9/11 Truth movement” o “Scholars for 9/11 Truth”, un cartello di studiosi e accademici di spicco) non sono solo gruppetti di emarginati o squilibrati ma realtà politiche “mainstream” con cui bene o male dover fare i conti. Sull’ultimo numero dell’Atlantic c’è il racconto davvero straziante di come una famiglia americana che perse il figlio negli attentati dell’11 settembre nel corso degli anni si è avvicinata alle teorie cospirazioniste. Pochi giorni fa, i media italiani hanno dato grande risalto all’appello a vaccinarsi del figlio di Virginio Parpinello, morto a 65 anni a causa del Covid: “Non era un No vax, si era sempre vaccinato e noi siamo stati vaccinati da bambini”, spiegava, “ma da quando era scoppiata l’epidemia si era convinto che ci fosse qualcosa dietro”.  Sono storie diverse, ma che toccano corde simili.  “Vogliamo credere di essere padroni del nostro destino”, scrive Rob Brotherton in “Suspicious Minds. Why We Believe Conspiracy Theories”, “anche se il mondo ha la pessima abitudine di ricordarci che siamo in balia della casualità”. E per la maggior parte di noi, rendersi conto che il mondo è caotico è un’esperienza profondamente inquietante. Il crollo delle Twin Towers ha però aperto una “spaccatura controculturale” inedita, arruolando nel corso degli anni uno spettro ampio e trasversale di paranoici della politica. Dagli ultimi detriti del movimento New Age a una mescolanza di ideologie e sottoculture tenute insieme dall’anticapitalismo, da una generica avversione per il progresso scientifico e tecnologico o dal razzismo, dall’odio sociale o dall’antisemitismo, l’ingrediente più trasversale di tutti: Hare Krishna, professori universitari, integralisti cattolici, black block, no global, no logo, no tav, no vax, no mask, fan di Star Wars, fedelissimi di Star Trek, cospiratori dell’Acquario, femministe intersezionali, naturopati, neonazisti, maestri di Yoga,  hacker, cyberpunk, sociologi terzomondisti, suprematisti bianchi, omeopati, skinhead, “guerriglieri ontologici” di Hakim Bay, ecologisti radicali e anarchici seguaci di John Zerzan, quello che in “Future Primitive” promuove il ritorno all’età della pietra, perché dalla “rivoluzione neolitica” in su le cose per l’umanità sono andate sempre peggio. Ci piace in genere pensare che queste controculture, naturalmente predisposte al complottismo, siano patrimonio dell’estrema destra. Magari. Avremmo già dimezzato il problema. Casomai, tutta la costellazione che abbraccia la sinistra antagonista e l’ultradestra mantiene intatta l’aspirazione alla rigenerazione dell’umanità, alla creazione di una società perfetta, purificata dalla proprietà privata, dall’economica di mercato, dalle nefandezze della scienza, del progresso, della tecnica. 

L’11 settembre ha cambiato tutto. Ma è anche vero che chi oggi ha vent’anni fatica a capire la portata di questo evento, specie se intorno a lui si litiga ancora sulle foibe. Quest’anno, per esempio, per la prima volta avrò in aula degli studenti universitari nati dopo l’11 settembre 2001. Per loro l’attentato alle Torri Gemelle è un evento che fluttua già in una galassia lontana e imperscrutabile, pronto a unirsi alla guerra dei Trent’anni, ai Sumeri, alla rivoluzione industriale, al muro di Berlino. Certo, ci sono reperti televisivi e racconti di prima mano dei loro genitori o fratelli e sorelle maggiori. Ma loro non c’erano. E questo basta a creare uno spartiacque epocale. Un prima e un dopo, con me e senza di me. Del resto, quando chiedo il titolo di un “vecchio film”, insomma di un “classico”, mi rispondono “Joker”; e non è raro sentire cose come, “a quel tempo l’Italia era governata dalla “Dissì”, pronunciato così, come la casa editrice di Batman e Superman, anziché il partito di Fanfani e Andreotti. Chi non ha dimestichezza con la scuola o l’Università potrà inorridire. Ma di fatto sono solo la dimostrazione di quel fenomeno che il Censis, in un rapporto di qualche anno fa, definì “presentismo”: “uno scarso quanto confuso senso della storia, la mancanza di una visione del futuro e l’incapacità di vedere oltre il proprio ordine temporale”, da cui tra le altre cose deriva una “perdita di valore e credibilità delle notizie”. Non sono peggio di me o di voi alla loro età. Sono solo “diversamente ignoranti”. 

Il “presentismo” cancella o annebbia la progressione storica degli eventi meglio della “cancel culture” e offre il terreno ideale al pensiero complottista. Un mammozzone in cui Piramidi, alieni, “Illuminati” e Bilderberg convivono insieme, in un’unica gigantesca manovra destabilizzante. Incontrando in rete una delle varie teorie del complotto sull’11 settembre, quelle che spiegano “come sono andate davvero le cose”, è probabile non abbiano le capacità di situarlo in un rapporto di causa-effetto con ciò che c’era prima e cos’è successo dopo. Esattamente come, pur non sapendo bene cosa sia “Norimberga”, da un po’ di mesi se lo ritrovano in tendenza su Twitter come hashtag “di denuncia” contro la dittatura sanitaria, Big Pharma e le menzogne sui vaccini.

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