La riscoperta della spiaggia sotto casa

Enrico Veronese

Gli italiani fiaccati dalle restrizioni e dalle rogne dell'espatrio sono ritornati ad animare le località vicine ai centri abitati. Come il litorale incolto di Ca’ Roman a Pellestrina

Quando il vaporetto attracca, i bagnanti di ritorno dalla spiaggia incolta di Ca’ Roman si riconoscono subito, mentre sciàmano per il corso. Hanno nel volto lo stanco sorriso di chi ha compiuto un’impresa di resistenza, qualche granello di sabbia luminoso, la pelle color del tramonto. Non possono che provenire dall’isola, riserva naturale della LIPU ed estremo avamposto meridionale di Pellestrina, una distesa di arenile compresa tra due dighe (una è quella del Mose), larga pochi metri e lunga assai, senza servizi se non un mare mediamente più cristallino rispetto ai vicini lidi assestati.

Da sempre, Ca’ Roman vellica il fascino selvaggio di Finisterre, esperienza dove il mare e la laguna si cercano, interrotti solo dal monumentale Murazzo serenissimo (“ausu romano, aere veneto”, scolpirono 250 anni fa i proti dell’ingegner Bernardino Zendrini) in pietra d’Istria e calce pozzolana, per proteggere dalle acque alte. Mai però come quest’anno, nell’estate del green pass e della paura di rimanere bloccati in quarantena, dentro un aeroporto greco o maltese come Tom Hanks in “The Terminal”, trascorrervi le proprie vacanze autarchiche e spartane è una necessità fatta virtù, per chi non impiega tempo e denaro a raggiungere questa mèta fuori mappa e fuori mano. Gli italiani fiaccati dalle restrizioni riscoprono i fiumi sotto casa, come le fonti della Pria ad Arsiero, il mare di città, le spiagge di sassi, macchia verde, conchiglie sminuzzate e fili di alghe lungo la battigia: succedeva prima del boom economico, con lo spirito freak del fai da te, dove gli ombrelloni privati -banditi dalle spiagge organizzate- trovano nuovo impiego nell’isola, e i teepee del deserto vengono imitati usando rami e teli, appoggiandosi a un relitto di barca e ai tronchi di legno rimasti in mare da troppi anni, scaraventati sulla sabbia come sculture sagomate tra le tamerici e gli sterpi.

 

Ogni giorno i battelli, a cadenza di mezz’ora, scaricano dozzine di passeggeri provetti o neofiti, famiglie dell’entroterra, coppie stanziali verso il bosco di more dove nidificano il fraticello e il fratino. A scalare la meraviglia arcuata di un bianco accecante, la diga instagrammabile che conduce all’abitato di Pellestrina attraverso un braccio di laguna baciato dal sole, una palafitta con rete a bilancia, la scorciatoia altrettanto secolare ed erosa, di fronte i vivai di cozze e una nutrita colonia felina, gruppi di giovanissimi che impennano pericolosamente con i loro barchini bianchi di elevata potenza, creando moto ondoso e facendo sbandare i vaporetti di linea.

Da quelle parti quasi tutto è immutabile nei secoli: profumi, colori, scorrere delle stagioni. Pure in laguna le famigliole si bagnano in trasparenza, con la posidonia che solletica i piedi dei bambini vicino alla riva, alla statuetta mariana c’è chi griglia qualche costina o il poco pescato, comandano i gabbiani. Erano i tempi della novecentesca colonia canossiana, convertita a villaggio per qualificare il maggior flusso di cicloturisti non pendolari: sopra il Murazzo atleti fanno jogging noncuranti delle vertigini, sospesi tra cielo, terra, acque fredde e limpide, l’Ottagono asburgico svenduto a un albergatore marchigiano.

 

"Io restavo in barca a bere birra, al massimo entravo in acqua calandomi lentamente dalla barca e poi nuotavo furiosamente, in preda a un’incontrollabile inquietudine", racconta in “Un tuffo senza passato” lo scrittore local Sandro Frizziero, secondo al Premio Campiello 2020 con il romanzo “Sommersione”, ambientato poco distante. È la visione del ritorno in acquaferma, uno spritz o una birra al chiosco di Sergio prima di sciacquarsi i piedi e ripartire, per ricominciare l’indomani: “A noi basta l’acqua per essere felici – recita un sonetto di Giorgio Foresto, trascritto sulla parete – un’isola, una barca e stare con gli amici, restando un po’ in disparte, gabbiani in libertà». Lo spettacolo se n’è accorto: i Truma, folk band lagunare, ha dedicato all’isola una canzone omonima ("un muro de àneme in man al destin"), mentre la collega cinese di Shun Li nel più celebre dei film di Andrea Segre vi scende d’inverno, fermata solo a richiesta. Chi esplorerà fuori stagione rintraccerà fagiani, bunker della Wehrmacht, ciò che costituiva il Forte della Repubblica di Venezia. E l’eco di un’estate balorda, che sta riportando in voga questo kept secret per chi si accontenta.

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