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Saverio ma giusto

Benedetti insulti

Saverio Raimondo

Siamo passati dalla violenza politica a quella verbale: un discreto progresso

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Sarò impopolare, ma vorrei spezzare una lancia in favore “dell’odio” – termine con il quale, in un’epoca apatica come la nostra in cui gli ultràs non si picchiano più nelle curve ché gli stadi sono chiusi, la violenza domestica è sempre un raptus di follia (o almeno così dicono…) e “il nemico” è stato sostituito con “l’avversario”, si intende il massimo atto d’ostilità: l’insulto in Rete. Gli haters, i leoni da tastiera, o anche solo uomini beceri che aprono bocca per dargli fiato, con il loro body shaming e il loro sessismo indignano così tanto la nostra società che mi chiedo perché i terroristi islamici si siano spesi tanto in attentati e uccisioni quando con una raffica di insulti online si ottengono reazioni ben più sconvolte.

 

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Sono stato insultato tante volte nella mia vita (abitare a Roma agevola, specie se sei un pedone: gli automobilisti se non ti mettono sotto con la macchina ti investono comunque di improperi per il solo fatto che stai attraversando la strada sulle strisce e li hai costretti a frenare), con un vasto assortimento di epiteti, ingiurie e maledizioni varie – e non escludo che possa beccarmi qualche “vaffanculo”, “spero ti nasca un figlio con un brutto male” o “muori nano frocio de merda” anche per questo pezzo. Eppure nessuno di quegli insulti, anche i più pesanti o riferiti a persone amate, mi ha fatto male come quella volta in cui un tizio sull’autobus inavvertitamente mi è salito su un piede. Per carità, mi chiese subito scusa; ma ciò non ha impedito che ci dovessi comunque mettere del ghiaccio e una pomata per lenire il dolore, cosa che invece non si è mai rivelata necessaria tutte le volte che hanno fatto commenti screditanti sulla mia virilità, statura, voce nasale o opinioni personali.

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Questo per dire che per un paese come il nostro, che ha conosciuto la violenza politica pagandone un prezzo altissimo in termini di vite umane, la violenza verbale è tutto sommato un discreto progresso, una conquista civile: passare dagli Anni di Piombo agli Anni degli Insulti Pesanti mi sembra un’evoluzione non indifferente della nostra società, un passo in avanti e non una degenerazione; ed essere “vittima di insulti” è un modo tutto sommato molto più confortevole di essere vittima. Non sono certo il primo a dire che grazie alle parolacce l’uomo primitivo ha smesso di tirarsi le pietre addosso; ma dobbiamo riconoscere che il famigerato “odio” è anche più civile e inclusivo di molte altre – e ben più nobili – espressioni della nostra società. L’odio per esempio non discrimina nessuno: non ha colore politico (si insulta la Segre come la Meloni), non fa distinzione classiste (è insulto sia “pesciaiola” che “pariolino”), e spesso considera le donne più centrali di quanto faccia la così detta società civile o classe dirigente. Insomma forse l’odio ha qualcosa da dire, al contrario della retorica.

 

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